Fino a che punto si possono abbassare i prezzi? È davvero necessario portare avanti quella che sembra a tutti gli effetti una “guerra ai prezzi in Svizzera”? Ma soprattutto: cosa ne sarà dei salari dei lavoratori? Ne abbiamo parlato con Rudolf Strahm, Mister Prezzi, che ci parla della “rivoluzione” che comporterà il principio del “Cassis de Dijon” che – se approvato dalle Camere – eliminerà gli ostacoli all’importazione di merci dall’Unione europea, rompendo così i monopoli elvetici. E – parola di Mister Prezzi – «senza intaccare in nessun modo i salari». Rudolf Strahm, nelle ultime settimane si continua a parlare dell’isola dei prezzi alti. Anche lei, Mister Prezzi, ha denunciato una Svizzera troppo cara. Ma a cosa sono dovuti i nostri prezzi alti? Ci sono due ragioni, una di base e l’altra di mercato. La prima ragione fondamentale è che in Svizzera abbiamo un alto potere d’acquisto e dei salari alti. Il potere d’acquisto elvetico porta alla ragione di mercato: fa sì che da noi si paghino dei prezzi supplementari che non hanno nessuna ragion d’essere. Mi spiego. La Svizzera importa per 130 miliardi di franchi all’anno beni finiti e materie prime. Una cifra considerevole. Il 20-30 per cento di questa cifra è però di troppo. Si tratta della gonfiatura dei prezzi. E la causa dei prezzi alti sono le barriere elvetiche all’importazione dei prodotti Ue. Questa è l’isola dei prezzi alti svizzera che ho in mente io. Prezzi alti ma anche salari alti. Ora lei vuole dare battaglia ai prezzi. Non ha paura in questo modo di mettere in pericolo anche le buste paga dei lavoratori? No, non ho paura. Sono falsi timori. Perché? Abbassare il prezzo delle merci importate non influirà sui salari. Bisogna essere in grado di fare delle distinzioni. Se in Svizzera si facesse pressione sul prezzo del caffè o sul taglio di capelli allora sì che i salari scenderebbero: si tratta di beni prodotti all’interno del paese. Ma nel caso delle importazioni non è così. Si possono fare molti esempi. Attualmente la Svizzera regala soldi all’estero. In questo caso è falso sostenere che abbassare i prezzi comporterà inevitabilmente anche un abbassamento dei salari. Il Consiglio federale ha dichiarato di volere maggiore concorrenza nel settore dell’importazione. Per questo motivo ha chiesto al Parlamento di adottare il “principio del Cassis de Dijon”. Anche lei ha reagito con entusiasmo a questa notizia. Gli svizzeri ci guadagneranno? Sì, con il principio del Cassis de Dijon la Svizzera vuole abolire gli ostacoli alle importazioni parallele. Sia il potere d’acquisto dei consumatori che l’economia svizzera ci guadagneranno. Conosco centinaia di casi di prodotti che in Svizzera, “per una sorta di miracolo”, costano molto di più. Mi giungono anche segnalazioni dal Ticino. A pochi metri al di là della frontiera una stessa merce può costare molto meno. Il motivo? Non si tratta di miracoli. La ragione sta nel fatto che l’importatore è unico per la Svizzera intera e il prezzo che pratica è da monopolio. Non è possibile per il dettagliante comprare direttamente il prodotto all’estero perché esiste tutta una serie di ostacoli alla sua importazione. Se il Cassis de Dijon verrà adottato cadranno queste barriere. Ci può fare l’esempio di una merce che in Svizzera è molto più cara e che il “Cassis de Dijon” farà diminuire di prezzo? I supermercati Denner hanno importato per 8 anni dalla Germania il dentifricio Colgate Dentagard. Presso questo rivenditore la pasta per denti Colgate costava fino al 50 per cento in meno per rapporto agli altri negozi. Improvvisamente un chimico cantonale ha però bloccato l’importazione di Denner. Il motivo? Sul tubetto c’era scritto “aiuta la prevenzione medico-dentaria”. Il dentifricio, secondo il chimico, era fuorilegge perché si sarebbe dovuto invece scrivere: “aiuta la prevenzione della carie”. Provi ad indovinare da chi è arrivato il reclamo? Abbiamo chiesto al funzionario cantonale come mai dopo 8 anni è stata bloccata l’importazione e da chi era venuta la denuncia. Ad allertare l’ufficio del chimico era stato l’importatore unico Colgate Svizzera. E non un consumatore spaventato dalla scritta sul tubetto. Questo barriera ha fatto risalire il prezzo del dentifricio in questione. Chi approfitta di questi prezzi gonfiati? Il pensiero va subito all’importatore svizzero. Ma in realtà non è così, o almeno non è solo così. Ad avere un alto margine di