Una mezza vittoria per Sarkozy

Sarkozy è convinto di aver vinto la battaglia contro i ferrovieri. «Questa riforma si farà – ha commentato – l'avevo promessa e non faccio passi indietro». Sulla carta, in effetti, i nove giorni di sciopero delle ferrovie e nella metropolitana parigina, che hanno quasi paralizzato il paese, non sono serviti a far ritirare il progetto di riforma: il governo vuole portare a 40 anni di contributi per tutti il periodo di tempo necessario per poter andare in pensione a tasso pieno. I "regimi speciali" di cui godono i ferrovieri e i macchinisti a Parigi, 37,5 anni di contributi, saranno aboliti. Ma la svolta avvenuta alla direzione della Cgt, con la scelta della strada della trattativa, renderà meno drastica questa riforma. Le trattative, realizzate certo azienda per azienda (come voleva il governo), ma con la presenza di un rappresentante dello stato (come richiesto dalla Cgt) dovrebbero permettere di approvare una serie di ammmortizzatori che renderanno meno doloroso il passaggio ai 40 anni per queste categorie. Con il risultato che l'obiettivo della riforma – il risparmio dei fondi pubblici che andavano a complemento del fondo pensioni in situazioni dove ci sono 500 mila lavoratori attivi e 1,2 milioni di pensionati con la prospettiva di un rapporto sempre più sfavorevole nel futuro – non sarà all'altezza delle attese del governo. La riforma, cioè, sarà costosa.
Ma ci sono altri "ma" che attenuano la vittoria sul campo di Sarkozy. Bernard Thibault, segretario della Cgt ed ex leader del lungo sciopero dei ferrovieri nel '95, ha scelto la trattativa con la convinzione che l'opinione pubblica, a differenza del '95, non stava dalla parte dei ferrovieri. Ma la forza del movimento e la determinazione della base, scettica alla Cgt nei confronti della svolta di Thibault e più radicale a Sud-Rail, non si è esaurita con i nove giorni di sciopero. Se le trattative non daranno i risultati voluti, la protesta potrebbe riprendere. Inoltre, come afferma in privato Sarkozy (tra l'altro riprendendo l'espressione del portavoce della trotzkista Lcr, Olivier Besancenot), la riforma dei "regimi speciali" non è che "l'antipasto" di quello che Sarkozy sta preparando per il prossimo futuro. Tra i progetti più importanti – e più contestati – c'è la riforma giudiziaria, che si tradurrà con la chiusura di un terzo dei tribunali. Il 29 novembre, fatto inabituale, protesteranno magistrati e avvocati in tutto il paese. E nel 2008, c'è in progetto una riforma più generale delle pensioni, per far salire da 40 a 41 anni (e poi a 42) il periodo dei contributi. L'incomprensione dell'opinione pubblica verso la protesta dei ferrovieri, che sono stati presentati dal governo come dei "privilegiati", potrebbe trasformarsi in un'adesione alle lotte per la difesa dei diritti acquisiti. In più, sempre nel 2008, è in programma la riforma del diritto del lavoro. «Un giorno – afferma Sarkozy – direte che ho riformato altrettanto di Margaret Thatcher».
Dei segnali di una resistenza generalizzata ci sono già stati: la funzione pubblica ha scioperato martedì 20, il tasso di partecipazione è stato molto alto. La "confluenza" con lo sciopero dei ferrovieri non è avvenuta completamente, ma Sarkozy rischia di trovarsi di fronte a un fronte compatto se non rispetterà la principale promessa per la quale è stato eletto: aumentare il potere d'acquisto. Era questa la principale motivazione della mobilitazione del pubblico impiego, preoccupato anche dai tagli all'occupazione (meno 22 mila 900 posti nel 2008, di cui 11 mila 200 nella scuola, 150 mila pubblici dipendenti in meno in cinque anni, secondo i sindacati). Finora, c'è stato il regalo di 15 miliardi di euro di riduzioni fiscali per i più ricchi, quest'estate. Ieri Sarkozy ha rivelato il suo piano per aumentare il potere d'acquisto di tutti i francesi. Ma nessuno ha la bacchetta magica. Già l'ingiunzione "lavorare di più per guadagnare di più", concretizzata con sgravi di contributi sugli straordinari, non ha dato i risultati previsti. Anche le misure presentate giovedì potrebbero essere un buco nell'acqua, visto che non c'è nessuna intenzione né di aumentare lo smic (salario minimo) né gli stipendi del pubblico impiego.
In questi giorni, anche le università sono in agitazione. Anche in questo caso, c'è divergenza tra i dirigenti dei principali sindacati degli studenti, in particolare l'Unef, e la base più radicale. L'Unef vuole trattare per migliorare la riforma sull'autonomia delle università, la base ne chiede il ritiro. Anche nel caso degli studenti, l'inquietudine è lo spettro del "sempre meno": c'è timore per una privatizzazione strisciante delle università, poiché dei finanziamenti privati potranno ormai intervenire, orientando le cattedre. Gli esempi che vengono dall'estero, soprattutto dagli Usa, dicono che le tasse di iscrizione potrebbero aumentare e che, con i finanziamenti privati, si accentueranno le differenze tra "buone" università e quelle considerate di serie B. Sarkozy ha giocato la carta dell'uguaglianza per additare i ferrovieri come dei "privilegiati", ma questa carta potrebbe rivoltarsi contro di lui. Nelle università, nel campo della giustizia, nel potere d'acquisto. Sarkozy potrebbe aver vinto la battaglia dei "regimi speciali", ma potrebbe perdere la guerra delle grandi riforme di stampo liberista che vuole imporre a passo di carica. «Dall'inizio – spiega lo storico Emmanuel Todd – il sarkozismo funziona su una designazione dei colpevoli del malessere francese, di capri espiatori. Nelle banlieues, sono i figli degli immigrati, oggi sono diverse categorie di funzionari e assimilati».  
Sarkozy si scontra con un sentimento generalizzato di pessimismo. La classe media si sente scombussolata dai cambiamenti economici mondiali in corso. Era il pilastro della democrazia e ora non si sente più protetta dallo stato. Nelle università, in questi giorni, molti studenti mettono in evidenza il fatto che, se aumenteranno le tasse di iscrizione, molti dovranno rinunciare. La funzione democratica dell'università, diventata di massa negli anni '90, sembra una parentesi che verrà chiusa. Sarkozy gioca la carta degli uni contro gli altri, i ferrovieri contro gli utenti dei trasporti che non possono andare a lavorare, gli studenti che scioperano contro quelli che seguono i corsi. Ma non è detto che i francesi cadano nella trappola. Il malessere è diffuso, c'è un comune denominatore che percepisce una società in declino, dove le regole saranno sempre più dure per la maggioranza mentre solo una minoranza riuscirà a cavarsela, ma non per meriti personali (come vorrebbe far credere Sarkozy) ma per appartenenza alle classi privilegiate, che si arricchiscono sempre di più.


Si riaccende la "banlieue" 

Novembre 2007 come l'autunno 2005? Sono in molti a chiederselo. Secondo quanto affermano i sindacati dei poliziotti, potrebbe anche essere peggio. «Nel 2005 se la prendevano con le cose, adesso attaccano le persone», dice un poliziotto di Unsa-police (sinistra). Nella seconda notte di violenze, tra lunedì e martedì, che ha fatto seguito alla morte di due ragazzini di 15 e 16 anni, in uno scontro frontale tra la loro mini-moto e un'auto della polizia, a Villiers-le-Bel 82 poliziotti sono rimasti feriti, tra cui cinque gravemente. Una scuola materna e una biblioteca sono state bruciate. Dei gruppi di giovani hanno dato fuoco a delle auto, rotto le vetrine di negozi. Hanno anche fatto ricorso alle Molotov. Si sono fatti scudo di portiere divelte di automobili. La rabbia è esplosa di nuovo, due anni dopo la rivolta del 2005.
All'origine, un fatto analogo. Come nel 2005 a Clichy-sous-bois, dove due ragazzini erano rimasti fulminati in una centralina elettrica dove si erano rifugiati perché inseguiti dalla polizia, domenica a Villiers-le-Bel, una cittadina di 27mila abitanti a una ventina di chilometri a nord di Parigi, nel Val d'Oise, due ragazzi che circolavano su una mini-moto, senza casco, sono stati travolti da un'auto della polizia. Immediatamente, la rabbia è esplosa. Molte voci si sono sovrapposte, senza poter essere verificate. I poliziotti sono scappati, dicono alcuni, hanno lasciato i due ragazzi sul bitume senza curarsene. Falso, rispondono i primi elementi dell'inchiesta, i soccorsi sono arrivati dopo dieci minuti e i poliziotti se ne sono andati solo quando sono arrivati i pompieri. Il primo ministro promette che «l'inchiesta sarà esemplare». Nicolas Sarkozy riceverà mercoledì le famiglie dei due ragazzi deceduti all'Eliseo e subito dopo terrà un "consiglio sicurezza", con il primo ministro, il ministro della giustizia, Rachida Dati e degli interni, Michèle Alliot-Marie e la sottosegretaria alle aree urbane, Fadela Amara, che viene dalle banlieues e che dovrebbe presentare tra breve un piano per il recupero di queste zone abbandonate. Ma il governo sembra voler scegliere soprattutto la via repressiva. Alliot-Marie insiste: «ci sono dei provocatori, non lasciatevi trascinare». Per il primo ministro François Fillon le violenze sono «inammissibili, inaccettabili, intollerabili», chi spara - perché secondo i poliziotti, a differenza del 2005, ci sono stati colpi di arma da fuoco contro di loro a Villiers-le-Bel e nei comuni vicini dove si è estesa la rivolta – è un «criminale». Ci saranno più poliziotti a Villiers-le-Bel e dintorni.
L'inchiesta, forse, stabilirà come sono andati i fatti. Ma il problema è che un fatto di cronaca è ormai in grado di scatenare una rivolta. Perché la rabbia cova da anni. Nel 2005 erano state fatte molte promesse. Ma poche cose si sono mosse da allora. Certo, c'è stato il piano di rinnovamento urbano del 2003, voluto dall'allora ministro agli affari sociali, Jean-Louis Borloo (oggi all'ecologia). Prevede la distruzione e la ricostruzione di 250mila alloggi popolari e la riabilitazione di altri 400mila. Il finanziamento è di 35 miliardi di euro. A Villiers-le-Bel sono previsti vari progetti di applicazione di questo piano. Ma i lavori sono in ritardo. Gli abitanti hanno l'impressione di non avere nulla. La disoccupazione continua ad essere il doppio della media francese nelle banlieues. La discriminazione, su base razziale, continua. La scuola è in crisi qui più che altrove. Tutti sembrano aver perso la speranza. La violenza esplode, come un grido di dolore e un suicidio collettivo.     

Pubblicato il

30.11.2007 04:00
Anna Maria Merlo