«Ogni sabato sera per i bambini è una festa. Mi dicono “che bello, allora domani stiamo in casa!”». Per Marzia, lavoratrice frontaliera alla Coop di Grancia, la domenica è l’unico giorno della settimana in cui può godersi la famiglia al completo. Seguendola per oltre 24 ore (si veda a pagina 3) abbiamo visto da vicino quanto poco spazio le resta negli altri giorni della settimana per stare con i suoi figli di 6 e 4 anni. Quotidianamente trascorre quasi tre ore in auto tra andata e ritorno dal luogo di lavoro e raramente riesce a tornare a casa la sera in tempo per cenare con i bambini, quando non li trova già addormentati. Marzia accetta di buon grado, quando la ditta lo richiede, di fare degli straordinari anche lavorando la domenica. Straordinari che però teme possano diventare un domani la norma. Una preoccupazione realistica la sua di fronte alla votazione del 27 novembre in cui si deciderà se dare il via libera alle aperture domenicali dei negozi nelle stazioni e negli aeroporti. Un’eccezione a favore dei viaggiatori, affermano i sostenitori; una breccia verso la liberalizzazione completa, ribattono gli oppositori (si veda a questo proposito l’articolo a pagina 4). È vero, non per tutti la domenica è sacra. La convenzione del riposo dal lavoro in un giorno della settimana in cui si celebra il Dio dei cristiani può andar stretta a chi viene da una cultura laica o da un altro credo religioso. Sono queste le persone che probabilmente fungeranno da ago della bilancia per la votazione. Persone, che pur dalla parte dei lavoratori e del rispetto dei loro diritti, non riescono a capire perché bisogna battersi contro le aperture domenicali quando, dicono, spetterebbe alle lavoratrici e ai lavoratori scegliere in quale giorno riposarsi. Dicono anche che l’incontrarsi della famiglia, le relazioni in genere non dipendono più da uno spazio temporale ormai cristallizzato da una convenzione religiosa. Scorgiamo in tutto questo una sorta di atteggiamento fatalista che scorre sull’onda dell’“evoluzione del mercato” al quale sempre più ci stiamo adattando. Ma quanto più stiamo rischiando di plasmare la nostra vita ai ritmi del consumo, tanto più dovremmo allertarci e chiederci se la difesa della domenica come spazio libero dal rituale della vendita e del consumo non coincida sempre di più con la difesa del nostro spazio personale. E in quest’ottica è importante salvaguardare un giorno della settimana, far sì che continui ad essere una piazza d’incontro fra la gente, una piazza metaforica in cui ognuno può essere libero anche di annoiarsi, di cercare un amico, di stare in famiglia. Per far sì che l’unica “piazza” in cui Marzia può incontrare la sua famiglia non venga invasa dai banconi dei centri commerciali.

Pubblicato il 

11.11.05

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