Nelle scorse settimane ho visto "fiorire" sulle giacche di molti miei allievi le spille di solidarietà e sostegno alla lotta delle Officine. Li ho sentiti parlare tra loro e con me di quanto accadeva e darsi appuntamento per andare in piazza. Era molto, molto tempo che ciò non accadeva. E le spille apparivano sul petto di tutti, dei leghisti e dei "molinari", di ragazzi che non hanno mai espresso una posizione politica e su quello di chi si è schierato politicamente fin dal primo giorno di scuola. Poi li ho incontrati in piazza, nei cortei, nell'Officina. Ex-allievi e allievi, di provenienze politiche e regionali molto diverse tra loro. C'erano! A Chiasso, come a Bellinzona e a Berna! Ed è stato bello vedere tanti giovani nell'Officina, nei cortei, ai dibattiti. È stato bello, a tratti davvero entusiasmante, ma è stata soprattutto una lezione importante. Perché sono comparsi come per magia? Perché prima era molto difficile vederli? Perché improvvisamente hanno contribuito a riempire la piazza, insieme a tanti quarantenni, a tanti anziani e a tante facce nuove? Cosa mancava prima o, meglio, cosa hanno dato in più le Officine per riuscire a far scendere in piazza tanti giovani? Una cosa sola, credo (ma è una enormità): la speranza! Quella speranza che mancava da troppo tempo in Ticino e in tutto il nostro modo di crescere, arricchirci (o impoverirci) e vivere. Una speranza grande, ricca, fatta di sostegno e solidarietà reciproca, fatta di discussioni, litigate e abbracci, fatta di quotidianità, fatta di grandi competenze e capacità progettuali, tecniche, economiche, politiche e di cultura industriale di grande valore, ma fatta anche di un piatto di pasta e del suono di un'orchestra. Una speranza capace di far venire ai giovani il coraggio, anzi la voglia di guardare avanti. Una speranza capace di convincere tutti che la loro presenza è importante e che, insieme, si può davvero cambiare qualcosa. Una speranza che è cresciuta, è debordata levitando dalle Officine in tutto il Cantone e si è trasformata, settimana dopo settimana, nella speranza di un intero Paese, dei nostri giovani. Certo, aggiungendo anche questo a tutte le altre sfide che le Officine incarnano e conducono con decisione (i posti di lavoro, le competenze formative e tecniche, il tessuto industriale, il servizio pubblico, le finanze regionali, ecc., ecc), la responsabilità che sembra incombere sugli scioperanti e sulle Officine è immane! Ma non è giusto che lo sia. Adesso spetta a tutti noi, al Paese intero, alla politica e ai sindacati, all'economia, alle realtà comunali e alle autorità cantonali imparare la lezione e continuare ad offrire speranza (anche di fronte alle tante batoste che ci cadranno addosso – e la vicenda delle Officine Franzi è lì a ricordarcelo) a chi deve ancora immaginare e costruire la propria vita futura. |