Una riforma pensionistica che comporti una riduzione delle rendite e un aumento degli oneri per i salariati non passa. A maggior ragione nell’attuale contesto di grave crisi del potere d’acquisto (dei lavoratori come dei pensionati), che la maggioranza politica che decide in questo paese si ostina a non voler capire. Con l’odierna nettissima bocciatura della riforma LPP 21, respinta dal 67% del popolo e da tutti i Cantoni, i cittadini hanno lanciato un nuovo inequivocabile segnale su quelli che sono i bisogni reali di chi lavora e di chi ha faticato per decenni. Resta però aperto un interrogativo: sarà colto anche sotto la cupola di Palazzo federale il significato di questo voto? Un voto che va anche al di là delle aspettative del fronte sindacale che aveva promosso il referendum contro la LPP 21 e che costituisce un secondo pesante schiaffo (dopo l’approvazione dell’iniziativa per una 13esima AVS lo scorso 3 marzo) alle politiche del Consiglio federale e della maggioranza borghese del Parlamento in materia di previdenza per la vecchiaia. Politiche che hanno partorito la riforma bocciata oggi: una grande fregatura, perché andava a tagliare le rendite dei pensionati e al contempo chiamava alla cassa le lavoratrici e i lavoratori, in particolare attraverso massicci aumenti dei contributi salariali. E che invece di favorire le donne spesso costrette a lavorare a tempo parziale come sostenuto dalla destra, avrebbe solo portato ulteriori vantaggi agli assicuratori che gestiscono il business del secondo pilastro e che negli ultimi vent’anni hanno guadagnato più di 20 miliardi. Mentre i pensionati hanno visto le loro rendite diminuire costantemente. Ora però, scampato il pericolo della LPP 21, resta la necessità di combattere le disuguaglianze salariali, di riconoscere il lavoro non remunerato assunto soprattutto dalle donne e di lavorare a un sistema pensionistico basato sulla solidarietà tra classi sociali. A parole, stando a quanto sentito nei primi dibattiti del dopo voto, su questo pare esserci intesa tra i vari attori politici. Ma non possiamo farci illusioni, perché la distanza tra il paese reale e chi governa resta abissale. L’esito della votazione di oggi ne è l’ennesima dimostrazione. Già i prossimi mesi ci diranno se il nuovo grido d’allarme lanciato dai cittadini, sempre più sofferenti per la perdita di potere d’acquisto, sarà finalmente ascoltato dentro i palazzi della politica. A partire per esempio dalla questione del finanziamento della 13esima AVS: l’ipotesi di ricorrere ad un aumento di una tassa antisociale quale è l’IVA, come propone di fare il Consiglio federale, sarebbe semplicemente irresponsabile. Vedremo se il Parlamento e i partiti di maggioranza usciti con le ossa rotte dalla votazione sulla LPP 21 sapranno correggere il tiro. |