Una come te nel dormitorio

Le vicissitudini di una giovane italiana: studi superiori ma non trova un lavoro fisso e finisce in una struttura per senzatetto fra violenze e solitudine

Abbiamo conosciuto Lara nel 2015 per il suo impegno di attivista a favore dei migranti. Oggi, febbraio 2017, siamo di nuovo a Milano, ma questa volta per ascoltare la sua storia. La giovane donna italiana non riesce a trovare un lavoro stabile ed è finita in un dormitorio. Storie di nuova povertà...

Lara ha 35 anni, ha frequentato l’università («il Dams a Bologna, ma per terminare mi mancavano due esami che non ho dato») ed è piacevole ascoltarla parlare. È una giovane donna vivace intellettualmente ma tranquilla e pacata nei modi, preparata e seria, con lo sguardo attento e gentile di chi presta attenzione non solo a sé stesso, alla sua storia, ma anche agli altri. L’avevamo conosciuta nel 2015 ai Bastioni di Porta Venezia, dove con altri attivisti di un centro sociale si dava molto da fare nel pieno dell’emergenza degli eritrei che arrivavano a fiotti in Italia sui barconi. Coordinava con altri militanti della sua rete gli aiuti di prima necessità: le informazioni di base per muoversi nel nuovo paese, ma anche un paio di scarpe, indumenti, un pasto caldo, una saponetta, una coperta e un sacco a pelo per coloro che dormivano in mezzo alla strada.


Un amico ci segnala che Lara sta vivendo in un dormitorio pubblico nella metropoli lombarda in una condizione di forte precarietà e difficoltà dentro alla struttura a conduzione cattolica. In un dormitorio? Ma chi? Stiamo parlando di quella Lara, con studi superiori, cittadina italiana residente nel suo territorio, che collabora anche con testate nazionali, si occupa di cultura ed è membro di numerose giurie?  Sì, è lei: «Sono stata un’attivista e quindi per me è stranissimo essere qui. Ho frequentato un corso sui diritti degli immigrati, ho svolto pure un tirocinio in un centro di pronta accoglienza e mai avrei pensato di finirci pure io. Sto scrivendo la mia storia, ma non sono pronta per farlo fino in fondo adesso perché sono molto giù. Sicuramente un articolo che racconta come questa cosa possa succedere anche agli italiani (o agli svizzeri) può essere utile per molti» ci dice quando la contattiamo per chiederle se vuole parlarne.


La giovane donna non ha un soldo e la sua storia è il riflesso della crisi politica europea, prima ancora che economica, le cui conseguenze le pagano sulla pelle quei lavoratori perennemente costretti ad accettare impieghi a breve durata, occupazioni precarie, mandati su chiamata, stage poco retribuiti se non a partecipazione gratuita. E per favore, non cadiamo nella tentazione di dare la colpa agli stranieri che ruberebbero il lavoro. Qui il lavoro quando c’è, lo devi pagare quasi tu per avere l’onore di farti assumere e contribuire a produrre ricchezza per gli altri. A te le briciole. Quelle briciole che Lara conosce bene: «La struttura che mi accoglie offre solo colazione e cena. Per me non ricevono i 35 euro di contributo giornaliero e quindi non ho diritto a pranzare. Così con l’euro o l’euro e cinquanta che mi ritrovo in tasca, mi infilo in una panetteria e compro una pagnotta per riempirmi e tirare fino a sera con meno buchi possibili nello stomaco». Dal quel pane con cui cerca di non sentire la fame, tenta di prendere le energie per sua giornata professionale: sì, perché Lara lavora. Certo, uno dei suoi soliti impieghi provvisori; ora è impegnata sino alla fine di marzo in una borsa lavoro di ricerca nel campo delle arti.


«Perché sono in un dormitorio? Semplicemente perché non ho mai avuto in vita mia un posto stabile, un’assunzione a tempo indeterminato che mi permettesse di organizzare la vita privata, prendendo ad esempio un appartamento in affitto... Cose normali: ecco, io quella normalità non la conosco, nonostante lo sforzo e l’impegno: solo uno stress incredibile, che non riesco neppure a spiegare a parole. E non ho una famiglia dove tornare o sulla quale poter contare come fanno altri giovani nella mia stessa condizione. Dopo anni di precariato, soprattutto esistenziale, oggi mi ritrovo molto stanca, con le risorse personali esaurite, fatico a concentrami nel redigere un articolo, mi accorgo di essere più lenta quando lavoro», spiega Lara sul cui volto osserviamo i segni della stanchezza e dell’ansia.


Dopo anni di crisi, la povertà è diventata ancora più vicina e visibile e sta inglobando sempre più persone anche con profili qualificati. Gli ultimi dati 2016 dicono che in Italia 4,6 milioni di persone vivono in povertà assoluta, in Lombardia ci sono 670 mila indigenti e a Milano, secondo il Banco Alimentare, sono 3.000 i minori che non hanno cibo a sufficienza a casa, ricorrendo ai pasti donati dalle associazioni. Lara rientra nella categoria e dopo avere trascorso dieci anni con sistemazioni di fortuna e avventure rocambolesche come la strada impone, ora è finita in un dormitorio. «Sono stata ospitata da amici a ruota, una volta ho dormito pure nascosta in uno studio medico per uscire alla chetichella di buon’ora per non farmi sorprendere. Poi a un certo punto la gente non ti dà più un materasso: in un momento d’emergenza lo fa, ma poi anche un amico di fronte a una situazione cronicizzata ti sgancia. È chiaro, che garanzie di levare le tende posso offrire, senza un contratto di lavoro? Mi sento molto sola, ed è questo l’aspetto più doloroso. Sono stata pure scaricata dagli attivisti con cui condividevo valori. Il dormitorio a matrice cristiana è una realtà ideologicamente odiata dai movimenti e io sono la traditrice di un ideale...».


E del centro dove ti trovi da qualche mese che cosa puoi dirci? «Il parroco, a capo della fondazione che gestisce il centro, è un grande comunicatore. Ho assistito alle sue prediche della domenica: per mezz’ora inneggia all’accoglienza, all’integrazione e i fedeli lo ascoltano con devozione. Poi finisce la messa e nessuno ti saluta, né ti guarda in faccia. Al di là dell’ipocrisia, che fa parte della natura umana, il problema vero è la disfunzionalità della struttura.  


Dal dormitorio devi uscire entro le 9.30 e rientrare dopo le 17.30. Io vado in biblioteca, ma altri che cosa fanno in giro per Milano al freddo? Uscire dovrebbe sulla carta invogliare a seguire corsi di formazione, a cercare un’occupazione: molto difficile in questo mercato del lavoro farlo da solo, per di più se ti trovi in una città sconosciuta e non parli neppure la lingua... Non ti seguono, non c’è progettualità e neppure uno sguardo umano. Non sei una persona, ma un caso. Ora, chi si trova qui, me compresa, è perché ha bisogno di aiuto. Molti ospiti hanno vissuti altamente traumatici e il mancato accompagnamento ha ripercussioni sulla convivenza. C’è una forte violenza, subito psicologica ma anche fisica, all’interno del dormitorio. C’è chi ti sputa a fianco, chi ti dà un calcio senza un motivo per provocarti, cerca lo scontro perché ha i nervi che non reggono più. Io sono in una stanza da sei: dico solo che sono stata minacciata di morte da due coinquiline e, dopo molte vessazioni, non faccio più la doccia, se con me non sta fuori qualcuno di cui mi fido a controllare che non mi aggrediscano».

Pubblicato il

22.02.2017 10:39
Raffaella Brignoni