«L’elemento comune delle due modifiche legislative è la possibilità di disdire più facilmente i contratti di locazione. Secondo noi è questo l’obiettivo finale dei promotori. E perché voler disdire più facilmente i contratti? Perché quando l’inquilino cambia, il prezzo aumenta. Sempre». Così Adriano Venuti, presidente della Sezione Svizzera Italiana dell’Associazione Svizzera degli Inquilini (ASI/SSI), riassume le implicazioni delle due revisioni al Diritto di locazione in votazione il prossimo 24 novembre, contro le quali sono stati lanciati due referendum. Le modifiche, proposte e approvate in Parlamento dalla destra e fortemente sostenute dalla lobby immobiliare, riguardano i termini di sublocazione e di disdetta per bisogno personale. Per il comitato referendario, le revisioni costituiscono un massiccio attacco contro la protezione degli inquilini. Vediamo perché. Adriano Venuti, in quali cambiamenti pratici si tradurrebbe l’introduzione delle due revisioni? Per quanto riguarda la modifica dei termini di disdetta per bisogno personale, la legge giustificherebbe quest’ultima con un “bisogno attuale e oggettivo” invece dell’attuale “bisogno urgente”. Ciò renderebbe più facile la presa di possesso del bene immobile da parte del nuovo proprietario. La dimostrazione di un bisogno serve per capire quali sono gli interessi in gioco: a un inquilino che abita lì da 15-20 anni non si può dire di uscire entro 3 mesi, perché ha bisogno di tempo per trovare un nuovo appartamento che si confaccia ai suoi bisogni. Serve tener conto delle necessità di entrambe le parti, ma la modifica sbilancia gli equilibri a favore del proprietario, il cui bisogno diventa più importante anche quando meno urgente, visto che non è molto chiaro cosa voglia dire “bisogno attuale”. Sono situazioni delicate. Facciamo l’esempio di un ristorante che funziona molto bene. Il gerente paga l’affitto, ha investito per costruire l’interno del locale e dà lavoro a delle persone. Un acquirente potrebbe passare da lì, vedere che c’è un’attività che funziona, comprare l’immobile e poi dare disdetta al gerente per poi gestire il ristorante. C’è un problema di sfruttamento, e questa modifica potrebbe nuocere anche alle attività commerciali. E per quanto riguarda la revisione della sublocazione? Una categoria sulla quale potrebbe ripercuotersi è quella degli studenti, che avrebbero più difficoltà ad affittare una camera... Pensiamo anche ai professionisti, per esempio a un architetto che condivide il suo studio con un altro. Uno dei due è in sublocazione, come lo sono in generale gli spazi di co-working. La revisione non riguarderebbe, quindi, solo studenti o inquilini in generale, ma anche le attività professionali, che potrebbero essere messe a rischio. La prassi per la sublocazione, oggi, vuole che si avvisi il proprietario dell’immobile, che gli si notifichi chi ne beneficerà e quanto si guadagnerà. La modifica comporterebbe che la prassi dell’annuncio al proprietario venga messa per iscritto nella legge, rendendola però più complicata. L’inquilino che intende sublocare uno spazio o l’intero appartamento dovrebbe fare domanda scritta al proprietario, che avrebbe libertà di accettare o meno senza dover giustificare la propria decisione. La sublocazione potrebbe poi essere fatta per al massimo due anni. Se tutta questa procedura – per inadempienza o per distrazione – non seguisse quanto prescritto, il proprietario avrebbe diritto di dare disdetta con un termine di soli 30 giorni, un termine eccezionale e molto breve. Questo sarebbe un grosso problema, per esempio per uno studente che subaffitta una stanza a un altro, che dopo qualche mese a sua volta potrebbe cambiare università e quindi appartamento; oppure pensiamo a un professionista, per il quale diventerebbe difficile investire in uno spazio professionale condiviso se sapesse di potervi restare solo due anni. Sono situazioni delicate, e ciò che noi individuiamo di comune tra le due proposte è la possibilità di disdire più facilmente i contratti per poter poi