profitto è soprattutto l’esportatore estero. Le multinazionali segmentano il mercato e applicano una politica dei prezzi in base al potere d’acquisto delle singole nazioni. La Svizzera gode della nomea di paese ricco, la multinazionale vende lo stesso prodotto a prezzi su misura per ogni tipo di cliente. E l’abito fa della Svizzera un cliente particolarmente danaroso da cui cercare di guadagnare il massimo. In questo modo, giocando con i prezzi e le quantità, gli esportatori esteri guadagnano al massimo da ogni paese. Si può così scoprire e capire perché l’aspirina in Grecia costa infinitamente meno che in Svizzera. Oppure perché il garagista svizzero per riparare una Vw è costretto a comprare i pezzi di ricambio dall’importatore Amag e non può comprarli direttamente lui, e a prezzi decisamente inferiori, dalla Germania. Che genere di prodotti diminuirà di prezzo? Il meccanismo sarà il seguente: i dettaglianti potranno importare direttamente i prodotti che vogliono vendere. Potranno comprare da tutta l’Unione europea, quindi molti prodotti europei venduti in Svizzera potranno calare di prezzo. E questo senza intaccare minimamente i salari degli svizzeri. Eppure alcuni esponenti della sinistra e dei sindacati svizzeri temono che questa discussione sui prezzi alti in Svizzera costerà cara ai lavoratori. Temono che il padronato con la scusa di dover abbassare i prezzi vorrà rivedere al ribasso anche i salari… Credo che queste siano preoccupazioni emotive di chi non ha ben capito di cosa si stia parlando. Sono socialista e sindacalista anche io. Guardiamo alle nostre industrie. Da una parte abbiamo quella d’esportazione che deve forzatamente essere competitiva. In questo caso non c’è cartello che tenga, bisogna vendere ai prezzi di mercato. Dall’altra parte c’è invece l’importazione che “lascia” il 20 per cento all’estero. Ma quella stessa industria d’importazione vende in Svizzera. Non solo a consumatori ma anche alle piccole e medie imprese (Pmi) che producono in Svizzera e che a loro volta rivendono sia all’interno che all’esterno. Vede la catena dei prezzi alti? Si tratta di un circolo vizioso. Ma torniamo ai sindacati e alla sinistra. A mio modo di vedere il “Cassis de Dijon” rappresenta un’opportunità in quanto sposta la discussione dagli alti salari elvetici. È offensivo sentire il padronato lamentarsi sempre dei costi del lavoro e non batter ciglio sui prezzi dei beni importati. Tanto quei sovrapprezzi li può riversare sul consumatore e sulle Pmi che formano il tessuto economico elvetico. Ci può fare degli esempi anche in questo caso? In Ticino avete avuto lo scandalo del prezzo dell’asfalto. Nel settore della costruzione il 40 per cento dei costi è dovuto al lavoro ma un altro 40 per cento è da imputare al costo dei materiali e alle spese di fornitura che vengono imposte anche dall’importazione. Per i lavoratori si tratta di una chance: meno soldi per i prezzi gonfiati delle materie prime e di più per loro. I sindacati a maggior ragione potranno chiedere il dietro front sulla attuale pressione sui lavoratori. Rudolf Strahm, lei ha però riconosciuto che se il prezzo dei beni e servizi prodotti in Svizzera dovesse calare allora ci potrebbe essere anche un abbassamento dei salari… Sì, ma se questo abbassamento dei prezzi passerà attraverso la rottura dei monopoli all’importazione, cioè dai costi di produzione diversi dal lavoro, allora ci guadagnerà la Svizzera intera. Diminuire i prezzi dei beni importati significherebbe unicamente regalare meno soldi all’estero. Crema di Ribes rosso Il principio del “Cassis de Dijon” ha le sue radici in una storica sentenza della Corte della Comunità economica europea (Cee) che ha fatto giurisprudenza in materia di abolizione degli ostacoli tecnici al libero commercio delle merci. Nel 1979 la Cee decise che il “Cassis de Dijon” – una crema alcolica al 15 per cento a base di ribes rosso e prodotta in Francia – poteva essere liberamente commercializzato anche in Germania. Il monopolio di Stato tedesco aveva infatti vietato la sua vendita adducendo come motivo che la gradazione alcolica della bevanda fosse troppo bassa e che «la vendita di questi prodotti a moderato contenuto di alcool mette a repentaglio la salvaguardia della salute pubblica in quanto provoca maggiore assuefazione degli spiriti con maggiore gradazione».

Pubblicato il 

03.06.05

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