Il cognome — popolo di Seattle — non è stato scelto dal movimento composito che lo anima ma è stato ad esso attribuito dai suoi bersagli, un cognome non amato ma in qualche modo conquistato sul campo nella città statunitense che ospitò la prima grandissima manifestazione internazionale contro il liberismo. Per la prima volta, almeno in quelle dimensioni, scesero in campo insieme spezzoni di mondo sindacale, associazioni ambientaliste, pacifiste, animaliste, forze di origine comunista e socialista, gruppi democratici di fede cattolica e protestante, movimenti locali di contadini in lotta contro il latifondo, contro la dollarizzazione del Centr’America, in difesa dei popoli nativi. E ancora, associazioni che si battono per la tassazione dei capitali finanziari in libera circolazione nei cinque continenti o in difesa dei diritti dei bambini e dei lavoratori nei paesi poveri occupati dalle multinazionali nordamericane, europee e giapponesi. In difesa delle foreste e della produzione biologica. Da Seattle a Davos, a Nizza, a Bologna, a Praga, a Genova, a Québec, un arcobaleno di sigle e uomini e donne in carne ed ossa si sono presi il diritto di muoversi lungo le strade del mondo per ripetere nei cinque continenti il loro no a un ordine mondiale e a un pensiero unici. Da tre anni non c’è riunione dei "potenti della terra" — G8, Fondo monetario e Banca mondiale, Omc, Unione europea, Nato — che non venga omaggiata da contromanifestazioni, meeting, forum, seminari e convegni in cui tanti soggetti così diversi tra di loro tentano di costruire un nuovo ordine, nuove relazioni, nuove regole senza gabbie dove i rapporti tra le persone determinino i rapporti economici, e non più viceversa. Dove il primato dei popoli cancelli il primato dei mercati e dei flussi finanziari. Hanno scelto la strada della non violenza, folgorati sulla strada del Chiapas dalla straordinaria esperienza zapatista del subcomandante Marcos, ma la loro protesta ha trovato di fronte a sé soltanto muri, manganelli, armi e divieti: città blindate e militarmente difese da un nemico che da quando ha scelto di non essere più invisibile dev’essere represso, cancellato. Non soltanto un movimento "contro" ma anche "per", come si è visto qualche mese fa a Porto Alegre, in Brasile. Ecco che cosa ci dice Naomi Klein, giovanissima giornalista e scrittrice canadese, è uno dei volti più noti e riconosciuti del popolo di Seattle: "La mobilitazione contro il G8 di Genova potrebbe diventare una delle più grandi manifestazioni internazionali contro l’economia globale. Da Seattle in poi, il movimento ha registrato molti successi. Uno per tutti, la sentenza di Pretoria che ha dato ragione al governo sudafricano e torto alle multinazionali farmaceutiche". Tornando al tema violenza-non violenza che sta appassionando (fin troppo) i promotori del Genoa Global Forum, Naomi dice: "Mi pare sia già stata predisposta la sceneggiatura. Il bombardamento dei media già eccitati, l’isteria della polizia, gli avvertimenti ai negozianti a tirar giù le saracinesche disegnano uno stato d’assedio. Allora se i giovani vanno a Genova per protestare pacificamente, come io preferisco, e trovano la città sbarrata, il loro diritto negato, chiaro che si arrabbiano. A Québec, in aprile, per il summit dei 34 leader dei paesi americani la polizia tirò su una staccionata tutt’attorno alla città. Perfino chi abitava lì doveva mostrare un pass per tornare a casa. Ovvio che si sono arrabbiati anche loro". Sono già 520 le associazioni e i movimenti che in Italia aderiscono al Global Forum di Genova, da Pax Christi al Wwf e alla Lila, dai Verdi a Rifondazione comunista, dai Centri sociali alle Tute bianche, dalla Fiom a Carta, da Attac che ripropone la Tobin tax alla Banca etica, dagli antivivisezionisti al commercio equo e solidale, dai disoccupati organizzati ai gruppi che sostengono il salario sociale o il reddito minimo garantito, o il salario per le casalinghe. 520 associazioni, gruppi, partiti, movimenti, comunità di credenti che hanno molte cose da dire a proposito dei temi discussi dagli 8 grandi della terra: macroeconomia e finanza, occupazione, ambiente, droga, armi, immigrazione, terrorismo, eccetera. Il G8 di Genova è il primo scoglio nella navigazione di Silvio Berlusconi e del governo di destra italiano. Vedremo se riuscirà a schivarlo o se ci sbatterà contro. Le sinistre radicali puntano molte, forse troppe delle loro carte sull’appuntamento di luglio, le sinistre moderate lo rimuovono. E i sindacati italiani e mondiali, non hanno proprio nulla da dire a proposito di un nuovo ordine possibile? C’è chi aderisce — la Fiom-Cgil a Genova, come l’Afi-Cio a Seattle o la Cut brasiliana a Porto Alegre — e chi sceglie di far pressione sui governi "amici" per attenuare gli effetti della globalizzazione liberista, c’è chi aderisce alle manifestazioni e chi si riunisce al chiuso di cinema e teatri, c’è anche chi condanna aggrappandosi a dichiarazioni scioccamente bellicose dei Centri sociali e delle tute bianche. Ci sono i sindacati di base come i Cobas e (pochi) di vertice. Ma di questo parleremo più diffusamente la prossima settimana.
