Non sembra, ma l’anno scorso è accaduto qualcosa di buon augurio: decine di migliaia di ricercatori venuti da centinaia di discipline diverse, si sono mobilitati per correggere un po’ l’iniqua distribuzione delle conoscenze scientifiche e tecniche, una delle tante ingiustizie nei rapporti tra nord e sud del mondo. Proprio mentre la mercificazione della scienza si traduceva in brevetti, conflitti d’interesse e concentrazione delle riviste specializzate in mano a cinque o sei editori multinazionali, biologi americani e inglesi hanno dato il via a una «rivoluzione», come ha detto uno di loro, il premio Nobel per la medicina Harold Varmus. La primavera scorsa, hanno lanciato un appello per una creare una «Public Library of Science», un biblioteca pubblica della scienza su Internet, invitando tutti quelli che l’avrebbero sottoscritto a boicottare le riviste che non accettavano di mettere i propri articoli in rete entro sei mesi, perché anche i laboratori dei paesi poveri potessero usarli. Per fare un esempio, l’abbonamento annuo a Brain Research costa sui 17 mila dollari: quale biblioteca del terzo mondo se lo può permettere? E perché deve costare così tanto, visto che i ricercatori scrivono articoli, valutano e rivedono quelli dei colleghi, senza essere retribuiti dagli editori?
L’appello ha raccolto più di 29 mila firme. E poco a poco, l’oligopolio degli editori ha cominciato a cedere. Già si vedono i risultati per l’immenso settore delle discipline biologiche, quello preso di mira dal boicottaggio dei 29 mila.
La rivoluzione della gratuità è andata avanti. L’estate scorsa l’Organizzazione mondiale della sanità ha varato un proprio progetto, ci ha messo del personale e il finanziere George Soros dei soldi: tra pochi mesi i 40 paesi più poveri del mondo avranno accesso alla letteratura che riguarda la ricerca medica.
E a dicembre, le due riviste scientifiche più prestigiose e rivali da sempre, l’inglese «Nature» che appartiene a un gruppo editoriale privato e l’americana «Science» di proprietà di un’associazione non a scopo di lucro, si sono alleate per mettere in rete, gratuitamente per i paesi poveri, le proprie pubblicazioni che possono dare un contributo allo sviluppo: sanità, energia, suoli, acqua, clima, oceanografia, ambiente, agricoltura, ingegneria, geologia… Sul sito ci sarà di tutto, anche riflessioni sul fatto che tra società e scienza esiste un patto non scritto, per cui la prima finanzia la seconda e in cambio questa cerca non solo nuovi saperi ma anche rimedi alla miseria e alla sofferenza.
Per rispettare il patto, molti ricercatori si trovano già in Brasile, alla conferenza su «Clima ed energia» iniziata il 7 gennaio a Rio de Janeiro. Altri arriveranno in America Latina per convegni su malattie infettive, agricoltura sostenibile, biodiversità. E in tanti si fermeranno al World Social Forum che si aprirà a Porto Alegre a fine mese, per discutere con i «No Global» e tramare con loro una globalizzazione più umana.
Indirizzi Web:
www.publiclibraryofscience.org
www.scidev.net
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