Siamo nell’anno 2035. La Svizzera ha il miglior sistema di cure al mondo, nelle case anziani il lavoro del personale medico-sociale è organizzato a partire dai bisogni dei residenti, che hanno accesso a cure di qualità (indipendentemente dal loro luogo di residenza, dalla loro età e dalla loro situazione finanziaria), vivono in alloggi confortevoli e sono ben integrati nella società alla quale danno un contributo utile e riconosciuto. I curanti sono in numero sufficiente, svolgono con piacere il loro lavoro e sono supportati da specialisti nella gestione dei casi più complessi. Inoltre le condizioni d’impiego sono ottime: i salari sono attrattivi e la maggior parte del personale lavora a tempo pieno e con un contratto fisso; la durata massima della settimana lavorativa è di 32 ore, ma sono in corso trattative per portarla a 25. E poi tutto il personale del settore gode di riconoscimento e considerazione sociale, è in contatto permanente con il sindacato, interloquisce con le autorità e ha voce in capitolo nella definizione delle politiche in materia di cure. Politiche orientate alle persone e non al profitto. Il lettore potrebbe dubitare della lucidità di chi scrive, visto che non siamo nel 2035 e che quella descritta è una realtà ben diversa da quella che conosciamo. Una realtà profondamente diversa, ma anche un obiettivo realistico e a cui la nostra società deve puntare. Ne sono convinti gli autori di un prezioso documento presentato ieri a Berna dal sindacato Unia: un manifesto (“Manifesto del Care”) “per delle cure e un'assistenza di qualità”, con cui il sindacato vuole contribuire al dibattito sul futuro delle cure di lunga durata in Svizzera, cioè sulla sorte di un numero sempre maggiore di persone anziane che necessitano di cure e di assistenza, in un istituto o a domicilio. Un dibattito “urgente e che tocca il cuore della coesione e della giustizia sociale”, si legge nel documento, elaborato nel contesto di un processo partecipativo, coordinato da Nicolas Pons-Vignon (professore in trasformazioni del lavoro e innovazione sociale presso la SUPSI), che ha visto coinvolta una ventina di operatrici e operatori del settore delle cure di lunga durata provenienti da tutte le regioni del paese. Ciò con l’obiettivo di presentare la prospettiva di chi i problemi li vive al fronte, cioè il personale medico-sociale che si prende cura della salute e del benessere degli anziani. Lavoratrici e lavoratori che si occupano “del corpo ma anche della persona”, scrivono nello studio per sottolineare come la dimensione relazionale e quella medica siano “ugualmente fondamentali”. Un concetto centrale e che si ritrova disseminato in vari punti del Manifesto, che propone una radiografia della situazione, ma anche una visione e una strategia per delle cure di qualità. Trasformare l’allungamento della vita in un progresso per la società Prima di addentrarsi in una diagnosi, le autrici e gli autori spiegano le ragioni della loro “rabbia”: “Malgrado la presa di coscienza collettiva dei problemi strutturali nel settore delle cure durante la pandemia e nonostante l’accettazione popolare nel 2021 dell’Iniziativa per cure infermieristiche forti, siamo sempre confrontati con gli stessi problemi”; “Ogni giorno spendiamo le nostre competenze e le nostre energie per fornire un servizio essenziale alla società, ma per questi sforzi non ci viene testimoniata alcuna gratitudine”; “ci arrabbiamo per non poterci occupare correttamente delle persone di cui ci prendiamo cura”. Al tempo stesso il personale al fronte afferma la volontà di far sentire “forte e chiara” la propria voce e di voler partecipare attivamente alla risoluzione della crisi delle cure proponendo “soluzioni concrete per trasformare il bello dell’allungamento della durata della vita in un autentico progresso per la società nel suo insieme”.
