Una "new economy" socialista

«Abbiamo voluto mettere sotto le lente ed esaminare con occhio critico la nostra politica economica, procedere ad un nuovo radicamento di questa tematica nel partito e preparare del materiale per i prossimi anni. In breve: abbiamo voluto fare un lavoro adeguato alla grande importanza del tema». Così Hans-Jürg Fehr, presidente del Pss, ha presentato martedì scorso il “Nuovo programma economico” del partito. Si tratta del progetto elaborato da diversi gruppi di lavoro, coordinati dai due copresidenti della commissione “economia e finanze” del partito, i consiglieri nazionali Jean-Noël Rey e Susanne Leutenegger Oberholzer. Il precedente programma economico del Pss era stato varato nel 1994. Nel frattempo molte cose sono cambiate. Disoccupazione alta, potere d’acquisto che ristagna, strisciante ridistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto, enorme pressione sul mercato interno verso la liberalizzazione, globalizzazione che avanza, arresto della trasformazione dell’economia in senso ecologico, grandi riorganizzazioni del mercato del lavoro nei settori industriale e terziario, nuove forme di potere e modi di compenso: tutti questi, secondo il presidente Fehr, sono i «tanti motivi per occuparsi politicamente dell’economia». E la dinamica dell’economia ha fatto invecchiare il programma economico del partito di undici anni fa. Per questo, su mandato del congresso tenuto un anno fa a Briga, il comitato direttivo del Pss ha lanciato il progetto di rivedere ed attualizzare il programma economico del partito e di aggiungervi alcuni capitoli, nella cornice di un vasto dibattito che coinvolga la base, oltre agli specialisti, del Pss. Finora circa un centinaio di persone sono state associate a questo processo, tra responsabili del progetto, membri di gruppi di lavoro per gli oltre 20 capitoli, partecipanti a convegni e consulenti. Il documento che ne è scaturito, composto da 150 pagine, rappresenta una tappa intermedia, poiché sarà ancora discusso ed “affinato”, come ha detto il presidente Fehr, nel corso del dibattito. Questo prenderà il via con due sedute speciali della commissione “economia e finanze” del partito, a fine ottobre. Seguirà un convegno in programma il 5 novembre; e per metà dicembre dovrebbe essere pronta la versione sulla quale, tra gennaio e febbraio, discuterà il comitato direttivo. Dopo le traduzioni, da metà marzo dovrebbero partire i dibattiti a livello di sezioni e di delegati. Il 24 giugno 2006 l’assemblea dei delegati del partito dovrebbe adottare il nuovo programma economico 2006-2015 del Pss. Nei contenuti, il progetto di nuovo programma di politica economica parte da alcune considerazioni generali. La Svizzera, come tutti gli altri paesi industrializzati, subisce la trasformazione radicale dell’economia e gli eccessi del capitalismo, che hanno profondamente modificato la nostra società ed il funzionamento della nostra economia, creando nuove diseguaglianze. Riforme fondamentali sono dunque urgenti e necessarie per poter realizzare la piena occupazione, combattere le ingiustizie, favorire l’uguaglianza dei sessi e la democrazia. Per il Partito socialista svizzero, un obiettivo concreto è che la Svizzera ritrovi il suo posto nel gruppo di testa delle nazioni economicamente più concorrenziali. Ciò sarà possibile a condizione che ritorni un’inequivocabile crescita, che vengano creati nuovi ed innovativi posti di lavoro ad alto valore aggiunto, che migliorino gli equilibri sociali e regionali nel paese e che l’economia venga riorientata in senso ecologico. «Sì all’economia di mercato, no alla società di mercato». Così il copresidente della commissione “economia e finanze” del partito, Jean-Noël Rey, ha sintetizzato la conclusione dell’analisi che viene condotta nel progetto di “Nuovo programma economico” del Pss. Rey ha ripercorso tale analisi, ricordando le grandi sfide della nostra epoca (più mondializzazione e concorrenza, cambiamenti socio-economici, instabilità cronica dei sistemi) e le loro caratteristiche negative (crescita economica a detrimento delle risorse naturali e della giustizia sociale, tendenza alla concentrazione del capitale e del potere economico, accentuazione delle diseguaglianze, predominio della finanza sull’economia. Indebitamento crescente senza piena occupazione). Anche il capitalismo è cambiato. È diventato “capitalismo patrimoniale”, per cui contano gli affari gestiti dai manager e gli azionisti sono degradati al rango di spettatori. Ma è anche capitalismo mondializzato e deregolato, che chiede sempre più flessibilità al mercato del lavoro. