«Prima di tutto gli interessi dei ricchi. Questa è stata la politica di governo e parlamento degli ultimi quattro anni». Paul Rechsteiner, presidente dell'Unione sindacale svizzera e consigliere nazionale socialista, traccia un bilancio fosco della legislatura che sta per concludersi. Un bilancio non molto dissimile da quello che si poteva fare in passato. «La situazione politica è peggiorata con la forte crescita dell'Udc, che ha assunto il controllo del fronte borghese: il Plr è ormai totalmente a rimorchio e, purtroppo, anche una parte del Ppd su molte questioni. Questo ha favorito tutta una serie di decisioni (in ambito fiscale, previdenziale, finanziario, sociale, di politica del personale e del lavoro) dettate da Economiesuisse e che sono nell'esclusivo interesse dei ricchi».

Paul Rechsteiner, è rimasto qualcuno in questo parlamento a difendere gli interessi dei lavoratori? È soddisfatto del ruolo giocato dal Pss?

Nel quadriennio passato abbiamo vinto in votazione popolare il referendum contro l'11 esima revisione dell'Avs e contro il pacchetto fiscale, mentre in parlamento abbiamo impedito la privatizzazione di Swisscom e adottato misure accompagnatorie all'accordo con l'Unione europea sulle libera circolazione delle persone in difesa dei salari. E questi successi, per pochi che siano, sono stati possibili grazie ai socialisti. Ma anche grazie ai Verdi, il che mi pare molto positivo.
Quindi lei come sindacalista è globalmente soddisfatto?
Certamente no. Gli unici successi, ad eccezione delle misure anti-dumping e degli assegni per i figli, sono stati degli atti di difesa dell'esistente e che quindi non hanno prodotto alcuna conquista. Questa situazione è preoccupante e ora, vista la buona congiuntura economica, è giunto il momento che anche i salariati ottengano qualcosa.
Regolarmente vengono denunciati casi di dumping salariale. Non crede che la sinistra e i sindacati, in cambio del loro appoggio al principio della libera circolazione, avrebbero potuto pretendere di più nel campo delle misure di protezione?
No. Con il sistema di controllo dei salari, che è una novità in Svizzera, abbiamo compiuto dei passi in avanti. Ora c'è per esempio la possibilità di sanzionare chi non rispetta le regole. Il futuro di queste misure lo si giocherà comunque nel settore dell'edilizia, rimasto senza Contratto collettivo per decisione dei datori di lavoro.
In che senso?
Nel senso che il rispetto dei salari minimi è una condizione irrinunciabile. E non solo nell'interesse dei lavoratori ma anche in quello dell'economia svizzera, che ha bisogno di relazioni regolamentate con l'Europa; per un paese come il nostro, inserito in una fitta rete di rapporti internazionali, è indispensabile garantire i diritti sociali e dunque salari svizzeri. Perché altrimenti qui non si vive.
Quale via d'uscita vede per questa situazione venutasi a creare nell'edilizia?
L'Unione svizzera degli impresari costruttori dovrà per forza fare marcia indietro. La loro è una provocazione assolutamente insensata, sia dal punto di vista politico che economico. L'economia gira bene e i salariati hanno diritto ad un miglioramento delle loro condizioni di lavoro e sicuramente non meritano un peggioramento. Il settore è oggi estremamente produttivo, anche grazie alle persone che vi lavorano: la qualità ha un prezzo e questo prezzo si chiama salari adeguati.
Se la situazione non dovesse sbloccarsi, è pensabile che il movimento sindacale si opponga nel 2008 all'estensione della libera circolazione a Romania e Bulgaria e che nel 2009 sostenga l'annunciato referendum contro la conferma dell'accordo con i vecchi paesi dell'Unione europea?
Per noi le misure fiancheggiatrici contro il dumping salariale sono fondamentali. È dunque ovvio che, se gli impresari non tornassero alla ragione non adeguandosi a questa legislazione, le conseguenze sarebbero pesanti. Ma ripeto: resto fiducioso perché stiamo dalla parte della ragione e alla fine vinceremo la prova di forza voluta dal padronato. Anche perché grazie a questa situazione, che per la Svizzera costituisce una novità, i sindacati hanno reimparato a lottare e in questo momento sono in una posizione di forza. Se la grande manifestazione di Zurigo del 22 settembre non è bastata a dimostrarlo, lo faremo attraverso gli scioperi.
Una nuova revisione dell'Avs sarà al centro del dibattito politico della prossima legislatura. I sindacati sono disposti ad entrare in discussione sul principio della flessibilità verso l'alto, tanto caro ai liberali radicali?
Il Plr non vuole la flessibilità, ma semplicemente innalzare l'età di pensionamento. E noi siamo contrari. Come dimostrato dalla votazione sull'11esima revisione dell'Avs del 2004, anche la popolazione svizzera la pensa così, perché sa che un aumento dell'età Avs va ad incidere soprattutto sulle persone con reddito basso e medio. Chi guadagna tanto ed esercita una professione privilegiata, già oggi può continuare a lavorare oltre i 65 anni per poi percepire una rendita superiore. Il caso più classico è quello dei Consiglieri federali. La priorità in questo momento va dunque data alle condizioni dei salariati comuni, a cui va garantita la possibilità di andare anticipatamente in pensione senza subire decurtazioni della rendita.
In questa campagna elettorale anche i partiti borghesi chiedono aumenti salariali. Vuol dire che arriveranno?
Sicuramente gli aumenti non cadranno dal cielo: i sindacati dovranno lottare per ristabilire giustizia, dopo l'esplosione dei salari dei manager, che negli anni passati si sono appropriati dei guadagni conseguiti da tutti i lavoratori. Lo scorso anno abbiamo condotto una vasta campagna sul tema dei salari e abbiano osservato che nei settori in cui la trattativa c'è stata si sono ottenuti per la prima volta aumenti reali. Ora si tratta di compiere il passo successivo e l'anno che ci attende sarà decisivo.
In Ticino è stata recentemente lanciata un'iniziativa popolare che chiede l'adozione di una legge per un salario minimo interprofessionale di 4 mila franchi. Una buona cosa a suo avviso?
La questione del salario minimo è preferibile affrontarla settore per settore attraverso campagne mirate nel quadro delle trattative contrattuali. È più efficace agire vicino ai luoghi di lavoro che non in Parlamento.

Pubblicato il 

12.10.07

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato