Un viaggio nella giungla della finanza

Parlare di finanza non è facile. Perché è complicata, perché la finanza moderna ha perso la ragione, perché il discorso può anche lasciare indifferente il lavoratore che non riesce a risparmiare un soldo alla fine del mese (ma è un errore, tanto più se quel lavoratore è affiliato ad una cassa pensione). Parlare di finanza per dire quanto è matta e quanto ci rovina la vita forse è più facile. Tanto per entrare in clima partiamo da due notizie singolari forse sfuggite ai lettori comuni.


Il gendarme americano dei mercati borsistici (la Sec, Securities & Exchange Commission) ha sanzionato per la prima volta una società che, operando nella Borsa di Wall Street a velocità supersonica, ha manipolato il corso di un numero rilevante di azioni. Quella società ha pagato subito la multa (un milione di dollari, un bruscolino). Dove stava il peccato? Diciamo: nell’uso improprio degli algoritmi. In parole povere povere, in una sorta di “trucco“ matematico (quello era chiamato “Gravy”, cioè salsa) che nel battere di un ciglio, schiacciando un tasto, due nanosecondi prima che chiuda la Borsa, riesce a mettere assieme tutte le liquidità ancora disponibili, spingendo in alto i prezzi del mercato azionario con guadagni enormi.

 

La società condannata per questo genere di manovra ha agito in tal modo tutti i giorni per sei mesi. Quindi: ha agito fuori dal  divinizzato mercato, definito razionale e supremo giudice, che diventa invece una barzelletta, ha destato reazioni solo dopo mezzo anno (contro i nanosecondi operativi), ha impinguato i portafogli di pochi, ha reso irrealistiche le quotazioni borsistiche di società  tecnologiche (si operava infatti su titoli quotati sul Nasdaq, che è appunto l’indice dei corsi tecnologici) lasciando il sospetto sulla loro reale consistenza economica.


Nel secondo trimestre di quest’anno le varie imprese quotate in Borsa hanno distribuito 426,8 miliardi di dollari di dividendi (lo dice lo studio di un illustre  fondo di investimento, l’Henderson Global Investors). I dividendi nel breve lasso di tempo di tre mesi sono aumentati del 12 per cento (se facciamo il confronto con il secondo trimestre dello scorso anno l’aumento è del 44,6 per cento). Il fatto singolare è che le imprese europee (comprese quelle svizzere) registrano l’aumento più forte nel panorama mondiale: il 20 per cento.

 

Uno si chiede: ma come, con il marasma o i timori di recessione in Europa, succedono queste cose? Le imprese possono permettersi di beneficiare i propri azionisti, mortificando invece il lavoro o l’investimento reale, produttivo?


Gli interrogativi possono anche essere altri, ancora più importanti. Come meravigliarsi che il mondo finanziario-bancario sia ritenuto staccato dall’economia reale, quella che ci interessa, e sia assimilato dalla maggior parte della gente ad una sorta di giungla in cui conta solo la legge del profitto, della speculazione, dove la giustizia entra poco o niente del tutto e si può fare quel che si vuole?

 

Qui va a farsi benedire quella “fiducia” che governanti e politici ci chiedono come motore dell’economia e cemento del consenso nazionale. Poiché la finanza, i mercati finanziari, sono retti unicamente dallo spirito di guadagno e dall’individualismo più cieco, agli antipodi da ogni considerazione generale, etica, o dal senso del “bene comune”, come mai gli Stati continuano ad esservene asserviti, mandando a carte quarantotto anche la democrazia, la democrazia fondata sul lavoro? Senza rispondere a queste domande saremo in perpetua crisi, ma con dannazione nostra.

Pubblicato il

23.10.2014 15:03
Silvano Toppi