aumentare il prezzo degli affitti. A dirlo è anche uno studio commissionato dall’Ufficio federale dell’alloggio alla Banca cantonale di Zurigo, che ha dimostrato come gli affitti iniziati nel 2005 e durati continuativamente fino al 2023 siano aumentati in media del 5%, mentre un appartamento affittato nel 2005 e i cui inquilini sono nel frattempo cambiati diverse volte costa il 25% in più. Agli interessi di chi fanno capo queste proposte? Queste revisioni sono volute dalla destra parlamentare e dalla destra della società civile, ossia rappresentanti dei proprietari fondiari come l’Associazione Svizzera dei Proprietari Immobiliari (HEV). La lobby immobiliare è costituita da coloro che ricavano interessi economici dal mercato immobiliare. L’abitazione, però, non è un capriccio, perciò non si dovrebbe poter lucrare eccessivamente sull’alloggio. La destra vuole invece aumentare i profitti, e lo fa anche perché il mercato sta cambiando: una volta erano tanti i piccoli proprietari che col frutto del loro lavoro avevano potuto comprare qualche appartamento da affittare, ma oggi ad essere determinanti sono sempre più le grandi società immobiliari, come fondi di investimento e casse pensioni. Questi grandi fondi si apprestano a diventare la maggioranza dei proprietari e nei prossimi anni controlleranno una fetta di mercato sempre più grande. Questo cambia il rapporto tra proprietario e inquilino, che perde la possibilità di discutere direttamente con il proprietario. L’aumento del preggio delle pigioni, rilevato anche dallo studio della Banca cantonale di Zurigo, è stato da voi definito a più riprese “un furto ai danni degli inquilini”. Se si guarda all’evoluzione dei prezzi al consumo, a quella delle pigioni, degli stipendi e del potere d’acquisto, si nota il divario impressionante. Il prezzo delle pigioni è salito molto più dell’inflazione, che è già sintomo di un problema, specie se si tiene conto del fatto che fino a 1-2 anni fa i tassi ipotecari sono sempre scesi. Questo doveva essere riversato sugli inquilini, ma non sempre è stato fatto. C’è quindi gente che ha pagato e paga più di quanto dovrebbe. Abbiamo calcolato che gli inquilini pagano 360 franchi al mese di troppo, ma nessuno fa dei controlli sul fatto che le pigioni superano il rendimento consentito. Neppure sulla disdetta per bisogno personale verrebbero fatte verifiche per capire se il proprietario vuole davvero riprendere possesso del bene immobile. Le due revisioni non sono state inserite in un unico disegno di legge ma sono state fatte separate. Qual è la vostra posizione a riguardo? Manca una visione di insieme. Malgrado queste due misure siano al voto contemporaneamente, altre proposte andranno al voto l’anno prossimo sembrando ora decontestualizzate, mentre invece non lo sono. Portando piccole iniziative singolarmente, all’opinione pubblica manca la visione d’insieme del disegno della lobby immobiliare che mira a precarizzare l’inquilino e ottimizzare i redditi. Secondo voi come bisognerebbe muoversi, anche politicamente, per tutelare gli inquilini e combattere questa precarizzazione? Servirebbe un controllo sulla legittimità delle pigioni, e la verifica del fatto che non ci sia un rendimento troppo alto e una speculazione. A questo miriamo con l’iniziativa popolare che intendiamo lanciare l’anno prossimo: l’idea è chiedere che le pigioni possano essere controllate e la loro correttezza verificata. È fondamentale, perché oggi i prezzi sono insostenibili. Non si può pagare in affitto un quarto (o più spesso un terzo) del proprio stipendio. C’è poi la questione della penuria degli alloggi, anche se in Ticino siamo ancora a un tasso sostenibile. Benché sia percepito come un problema perlopiù nel resto della Svizzera, per la prima volta anche il Ticino ha tuttavia visto diminuire il tasso di sfitto. Il rischio è quello di andare verso una penuria d’alloggi anche nel nostro Cantone. Ciò contribuirebbe a determinare ulteriore tensione sul mercato immobiliare e margine per un ulteriore aumento delle pigioni. |