Il movimento delle Sardine

Sardine, o sardelle. A Sorrento hanno una taglia più piccola e si chiamano fravaglie, sono il novellame che a Napoli diventa cicinielli e in Calabria neonata e in Piemonte bianchetti o gianchetti. A Genova vanno per la maggiore le più snelle acciughe. Si muovono in banchi, l’una attaccata all’altra e cantano inni alla fratellanza e alla sorellanza, escono dal mare, risalgono i fiumi e invadono le piazze, fanno scappare lo squalo Salvini e tutti i pescecani della politica urlata, populista, sguaiata, bugiarda da ogni città e paese, dalla penisola e dalle isole maggiori (Palermo) e minori (l’Elba), per poi tornare sulla terraferma, a Firenze diventano 40mila. Sono mute come i pesci di Lucio Dalla ma hanno una testa più grande della pancia ed è alla testa di un’Italia ammutolita, attonita che parlano. Nascono a Bologna, si diffondono come un’epidemia prima in tutta l’Emilia prossima al voto poi a Genova dove cantano “creuza de ma” di De André mentre a Napoli il mare solcato è quello di Pino Daniele e da una piazza Duomo strapiena i milanesi intonano Gaber (“libertà è partecipazione”) e Jannacci (“vengo anch’io”, dove il “no tu no” è per Salvini). Tutte diverse, tutte unite, legate ognuna al proprio mare parlano la stessa lingua ovunque, le diciamo mute solo perché incapaci di comprendere le loro forme di comunicazione molto più avanzate e umane degli ululati razzisti italo-primatisti. Nel loro mondo ideale “anche i mu-ti potranno parlare, i sordi già lo fanno”.


Sono pesci azzurri con riflessi d’ogni colore, si chiamano Mattia e Jawad, Ciro e Musli, sono maschi, femmine, gay, studenti, operai, soprattutto giovanissimi. Dicono nella loro mutaggine di volere un’altra politica da quella che li butta fuori d’Italia con le tasche vuote e una laurea inutile al lavoro. Tutte diverse, ognuna con il suo cantautore territoriale di riferimento ma in coro cantano “Bella ciao”, in qualche piazza anche il poco amato dalla sinistra Inno di Mameli perché, spiegano, non ha senso lasciarlo ai fascisti e alla destra. Si dichiarano antifasciste, amano la Costituzione. Navigano sicure nella virtualità della rete per portare le persone nella realtà delle piazze.


Le sardine stanno ribaltando i vapori, come si dice nell’allagata Venezia, si sono stancate delle solitudini, partono dagli individui “per servire la comunità”, si dicono apartitiche non antipolitiche, non svelano se e per chi votano ma vogliono che le urne svuotate dalla delusione tornino a riempirsi di cambiamento. Come i grillini degli esordi? No, quelli urlavano minacciosi, imbrogliavano giurando di aver sconfitto la miseria, se la rifacevano con lo squalo fino a farsi squaletti. Non vogliono farsi partito ma risvegliare partecipazione e solidarietà, nella Monfalcone leghizzata fanno il pieno e danno la parola a quegli sfruttati invisibili che costruiscono le nostre navi di lusso e i salviniani chiamano con disprezzo “bangla”, quelli i cui figli la sindaca Cisint non fa entrare a scuola perché “qui solo gli italiani”. Sì, le sardine li fanno parlare, i bengalesi. E a Pesaro è un ragazzo italo-macedone a promuovere i banchi azzurri.


Scandalo: non vogliono bandiere tra loro, e c’è chi nella sinistra muscolare se la prende a male e spiega che con la gentilezza non si va da nessuna parte, fino ad accusare il neonato movimento di ingenuità o, addirittura, di essere “arma di distrazione di massa”. Da altri lidi democratici giù consigli, attenti alle strumentalizzazioni. De André direbbe “si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”. O al contrario non riesce a guardare i quattro ragazzi di Bologna senza pensare a un posto in lista. Dice Mattia, il volto mediaticamente più noto che salta da una piazza all’altra per evitare ai suoi seguaci di abboccare all’amo: «Se mi chiedessero di candidarmi direi di no, mi sono bastate due settimane da similpolitico per capire che non è la mia strada». Solo sardine nei cortei, disegnate, dipinte, scolpite, ritagliate. Qualche sindaco si infila in piazza come Orlando a Palermo, altri simpatizzano senza mettere il cappello sul movimento come De Magistris a Napoli o Sala a Milano. Sono immature? Se maturità è passività di fronte allo tsunami dell’odio o scimmiottamento della semplificazione salviniana, allora viva l’innocenza e viva la complessità. Ingenue? Te la raccomando l’astuzia di una politica che ha sterilizzato l’Italia. Praticano una leadership collettiva. Sono pesci rossi e pesci arcobaleno, gelosi della loro autonomia, tengono a distanza chi li corteggia nascondendo la coscienza sporca ed evitano chi vuol friggerle, i gattini di Salvini resteranno a bocca asciutta.


In scatola non ci vogliono tornare. Da Belluno a Cagliari, persino esuli nelle città europee. Anche Eniola Aluko, attaccante nigeriana della Juventus al femminile con cui ha vinto campionato, coppa e supercoppa è costretta ad andarsene dall’Italia perché «Torino sembra un paio di decenni indietro sull’integrazione, sono stanca di entrare nei negozi e avere la sensazione che il titolare si aspetti che rubi qualcosa. All’aeroporto i cani antidroga mi fiutano come se fossi Pablo Escobar». Nel mondo delle sardine Eniola nuoterebbe come un pesce nell’acqua.


Chiunque pensi che un’altra Italia è possibile dovrebbe mettersi a disposizione di questa esplosione di ingenuità.

Pubblicato il 

04.12.19
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