Una chiara volontà politica

Poco meno di due anni fa, nel commentare i primi dati certi del fiscogate ticinese, avevamo ancora il dubbio se Marina Masoni avesse lasciato deperire per volontà o per negligenza la Divisione delle Contribuzioni. Oggi, dopo il disastro del nevegate, la risposta può essere una sola: aver negato le necessarie risorse (in primo luogo umane) ad alcuni dei servizi centrali nella gestione delle finanze dello Stato (il fisco, l'erogazione di sussidi per il promovimento economico) è stato conseguenza di una chiara e precisa volontà politica. Marina Masoni per 12 anni ha coerentemente applicato con rara determinazione la sua politica del meno Stato e questo, com'era facile prevederlo, ha permesso a quei poteri forti che Masoni in governo ce l'hanno mandata, di farsi i loro affari. Poteri forti che, infatti, hanno ben saputo trarre profitto dalla situazione: basti pensare all'attitudine da padre-padrone di un Giovanni Frapolli, ma anche a quelle forti pressioni giunte sui funzionari del Dfe che ne dovevano valutare le richieste di sussidio e che si sentivano indifesi di fronte a certi baroni ticinesi degli affari e della politica. Così gli azionisti del grande circo masoniano incassavano i loro dividendi: chi dichiarando indisturbato un po' meno d'imposte, chi seminando monti e valli di leggiadre seggiovie.
A maggior ragione lascia oggi perplessi l'atteggiamento fra il passivo e il sottomesso tenuto nelle tre passate legislature dalla maggioranza borghese del governo. Tanto più che i rischi connessi allo strapotere di Masoni e del suo clan erano prevedibili e sono stati anche ampiamente previsti: come quelli legati all'inopportunità della presidenza di Ticino Turismo da parte di Masoni stessa, una carica occupata ad interim per quasi un decennio allo scopo da un lato di divertire i ticinesi con la spassosa direzione di Giuseppe Stinca, dall'altro di gestire clientele senza troppi intralci. Aver lasciato campo libero all'ex direttrice del Dfe è stato un errore politico gravissimo: perché un direttore di Dipartimento non può non interessarsi anche di quanto succede nel motore della macchina-Stato, il Dfe – a meno che non sia disposto ad accettarne supinamente le politiche. Cosa che è poi puntualmente successa: mentre da un lato il fisco regalava milioni ai ricchi e i soliti amici ricevevano piogge di sussidi, dall'altro si arrivava a risparmiare sugli stipendi del personale di pulizia – era questo il masonismo, sempre approvato dalla maggioranza di governo e parlamento e rigorosamente applicato, tranne quando la sinistra riusciva a vincere qualche referendum.
Ma il peggio è che siamo appena all'inizio. Perché i guasti di questa politica scriteriata di progressiva erosione della forza e del ruolo dello Stato si manifestano soltanto ora in tutta la loro evidenza. In particolare nei conti dello Stato, come bene illustra l'analisi di Pietro Martinelli (cfr. pag. 8): siamo in un periodo di buona congiuntura, eppure il Ticino non solo non è in grado di mettere fieno in cascina, ma fatica addirittura ad uscire da un deficit cronico che è diretta conseguenza di una troppo disinvolta politica di sgravi fiscali. E alla prossima recessione, i dolori saranno ancora maggiori. Con buona pace di chi per 12 anni ha teorizzato l'assoluta supremazia del privato sul pubblico per il benessere collettivo e di tutti coloro che gli hanno voluto credere.

Pubblicato il

29.02.2008 00:30
Gianfranco Helbling
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