Un’offensiva per la scuola di tutti

«Aiutiamo le scuole comunali per il futuro dei nostri ragazzi», questo lo slogan dell'iniziativa lanciata la scorsa settimana dal sindacato Vpod docenti e dal Partito socialista. Iniziativa che ha come obiettivo principale di estendere a tutto il territorio cantonale una scuola dell'infanzia ed una scuola elementare di qualità, eliminando le disparità causate dalla diversa disponibilità di mezzi finanziari a disposizione dei comuni.

L'iniziativa lanciata il primo di settembre da Vpod e Ps chiede che sia data la competenza al Cantone per definire degli standard minimi validi per tutte le realtà scolastiche comunali, e che quindi la qualità dell'insegnamento non dipenda dal luogo di residenza dell'allievo. Tra le varie richieste, l'iniziativa avanza anche quella di un potenziamento del servizio parascolastico, con più mense, più doposcuola e più sezioni di scuola dell'infanzia ad orario prolungato. Questo per andare incontro ai bisogni delle famiglie di tutto il Cantone e permettere, soprattutto alle mamme e alle famiglie monoparentali, di conciliare vita lavorativa e vita familiare. Questi sono servizi già offerti dal Cantone e da alcuni comuni, ma in modo molto disuguale a seconda delle regioni, e in misura insufficiente. Come spiega Mara Rossi, sindacalista Vpod docenti, «secondo le statistiche, durante l'anno scolastico 2005-2006 meno della metà delle scuole elementari offriva un servizio pasti a mezzogiorno per i propri alunni e soltanto il 6 per cento delle scuole dell'infanzia organizzava l'orario prolungato, spesso ponendo dei criteri per accedervi. Questi servizi dovrebbero invece essere accessibili a tutti gli allievi che ne necessitano».
Il potenziamento di questi servizi non sarebbe però privo di costi per il Cantone, e c'è chi si chiede fino a che punto sia giusto che sia lo Stato a farsi carico del settore parascolastico, e non sia invece compito delle singole famiglie. Secondo Raoul Ghisletta, primo firmatario dell'iniziativa, «si tratta di una spesa oramai necessaria nella nostra società se vogliamo continuare ad avere figli. Più che come un costo, questa spesa andrebbe vista come un investimento per il futuro».
In effetti, le spese sociali non rappresentano necessariamente un fardello per lo Stato. Secondo alcuni ricercatori, esse possono anche rappresentare un motore di crescita non indifferente (ne danno l'esempio i paesi scandinavi). Giuliano Bonoli, professore all'Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica (Idheap) di Losanna, spiega come «nei dibattiti sulla spesa pubblica e le spese sociali, si ha tendenza a ragionare in termini quantitativi, di più costi e meno costi, dimenticando invece gli aspetti qualitativi». Bonoli prosegue: «è chiaro che un franco speso per una funzione, come può essere questa, che permette alle persone di conciliare lavoro e vita di famiglia e di dare un quadro educativo e pedagogico stabile, quindi propizio allo sviluppo del bambino, è una cosa completamente diversa dallo spendere lo stesso franco per l'esercito o per spese che non rappresentano degli investimenti». Secondo Bonoli, questo tipo di spesa è un investimento sociale: «investire nel futuro dei bambini da un lato e nelle possibilità che hanno i genitori, soprattutto le madri, di conciliare il lavoro con la famiglia, è un investimento che può produrre nuova ricchezza». Uno studio dell'Ufficio di studi di politica del lavoro e politica sociale (Bureau Bass) conferma questa teoria, rilevando come per ogni franco investito nella creazione di posti negli asili, la collettività ne guadagni dai 3 ai 4. Gli esempi in questo senso sono molti. Eppure sempre più si tenta di smentire la redditività in termini finanziari di questo genere di politiche.
Le scuole dell'infanzia ad orario prolungato, le mense e i doposcuola, sono dei servizi che si occupano dei bambini in quelle fasce orarie nelle quali non c'è scuola, ma la maggior parte dei lavoratori si trova sul posto di lavoro. Se i lavoratori in questione sono anche genitori, chi si occupa dei loro figli? «La struttura familiare negli ultimi decenni è cambiata radicalmente», spiega Mara Rossi, «L'entrata delle donne sul mercato del lavoro, accompagnata all'aumento delle famiglie monoparentali, ha messo in primo piano la questione della conciliabilità fra attività lavorativa e vita familiare. Gli orari dei genitori che svolgono un'attività professionale, soprattutto in un contesto in cui ai lavoratori viene richiesta la massima flessibilità, spesso non coincidono con gli orari scolastici». Per questo motivo, conclude la sindacalista «è necessario mettere a disposizione delle famiglie dei servizi parascolastici adeguati».
Il comitato iniziativista ha tempo fino al 31 ottobre per raccogliere le 7 mila firme necessarie.

Pubblicato il

11.09.2009 03:00
Veronica Galster