Una questione di giustizia

Chi ha lanciato (e chi dietro le quinte sostiene) il referendum contro il preventivo 2005 rifiutando un minimo aumento fiscale per le aziende vuole che le finanze siano rimesse in sesto solo tagliando la spesa per i servizi pubblici e la socialità. Un no all’aumento minimo delle imposte per le aziende vuol dire tagliare la spesa in modo così consistente da non poter più garantire gli stessi servizi e lo stesso sostegno ai cittadini. Ma tagliare a questo punto è un eufemismo. Se si dovesse contenere il disavanzo senza aumentare le entrate, per trovare circa 250 milioni all’anno i servizi pubblici andrebbero falciati. Più ragionamenti e meno propaganda mostrano immediatamente come un Cantone, costretto in un corsetto di leggi federali, non può disporre liberamente della spesa pubblica. Molti compiti del Cantone sono in effetti determinati da leggi federali. Per fortuna, perché altrimenti in Ticino la maggioranza di centro-destra sarebbe pronta probabilmente a tagliare anche l’Avs pur di racimolare qualche soldo in più da trasformare in regalo fiscale per i più ricchi. Sono le assicurazioni sociali come l’Avs, l’invalidità e l’assicurazione malattia, sommate ai compiti essenziali come gli ospedali, le scuole, la giustizia, la polizia e i trasporti a determinare il grosso della spesa pubblica. La destra illude i propri elettori lasciando loro intendere che con un po’ di determinazione si possono tagliare 250 milioni di spesa. In realtà sono i primi a sapere che non è vero, e del resto loro stessi non vogliono assumersene la responsabilità. Per questo la strada della ricerca del consenso e del compromesso per risanare le finanze dissestate di questo Cantone resta l’unica percorribile. Dopo una stagione di fiscalità non responsabile e di regali ai più ricchi il risveglio è piuttosto duro. Né servirà continuare a ripetere che la spesa è “fuori controllo” perché non è così. I principali aumenti di spesa non sono compiti nuovi decisi dal Cantone. Due esempi recenti: il Cantone deve pagare ogni anno circa 25 milioni in più per le ospedalizzazioni private, e circa 35 milioni in più ogni anno per gli ospedali. Questo per dire che 60 milioni in più non è “spesa fuori controllo”, è la conseguenza di trasferimenti di spesa al Cantone: il primo dagli assicuratori malattia e il secondo dai Comuni. La propaganda dei meno-statisti non servirà a rimettere in sesto le finanze, lo sanno bene anche loro. Inutile spaventare i cittadini dicendo loro che diventeremo tutti più poveri, se chi fa utili miliardari paga un po’ più di imposte. Perché va detto chiaramente: gli sgravi fiscali fatti per “rilanciare l’economia” non hanno avuto effetto. Siamo diventati più poveri. I regali fiscali ai ricchi non hanno creato benessere, al contrario, dal 1998 al 2002 il reddito medio dei ticinesi è diminuito di 2 mila e 900 franchi. E la quota di chi, pur lavorando, non arriva al minimo vitale è la più alta della Svizzera. Le casse del cantone sono state svuotate per rilanciare l’economia ma non ha funzionato e chi vive del proprio salario fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Accanto a formazione, vie di comunicazione e sicurezza, la coesione sociale è una premessa indispensabile per la crescita economica e il benessere del paese. Per questo occorre equilibrio e concertazione. Chiedere alle aziende di contribuire con un piccolo sforzo, dopo i benefici che proprio loro hanno ricavato dalla mitragliata di regali fiscali, è il minimo che si possa fare. Le alternative del resto sono poche: se non chiediamo niente a chi fa utili, toccherà agli altri cittadini passare alla cassa. Votare sì all'8 maggio è una questione di giustizia.

Pubblicato il

22.04.2005 00:30
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