Come ogni anno, Caritas Schweiz ha pubblicato in dicembre il suo “Sozialalmanach”*: 246 pagine di analisi economica e sociale della Svizzera e di valutazione delle politiche sociali. Uno strumento prezioso per chiunque voglia capire e conoscere per agire. Aggiorna l’analisi dei “trends” politico-sociali e gli indicatori statistici della situazione sociale e, quest’anno, approfondisce il tema emergente dell’invalidità psichica. Illustra il rapporto fra lavoro e malattia psichica, il conflitto fra massimizzazione del guadagno e responsabilità sociale delle imprese, le riforme in atto per accrescere l’efficacia delle politiche di (re)integrazione professionale, la potenzialità del cosiddetto mercato del lavoro complementare (settore produttivo, fra mercato e solidarietà sociale, capace d’integrare le persone con capacità lavorativa limitata).
Tuttavia, l’attenzione pubblica è stata rivolta ad una sola di quelle 246 pagine: quella in cui si presenta una stima secondo cui i poveri in Svizzera sarebbero un milione, 13,6 per cento della popolazione residente. C’è chi ha gridato alla provocazione (in prima linea, chissà perché, Caritas Ticino), chi ha trovato conferma degli sconquassi della “globalizzazione”, chi ha espresso scetticismo… Così, purtroppo, le cause del “milione di poveri” sono passate in seconda linea: l’accesso al lavoro e la sua retribuzione non riescono più a prevenire la povertà, e il sistema di sicurezza sociale è inadeguato perché ancora modellato sulla società del “trentennio glorioso” 1945-1975. Purtroppo (e la stessa Caritas ha peccato nella sua informazione), nessuno è andato a vedere quella pagina sul milione di poveri. Gli autori spiegano che si tratta di una stima, ancorché attendibile, ottenuta aggregando risultati di studi su tre fasce d’età della popolazione, basati sulla medesima “soglia di povertà” (quella delle prestazioni assistenziali). Da uno studio del Soccorso operaio svizzero si desume che almeno 200mila minorenni vivono in famiglie povere. Le analisi dell’Ufficio federale di statistica permettono di calcolare che nella popolazione di 19-64 anni le persone povere sono circa 600mila. Infine, da uno studio sulla terza età si desume che quasi 200mila anziani (65 anni e più) dispongono di rendite derivate dal loro lavoro inferiori alla soglia di povertà. Addizionando le tre stime si ottiene un milione di persone. Gli autori forniscono poi una precisazione importante. Una parte di queste persone con redditi propri insufficienti (da lavoro, da sostanza o da diritti assicurativi) beneficia di trasferimenti mirati ad assicurare loro il minimo vitale: le prestazioni assistenziali e quelle complementari all’Avs. Dopo questi trasferimenti sociali, il numero di chi rimane povero scende a 440mila, 6 per cento della popolazione. I media e i politici, affascinati dalla magia dei numeri, avrebbero dovuto metterlo in evidenza: gli strumenti che assicurano il minimo vitale riducono di quasi il 60 per cento il numero dei poveri. Importante ma insufficiente: anche un solo povero è un povero di troppo!
* Sozialalmanach 2006. Das Caritas-Jahrbuch zur sozialen Lage der Schweiz, Caritas-Verlag, Luzern, Dezember 2005 |