Ad alcuni non va giù che uno studio Eurostat (l’Ufficio statistico dell’Unione europea) che valuta il tasso di povertà nei Paesi europei, dica che anche in Svizzera i poveri sono il 17 per cento della popolazione. Un milione e mezzo di poveri: ridicolo. C’è chi ha dileggiato il dato (la Svizzera finita in compagnia di repubbliche impossibili) demolendo il metodo di calcolo. L’errore starebbe nel prendere come criterio di valutazione una cosiddetta soglia “relativa”. In termini semplici: sei povero se vivi in una economia domestica le cui risorse finanziarie, se confrontate a quello che richiede il livello standard-abituale del tuo Paese, risultano insufficienti. In termini più espliciti: sei povero se non hai i mezzi sufficienti per avere e mantenere quella qualità di vita “sociale” che là dove vivi non ti faccia perdere dignità, quella della tua famiglia, della vita relazionale o di rapporto con gli altri o di progettualità (poter guardare sul futuro). Si obietta: la povertà viene interpretata come una forma di diseguaglianza di redditi e non ha senso. Se – si ironizza – dovessimo di botto guadagnare tutti il doppio, la povertà rimarrebbe tale e quale. Si ammette quindi, forse senza accorgersi, che la diseguaglianza qualcosa c’entra ed appare ironia matematicamente stupida concludere raggianti che si rimane con le proprie povertà pure se si dà di più… anche a chi ha già tanto (è la stessa logica che primeggia nelle politiche fiscali per promuovere la crescita). Poi, per dirci come contare i poveri, ci si istruisce. Si evita il cinismo di proporre il metodo della Banca Mondiale: povero se disponi solo di due dollari al giorno. Si può invece («più ragionevolmente», si precisa) fissare la soglia di povertà al livello di reddito garantito dall’aiuto sociale. E così i poveri da noi sarebbero “solo” la metà, 650mila. Quindi: si ritorna ancora al reddito come criterio base; un reddito che non riesce ad andar oltre il 20 per cento del minimo vitale (1.100-1.500). Appena da sopravvivenza. Non “relativo” alla danarosa Svizzera. Scendiamo ad un esempio concreto. Una indagine del programma nazionale di ricerca contro la povertà rileva come uno dei problemi maggiori della povertà in Svizzera sia quello dell’alloggio. Un gran numero di poveri (famiglie monoparentali, coppie con tre o più figli, persone sole, precari, immigrati, pensionati con pensioni modeste) ha a che fare con alloggi troppo cari, che quindi sono forzatamente piccoli e inadeguati, mal situati, di pessima qualità, spesso vecchi e insalubri. Con affitti comunque insostenibili per quattro economie domestiche su cinque (prendono quasi sempre un terzo del reddito). È condizione di povertà relativa che alimenta altra povertà. Con una deprecabilità e un’assurdità. La prima perché la Costituzione all’articolo 41 sancisce che «ognuno possa trovare, per sé stesso e per la sua famiglia, un’abitazione adeguata e a condizioni sopportabili». La seconda perché ci troviamo in un mercato dell’alloggio che è la chiara dimostrazione dell’estrema irrazionalità del mercato lasciato a sé stesso: sovrabbondanza di alloggi sfitti o invenduti, discrepanza assoluta tra la tipologia di alloggi richiesta (domanda reale) e l’offerta di alloggi (offerta speculativa), enorme patrimonio (o indebitamento ipotecario) che rimane inutilizzato e infruttuoso. Sarà paradossale sostenerlo, ma ci sarebbero tutte le premesse per risolvere nell’interesse di tutti, senza neppure troppa genialità politica, un problema di povertà. In barba alla discussione sui metodi per rilevarla.
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