Esattamente un anno fa a Berna era stato presentato lo studio avanguardista, è proprio il caso di annotarlo, fortemente voluto da Unia e commissionato alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, per comprendere le ragioni della crisi endemica nel settore sanitario.

 

Appurato, attraverso la ricerca condotta sotto l’egida del professor Nicolas Pons-Vignon, che il ramo non solo non dispone delle risorse necessarie per svolgere la sua missione e garantire così  un’assistenza di qualità nelle cure a lunga durata, ma presenta pure pesanti falle nell’organizzazione del lavoro, che viene basato su obiettivi produttivi, vale a dire economici.

 

Già. Situazione penosa di cui la popolazione è cosciente come dimostrato nella votazione per cure infermieristiche forti. Ma che cosa fare per modificare lo status quo e tornare con una sanità forte?

 

Lo scorso weekend a Olten, dopo un anno con un impegno a tambur battente, è stato presentato il “Manifesto per cure di qualità” che, redatto in un quadro partecipativo composto anche da personale medico sociale, vuole rappresentare una risposta concreta alla crisi, indicando una guida per il futuro: quel domani che sta già bussando alla porta di ognuno di noi.

 

Il documento, accolto dai partecipanti con grande entusiasmo, delinea una prospettiva per cure di lunga durata dignitose, offerte nell’ottica di un approccio integrato, dove al centro vi siano i bisogni delle persone interessate, mentre l’etica del personale curante sia garantita. Perché «se si vuole cambiare la situazione, il personale deve essere coinvolto dal basso: sono essi a conoscere meglio di chiunque altro le necessità dei residenti» ha precisato il ricercatore Pons-Vignon, presente a Olten.

 

Un anno fa a Berna ci si era ritrovati per ascoltare con grande attesa i risultati dello studio Supsi: una prima in Svizzera con una ricerca che aveva direttamente interpellato il personale sanitario, mostrando un quadro a tratti altamente drammatico e preoccupante delle condizioni di lavoro. Un’indagine che ha permesso di comprendere la crisi dal punto di vista dei curanti, offrendo un’importante chiave di lettura supplementare.

 

Grazie ai risultati raccolti in sede di ricerca, dopo un anno Unia è stata capace di scendere in campo con un manifesto, che ora verrà diffuso al grande pubblico. Continuare a ignorare la crisi senza reagire, significherebbe accettare costi sociali ed economici sempre più ingenti, ma soprattutto un degrado del sistema sanitario, che potrebbe colpire ogni cittadino, potenziale paziente.

 

Preso atto che le strutture preposte alle cure ignorano (o vogliono ignorare) i principi di una buona gestione del personalei processi organizzativi portano a una forma di svalorizzazione del curante con effetto a catena sulla qualità del lavoro e il trattamento riservato al paziente» ha evidenziato Véronique Polito, vicepresidente di Unia); che le lacune organizzative hanno conseguenze negative sulle cure; che le privatizzazioni mettono ancora più in pericolo il sistema sanitario, è urgente cambiare rotta.

 

Partendo dal presupposto che siamo un paese ricco, le cure di lunga durata devono essere strutturate in maniera più umana, ruotare attorno ai bisogni dei residenti delle case anziani, considerando le loro vulnerabilità, ma valorizzando al contempo le loro risorse. Stesse attenzioni vanno rivolte ai dipendenti.

 

Occorre un cambio di paradigma: le cure devono essere riconosciute come un processo complesso di sfumature e socialmente integrato. Inoltre, punto importantissimo, va rivisto il sistema di finanziamento: in modo da promuovere la solidarietà fra ricchi e poveri. Non solo: il personale medico sanitario deve essere sufficiente a coprire la consistente mole di lavoro. In questa ottica a livello federale deve essere introdotto un contributo per finanziare le cure. Dal momento che le cure di qualità si appoggiano tassativamente sul principio di solidarietà, e non possono trasformarsi in un bene di lusso per pochi, devono essere concepite come prestazioni pubbliche senza finalità lucrative.

 

Il discorso per riconquistare cure di qualità si spinge più in là: è fondamentale garantire condizioni di lavoro non decenti, ma buone, con pianificazioni dei turni sensate in grado di offrire conciliabilità fra vita professionale e privata. A Olten si è ricordato che la qualità del lavoro è una condizione inalienabile in quanto permette ai curanti di concentrarsi pienamente sui pazienti. Trattandosi di professioni ad alta responsabilità, totalizzanti, delicate, ma anche logoranti, si chiede una settimana lavorativa di 32 ore.

 

È un documento importante il “Manifesto per le cure di qualità” presentato il 31 agosto. Per Enrico Borelli, co-responsabile del dossier cure di Unia, sono quattro, come i punti cardinali, le piste da seguire nel lancio del documento. Vale a dire: «Porre le salariate e i salariati al centro dell’iniziativa sindacale; favorire una politica di Alleanza (la via solitaria non è un’opzione e sarebbe votata al fallimento!); affrontare il tema dell’assistenza e delle cure come tema di società; favorire la costruzione di un processo collettivo e rafforzare le capacità di mobilitazione».

 

Certo, perché il manifesto non si limita a riflettere sulla complessità dei problemi, ma si batte per risolverli.

 

E ora? Il manifesto verrà diffuso tra il grande pubblico affinché ci sia pressione perché l’assistenza e le cure di qualità siano riconosciute come un compito pubblico, mentre le organizzazioni partecipanti si impegneranno nei prossimi mesi a diffondere il documento nei Cantoni e a lottare assieme alla popolazione e alla politica a favore di un finanziamento equo.

 

Proseguendo sullo slancio e la motivazione percepiti nel convegno di Olten, Enrico Borelli ha concluso con questo auspicio: «Vorremmo organizzare nel corso del 2025 una terza Fachtagung nazionale. Partendo dal manifesto vorremmo affinare e precisare una serie di rivendicazioni e proposte di riforma, che investono l’universo delle cure in modo aperto e coinvolgendo il maggior numero di partner, in primis pensiamo alle pensionate e ai pensionati».

 

 

Pubblicato il 

04.09.24