Un tornado alla guida della CGIL

Maurizio Landini ha preso in mano la ultracentenaria Cgil con la forza di un tornado, ma la sua non è una forza distruttrice. Si potrebbe parlare di sindacato del cambiamento se non fosse che chi usa questo sostantivo in politica è un gattopardo che vuole cambiare tutto per non cambiare niente, come fa il governo gialloverde o giallonero con le politiche economiche, liberiste erano e liberiste restano. Landini ha una connessione sentimentale con le persone che rappresenta, per dirla con Gramsci. In una stagione di frantumazione del lavoro che cancella l’idea fondativa per cui a parità di prestazione dev’esserci parità di trattamento, bisogna fare sindacato di strada, andare a trovare i lavoratori dove sono, in fabbrica, in cantiere, nei campi, nei magazzini, tra i ciclisti della pizza. E le Camere del lavoro per essere al passo coi tempi devono tornare alle origini, alle Società di mutuo soccorso in cui si entrava analfabeti e si usciva sapendo parlare, capire, contare; istruitevi, agitatevi, organizzatevi diceva ancora Gramsci.


La Cgil deve spalancare le sue porte per far prendere aria all’interno e offrire un rifugio a chi sta fuori, è solo e dunque è debole. Le filiere del lavoro vanno seguite per intero per garantire stessi diritti a tutti quelli che vi lavorano. Perché oggi non siamo più analfabeti ma ci fregano lo stesso, dice il nuovo segretario generale proponendo una contrattazione inclusiva. In una stagione in cui i poteri forti e quelli a essi subalterni, dalla politica ai media, hanno fatto passare l’idea che il nemico è quello con la pelle nera, o comunque chi sta un po’ peggio di te, va rovesciata la narrazione: l’unico nero nemico è il lavoro nero e non il senegalese piegato nei campi a raccogliere i pomodori per i nostri ragù, umiliato e sfruttato dai caporali al servizio dei padroni peggio che ai tempi di Peppino Di Vittorio, l’uomo che ha rifatto la Cgil dopo la Liberazione, l’uomo della Costituzione, il bracciante figlio di un bracciante morto sul lavoro e marito di una bracciante, colui che aveva insegnato ai braccianti a non togliersi il cappello al cospetto del padrone. Il marchio di qualità di una scatola di pelati deve garantire sia la natura bio dei pomodori sia il rispetto della dignità di chi li ha raccolti. Il marchio qualità dell’auto elettrica deve anche testimoniare i diritti di chi l’ha costruita.


Maurizio Landini non nasce bracciante ma apprendista saldatore, poi operaio, poi delegato, poi facendo tutta la gavetta della più grande organizzazione democratica italiana arriva al vertice della Cgil per dire che la Cgil non è il suo segretario ma le delegate e i delegati che la fanno vivere. Gli operai di Pomigliano a cui non fa difetto l’ironia, quelli che non si sono levati il cappello al cospetto di Marchionne, l’hanno battezzato “saldatore della patria”. E i sobri operai bresciani gli hanno portato sul palco maschera e guanti da saldatore. Mai dimenticare le origini. E tutti in coro nello stadio dei lavoratori hanno scandito “uno di noi / Maurizio uno di noi”.
Siccome in un paese solo non si fa il socialismo né si riesce a difendere i lavoratori, dal palco della Fiera del Levante di Bari Landini lancia l’Expo internazionale del lavoro, e gli scappa detto “proletari di tutto il mondo unitevi”. A chi lo accusa di timidezza verso i 5 Stelle e il governo ribadisce i valori fondativi della Cgil. Battersi contro i vulnus prodotti dal Pd sul lavoro non vuol dire stare con i sovranisti che fanno la stessa politica. La Cgil è di per sé antifascista e antirazzista. A chi grida all’invasione dell’Italia ricorda che sono più gli italiani senza lavoro che fuggono all’estero degli “stranieri” che cercano riparo da noi. Lo ribadisce coi fatti: la prima azione da segretario lo vede a un’assemblea dell’Anpi e la seconda al Cara di Bari, perché non faccia la fine del centro di accoglienza e integrazione di Castelnuovo di Porto.


La Cgil è indipendente, non è e non vuole essere un partito, ma autonomi non vuol dire neutrali e tanto meno assenti, Landini non si accontenta di cambiare il lavoro, pretende di cambiare la società. Potreste pensare: questo ci racconta i suoi sogni e nasconde che la Cgil è arrivata al Congresso spaccata come una mela. Rispondo che ho fatto l’elenco degli impegni del saldatore Landini, non ho raccontato i miei ma semmai i suoi di sogni. Secondo, le conclusioni del Congresso segnano un percorso opposto alla divisione dell’atomo che uccide l’intera sinistra: si può fare sintesi, tenere insieme storie e pensieri diversi, uomini e donne, giovani e vecchi, bianchi e neri (di pelle, non di testa) con un progetto condiviso, volendosi bene. Certo, c’era e c’è chi pensa che comunque serve al sindacato un partito di riferimento, ma quel partito non c’è e non tocca al sindacato rifarlo, ha già abbastanza impegni, può però offrire come bussola i valori e i diritti delle persone, che vengono prima di tutto. Una volta si parlava di sindacato come cinghia di trasmissione del partito. Ora il problema non è se questa fosse la strada giusta o sbagliata. Il problema è che la cinghia di trasmissione serve a collegare in modo elastico due alberi, se uno dei due alberi non c’è è inutile dividersi sulla sua utilità.
Ora che le idee di Marchionne sono andate al governo, se si vuole fermare la vendetta di classe (quella dei padroni), riconquistare i diritti, difendere la dignità di lavoratori, pensionati, disoccupati, migranti e ripristinare la giustizia fiscale, bisogna fare un passo avanti e provarci insieme. Questo il messaggio lanciato dalla terra di Di Vittorio, qualcuno lo raccoglierà?
Ce la farà il tornado Landini a rovesciare come un calzino la Cgil e, partendo dalla Cgil, la società? Risposta impossibile. Si può dire che il “saldatore della patria” è l’unico che può provarci, per evitare che la Cgil faccia la fine del Pd e si ritrovi a rappresentare una minoranza delle persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Riunificare il lavoro, combattere le diseguaglianze, costringere il governo a cambiare le politiche economiche e sociali. Con queste parole d’ordine il 9 febbraio la Cgil andrà in piazza insieme a Cisl e Uil. Mi verrebbe da suggerire a chi legge le parole di Landini ai congressisti: ognuno di voi ne porti altri 10, al lavoro e alla lotta.

Pubblicato il

30.01.2019 19:54
Loris Campetti