Ai tempi delle primarie tra Renzi e Bersani, avevo scritto, mi pare proprio in questa rubrica, che ritenevo la candidatura del sindaco di Firenze “tragicomica”. Nel frattempo non ho cambiato idea, anzi. Egli rappresenta difatti il tragico capitolo finale di quel lungo processo di degenerazione della sinistra italiana, inaugurato subito dopo la caduta del muro di Berlino da Occhetto, allora segretario del Partito Comunista, con il suo estemporaneo discorso della Bolognina con il quale, di punto di bianco, dichiarava come definitivamente conclusa la lunga e in buona parte gloriosa storia del comunismo italiano. Da allora la sinistra è sempre andata di male in peggio, sino ad arrivare alla tragicomica rielezione di Napolitano (questo sì, un vero rottamatore) e alla nascita di quell’ibrido contro natura che è l’attuale governo detto “delle larghe intese” e diretto dal democristiano Letta. Non c’è quindi da meravigliarsi se in un paese attanagliato da una devastante crisi economica e a fronte di una sinistra ormai incapace di farsi portavoce della sofferenza sociale, siano sempre più le forze di destra, anche estrema, ad egemonizzare l’attuale rivolta dei forconi che coagula in modo disordinato la crescente frustrazione di ampi strati della popolazione italiana. Ma torniamo a Renzi: checché lui ne dica, mi pare evidente che non lo si possa qualificare come un politico di sinistra. C’è chi ne parla come di un Blair all’italiana: a parte il fatto che personalmente non lo considererei un complimento, a me il sindaco di Firenze pare ancora più vuoto dell’ex primo ministro inglese, responsabile assieme a Bush dei crimini di guerra in Iraq. Più che un politico innovatore, a me Renzi pare semplicemente un ottimo comunicatore, uno che avrebbe sicuramente successo anche come venditore di polizze assicurative. O come si diceva una volta, prima della crisi climatica, “qualcuno che sa vendere frigoriferi anche agli eschimesi”. Lo chiamo “un rottamato” e non come lui si è sempre definito “un rottamatore”. Lo faccio perché credo che Renzi sia il tipico prodotto del disastro ideologico degli anni ’90, quando la caduta del muro di Berlino ha di colpo azzerato in coloro che si politicizzavano in quel periodo ogni aspirazione a un possibile superamento del capitalismo e quindi ad un mondo migliore. In fondo è perciò, in un certo senso, una vittima di quella macroscopica rottamazione di ogni ideale. Renzi mi ricorda alcuni giovani parlamentari socialisti arrivati al parlamento di Berna all’inizio di questo secolo: buoni comunicatori ma in fondo degli yuppies vagamente di sinistra. Ma ora il vento è cambiato: gli attuali giovani socialisti (almeno a nord delle Alpi), figli politici della crisi del capitalismo mondiale, sono completamente diversi. Basti pensare all’iniziativa 1:12 da loro lanciata e che i loro coetanei, solo dieci anni fa, non si sarebbero mai sognati di escogitare. E tra i giovanissimi anti-renziani del PD italiano, mi pare di poter scorgere un’evoluzione simile. Ma forse pecco del mio solito ottimismo, che mi fa anche concludere con una nota parzialmente positiva su Renzi: nell’odierno pauroso panorama italiano, non escluderei che le sue capacità trascinatrici possano rappresentare uno degli ultimi baluardi contro una deriva sempre più marcata verso una situazione pre-fascista.
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