Una domenica rossa

Bellinzona, domenica 19 ottobre, ore 18. A pochi metri dalla Casa del popolo un funzionario di lungo corso dell’amministrazione cantonale ammette a denti stretti: «Ce ne vuole perché un radicale di ferro come me voti socialista». Bellinzona, domenica 19 ottobre, ore 17.30. In piazza Governo sono appena finiti i discorsi di dirigenti e candidati del Ps. Un “molinaro” passa un foglietto nelle mani di un giovane: «L’opposizione deve basarsi su quanti tozzi di pane e litri d’acqua ottenere o lottare per spezzare le catene? Noi crediamo che l’unica risposta possibile sia la ribellione», sta scritto. Poco prima, i ragazzi del Centro sociale autogestito Il Molino avevano appeso al muro del Palazzo del governo uno striscione che fa: “Contro le destre basta con i patty. Rivolta sociale, autorganizzazione”. Miracoli della politica. Marina Masoni, Marco Borradori, Luigi Pedrazzini e Gabriele Gendotti sono riusciti nell’impresa di far marciare fianco a fianco dei «radicali di ferro» di mezz’età (e non solo radicali c’erano) e dei giovani libertari. Nessuno di loro si dev’essere sentito chiamato in causa dai “compagne e compagni” in provenienza dall’improvvisato palco degli oratori socialisti al bordo della fontana della foca. Ma resta il fatto che sia gli uni sia gli altri erano lì. Fra le tre e le cinque migliaia di persone hanno sfilato domenica pomeriggio per il centro di Bellinzona in segno di protesta contro la parziale esautorazione di Patrizia Pesenti dal Dipartomento della sanità e della socialità (Dss). Quando gli uffici elettorali erano chiusi da poche ore, una folla che ha sorpreso gli stessi esponenti del Partito socialista che l’aveva convocata si è adunata davanti alla Casa del popolo, nei pressi della stazione. Cittadine e cittadini di ogni età e credo politico hanno accolto fra gli applausi la consigliera di Stato socialista che, emozionata e alle prese con un megafono troppo debole per la sua voce, ha ringraziato i presenti «a nome di tutti i ticinesi» per il sostegno che «ci permetterà di dire no a questo modo di gestire il potere, arrogante e intimidatorio che nulla ha a che vedere con un sistema democratico». Il megafono è passato rapidamente di mano in mano: da Patrizia Pesenti alla presidente del Ps Anna Biscossa, da Franco Cavalli a Werner Carobbio e infine a Marina Carobbio Guscetti che a quel punto – dopo le prime proiezioni – aveva ancora in tasca il biglietto per Berna. Fra gli applausi, i cori di “Masoni dimissioni” e qualche insulto di un sindacalista bellinzonese della Vpod all’indirizzo della maggioranza del governo, il corteo ha imboccato a passo spedito Viale Stazione. A guidarlo erano Franco Cavalli, Anna Biscossa, Marina Carobbio Guscetti, Fabio Pedrina, il deputato Bill Arigoni e altri che a turno sorreggevano uno striscione con la scritta “Contro i tagli di chi teme i socialisti pResenti”. Quando la testa del corteo aveva ormai raggiunto la sede del Municipio in piazza Nosetto, quasi un chilometro più su gli ultimi si erano appena incamminati per piazza Governo dov’erano previsti i discorsi. Anna Biscossa ha parlato di giornata «storica», mentre Franco Cavalli ha detto che «non c’è nessun scambio di dipartimento da discutere», che bisogna «solo ridare a Patrizia quel che è di Patrizia e del nostro partito». Fabio Pedrina ha definito «forte» il segnale che la piazza ticinese stava lanciando al nord delle Alpi: «un segnale che qui in Ticino la destra è stata ridimensionata, finalmente». È stato lui a ricordare a tutti – suscitando applausi tutt’altro che timidi – che in piazza non c’erano solo “compagne e compagni”. Chissà se l’ha sentito anche chi – a pochi metri da lui, vicino e sopra la targa all’entrata dell’ex convento delle Orsoline sede del Governo – ha scritto con un pennarello nero nella notte fra venerdì e sabato: “W Pesenti, M i 4 fascisti”?

Pubblicato il

24.10.2003 05:00
Stefano Guerra