Ma allora, se uno comincia a metterci le mani, s’accorge che davvero qualcosa non funziona nel fisco ticinese. E che la colpa non è (solo) del direttore e di uno dei vicedirettori, rimandati con una lauta buonuscita a fare gli interessi delle fiduciarie dalla parte giusta. Questo in sostanza dice la decisione del Consiglio di Stato di potenziare l’organico della Divisione delle contribuzioni (cfr. il servizio a pag. 11). Certo si tratta soltanto di una prima pezza, e sarebbe meglio parlare di limitazione degli effetti degli smantellamenti passati. Il dato politico fondamentale però rimane: il fisco ticinese da anni andava deteriorandosi senza che chi aveva la responsabilità di garantirne il funzionamento facesse nulla per invertire la tendenza. Era ora e tempo di correre ai ripari. Trova così piena conferma l’inchiesta condotta dal nostro settimanale (cfr. area n. 6 del 10 febbraio e area n. 7 del 17 febbraio). E prendono pure corpo e consistenza le responsabilità di cui prima o poi Marina Masoni dovrà farsi carico ma che già danno piena legittimità alla decisione del governo di toglierle la guida operativa della Divisione delle contribuzioni. Perché si può sostenere, a giusto titolo, che il rapporto della Commissione d’inchiesta amministrativa non imputa alla direttrice del Dfe nessuna irregolarità. E si può pure dire che l’opportunità o meno della fondazione Villalta dell’Argine è questione che dev’essere valutata dagli elettori. Ma di fronte al progressivo deperimento dell’apparato fiscale, il cuore stesso della macchina statale, il governo non poteva rimanere a guardare. Se ne capacitino una volta per tutte i fans a oltranza di Masoni. I quali, se certo sono dispiaciuti che la Divisione delle contribuzioni riprenda un po’ dell’efficienza persa per strada nell’ultimo decennio, non lo possono però ammettere apertamente. E si trovano quindi costretti ad audaci acrobazie retoriche per tenere in vita politicamente la loro beniamina. Un po’ com’è capitato questa settimana al Corriere del Ticino, che, avuto sentore dell’imminenza della decisione governativa, s’è fatto megafono delle disperate grida d’aiuto provenienti dalle macerie della Direzione del Dfe con uno slancio quasi commovente ma del tutto fuorviato e fuorviante. Tanto da arrivare a sostenere che, per risolvere gli attuali problemi di evasione, basterebbe una sana amnistia fiscale. Ancora un passo e proporranno l’abolizione delle imposte. Intanto Masoni ha raggiunto un suo primo obiettivo: star seduta, in un modo o nell’altro, sul suo cadreghino fino alla fine della legislatura. È una sua vittoria, ma potrebbe non servirle a molto. Perché, per spiegarlo ai suoi amici, quando un consigliere d’amministrazione non sa fare gli interessi della società che è stato chiamato a gestire, lo si manda a casa. È un sano principio dell’economia privata. In simili casi, se non vuole rischiare una figuraccia all’assemblea degli azionisti, l’azionista di riferimento convince il suo rappresentante in consiglio d’amministrazione a togliere elegantemente il disturbo. Promettendogli magari qualche altra poltrona. Prima che si esprima il popolo deve dunque agire il Plr, se davvero crede che il privato sia un modello anche per lo Stato, chiudendo definitivamente uno dei più fallimentari esperimenti della storia politica ticinese.

Pubblicato il 

12.05.06

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