Le voci delle donne, di Françoise Gehring Amato
Donne unite contro la globalizzazione. Donne in marcia per contrastare la povertà, la violenza e le guerre. Punto di arrivo, e nello stesso tempo di partenza, Genova dove nel mese di luglio si terrà il G8, il gruppo che unisce i paesi più potenti del pianeta (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Russia e Stati Uniti). Proprio per preparare l'accoglienza ai potenti della Terra, la rete della Marcia mondiale delle donne ha organizzato un mini-vertice. Oggi, venerdì, e domani, le donne del mondo intero si riuniscono a Palazzo San Giorgio per dare vita ad una rete contro la globalizzazione e per costruire, come annuncia il programma del meeting internazionale, "una società di donne e uomini equa, sostenibile, pacifica, democratica". "Il processo di globalizzazione diretto dai paesi più potenti ha visto in questi ultimi vent’anni — leggiamo nei documenti preparatori — l’affermarsi di un modello dominante di convivenza tra le nazioni e nelle nazioni, basato sulla competitività. Ciò ha consentito il consolidarsi di una società disuguale e squilibrata sia nei confini interni dei vari paesi che su scala planetaria, profondamente autoritaria ed aggressiva". Una realtà specchio dell’ingiustizia che le donne, toccate in prima persona dai fenomeni di violenza e povertà, intendono combattere creando una rete forte e solidale. Ma le donne vogliono però dare la loro impronta a questa forma di resistenza secondo un’ottica di genere, dal punto di vista femminista, a partire dalla diversità come strumento per costruire un futuro più giusto e più sostenibile. Ma quale l’impatto della globalizzazione sulle donne? Interessante il contributo di Lidia Cirillo, femminista di Rifondazione comunista, che in quattro pagine fitte fitte analizza le conseguenze della globalizzazione sulla condizione femminile. "Proprio dall’angolo visuale delle donne — afferma la femminista — la globalizzazione appare come un fenomeno contraddittorio. In tutto il Sud le nuove occasioni di lavoro rompono antichissime segregazioni e dipendenze totali, attivizzano sul piano sindacale e politico un numero senza precedenti di donne, mettono in crisi le strutture più costringenti del patriarcato. Dall’altra parte — continua Lidia Cirillo — il lavoro salariato delle donne, nelle condizioni in cui la globalizzazione lo impone, è fatica allucinante, sfruttamento, ricatto, incertezza, paura". E continua: "Nel Nord del mondo le condizioni di vita sono ovviamente diverse, ma anche da noi l’ingresso più massiccio delle donne sul mercato del lavoro ha come condizione la disponibilità ad adattarsi". Un capitolo importante del seminario "Genere e globalizzazione" sarà naturalmente riservato alle violenze e al modo per contrastarle. Questa lotta è, del resto, uno dei punti cardini della Marcia mondiale delle donne. Si parlerà, dunque anche di guerre. Se ne parlerà per ribadire che le donne di tutto il mondo sono impegnate ad affermare i valori della pace e della convivenza fra individui di diverse appartenenze culturali e linguistiche, "riconoscendo l’esistenza di conflitti ma ripudiando la guerra come strumento di soluzione degli stessi". Il confronto permetterà alle donne di disegnare nuove rotte, nuovi percorsi, di individuare punti di approdo dove costruire un futuro che non sia quello voluto dalle logiche maschili. Info: I documenti del meeting e il testo integrale di Lidia Cirillo sono reperibili nel sito femminista: www.marea.it
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