La situazione è grave: “Ci si sta schiantando contro uno muro”, mettono in guardia. A causa della standardizzazione del lavoro, “inefficace e pericolosa”, delle logiche privatistiche e di profitto, di un sistema che “organizza e misura le cure soprattutto come un intervento medico e terapeutico, sottovalutando le loro complesse dimensioni sociali”. Ma anche per la penuria di personale dovuta all’assenteismo e agli abbandoni della professione e per la conseguente mancanza di tempo per prodigare le cure richieste: “Una crisi che ha origine nel modo in cui le cure sono organizzate e finanziate”, analizza il documento. Più stato, più socialità, meno privato Deve quindi cambiare l’organizzazione delle cure di lunga durata, “non solo per rispondere alla domanda crescente, ma anche perché sia riconosciuta la dimensione sociale delle cure, che è fondamentale per la qualità di vita e la dignità”. La crisi necessita in particolare di una “soluzione politica”, che porti lo Stato, “più che il settore privato a scopo lucrativo”, ad avere un “ruolo centrale nel fornire cure di lunga durata di qualità”. Prestazioni fondamentali che “discendono dal servizio pubblico” che Confederazione, Cantoni e Comuni devono garantire alla collettività, si spiega nel manifesto. Per il personale curante che oggi si trova spesso solo a gestire i problemi delle persone che vivono l’ultima tappa della loro vita, le cure “devono essere considerate una responsabilità collettiva” e il “lavoro va ripartito equamente nella popolazione, anche in seno alle famiglie”, si legge nel capitolo in cui viene presentata la “Visione 2035” cui abbiamo accennato in entrata: 35 principi cardine in cui si indicano i valori fondamentali su cui devono poggiare le cure (la centralità del paziente, la solidarietà, il riconoscimento sociale del personale), i principi da osservare per un’organizzazione del lavoro efficiente (autonomia, pianificazione e dispensazione delle cure non standardizzata ma in funzione dei bisogni dei pazienti) e partecipativa, ma anche per la garanzia di condizioni di lavoro dignitose che rendano la professione nuovamente attrattiva. Mobilitazione, alleanze, autonomia e condizioni di lavoro dignitose “Questo manifesto riflette il nostro punto di vista, ma la nostra ambizione è quella di dialogare e creare alleanze con tutte le persone e le organizzazioni attive nei vari settori dell'assistenza”, scrivono gli autori dello studio indicando anche una strategia da seguire “per far sì che questa visione diventi realtà”. Una strategia da organizzare attorno a quattro assi. A partire da quello della mobilitazione: “Abbiamo bisogno dei sindacati, delle associazioni professionali, delle organizzazioni che rappresentano i vari ambiti della sanità, della società civile, degli anziani e dei giovani. … Si tratta di creare una voce collettiva attraverso degli spazi di discussione certi e inclusivi in cui tutte le voci, comprese quelle più silenziose, siano ascoltate”. C’è poi l’imperativo bisogno di tessere alleanze tra organizzazioni sindacali per accrescere il potere contrattuale ma anche nella società con organizzazioni che si interessano di cure. Obiettivo: ottenere posto attorno al tavolo dove si prendono decisioni. Terzo elemento: sperimentare dei modelli in cui è valorizzata l’autonomia delle salariate e dei salariati dal punto di vista organizzativo e in cui l’approccio finanziario è orientato ai bisogni e non ai “risultati” delle prestazioni, “misurate con indicatori quantitativi rigidi”. E di qui la necessità di “invertire la tendenza alla privatizzazione e alla mercificazione delle cure”. Il quarto asse su cui si dovrebbe lavorare è quello che deve portare a un miglioramento delle condizioni di lavoro, in particolare attraverso una riduzione del tempo di lavoro e la lotta alla precarietà. Nelle prossime settimane Unia inviterà al dialogo diverse organizzazioni allo scopo di arricchire ulteriormente le proposte del Manifesto del Care e sviluppare un processo collettivo che sia all’altezza delle sfide del settore. Il documento verrà inoltre distribuito nelle case di cura e sarà al centro di conferenze pubbliche e incontri, così da creare un movimento popolare e un ampio dibattito nella società. |