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il passaggio da una società industriale ad una società di servizi sconvolge le abitudini, modifica le strutture economiche, cambia le competenze richieste ed espone i salariati a nuovi rischi. La Svizzera, in particolare, come gli Stati Uniti ha conosciuto una delle più profonde crisi della storia moderna, con le sbandate borsistiche e gli imperi che crollano. «Il capitalismo da casinò ha esposto l’economia a più rischi, compromettendo anche la nostra capacità di dominare e gestire tali rischi», dice Rey. Da questa ridotta capacità di gestione dei rischi derivano gli errori compiuti. Invece di umanizzare il processo di cambiamento (controllare ed accompagnare le trasformazioni sociali, aiutare i salariati ad adeguarsi alla nuova realtà, sostenere i più deboli), le forze più brutali del capitalismo hanno seminato i germi di nuove diseguaglianze. La questione implica una risposta in termini di nuova politica economica. «Sono indispensabili nuove riforme fondamentali per rimettere il capitalismo al suo posto, civilizzare l’economia e riconciliarla con la società grazie ad una politica economica del pieno impiego». Come, in concreto? A spiegarlo è stata Susanne Leutenegger Oberholzer, che condivide con Rey la copresidenza della commissione economia. «Il Partito socialista ha sottovalutato la debolezza della crescita in Svizzera, e quindi la mancanza di dinamismo e d’apertura alle riforme strutturali nel nostro paese» dice la consigliera nazionale basilese. La Svizzera deve perciò mettere a profitto le potenzialità di cui dispone. Viviamo non al di sopra, ma al di sotto dei nostri mezzi, per cui c’è spazio per sviluppare una migliore politica economica che preveda: il pieno impiego; una crescita tra il 2 e il 3 per cento annuo; la riforma ecologica dell’economia; l’uguaglianza tra uomo e donna (parità a livello professionale e salariale); la giustizia distributiva (l’aumento di produttività deve significare aumento del potere d’acquisto); l’eurocompatibilità (non riprendere passivamente tutte le norme europee, ma definire in quale modo preparare, sul piano economico, sociale ed ecologico, l’adesione all’Ue); la riforma strutturale del mercato interno; la regolamentazione internazionale (non si può frenare la globalizzazione, tanto vale partecipare alla sua determinazione). Rispetto all’adesione all’Ue, va chiarito, dice Leutenegger Oberholzer, che «noi abbiamo presente l’obiettivo dell’adesione, ma la formulazione di misure d’accompagnamento sociali ed economiche rimane centrale. Se non lo facessimo, non potremmo più trovare in Svizzera un consenso maggioritario sul tema». Restano ovviamente molte questioni aperte, oggetto di controverse opinioni anche all’interno del partito, rispetto alle quali il dibattito sul programma economico dovrebbe fare chiarezza. Tali questioni sono: la compatibilità della crescita economica con uno sviluppo durevole; il ritmo di adeguamento dell’agricoltura all’Unione europea; la libera concorrenza e le modifiche strutturali; la politica fiscale (aumentare l’Iva per finanziare l’abbandono dei premi di cassa malattia uguali per tutti?); la gestione dei costi della salute e l’introduzione di un finanziamento più sociale della sanità; la creazione di una banca postale; nella strategia di adesione all’Ue, un periodo di transizione per il franco svizzero o per l’adeguamento del servizio pubblico; le tensioni tra gli interessi economici della Svizzera e quelli dei paesi poveri. Quanto alla questione del superamento del capitalismo, il presidente Fehr non ha dubbi: «Noi intendiamo il superamento del capitalismo attraverso la democratizzazione dell’economia. La socialdemocrazia ha sempre coltivato la visione di una società al di là del capitalismo. Forse non ha sempre usato le stesse parole, ma questo obiettivo è sempre stato chiaramente una costante nel lavoro programmatico del nostro partito. Tuttavia, questo tema non entra in questo progetto di politica economica, ma nella revisione del programma del partito. È infatti nell’ambito della revisione totale del nostro programma che un gruppo di lavoro deve occuparsene».

Pubblicato il

21.10.2005 01:00
Silvano De Pietro