Dormire sonni tranquilli perché tanto c'è la previdenza professionale. Non è più così per molti e non solo perché il governo elvetico sta tirando la corda sull'età in cui si potrà andare in pensione o perché in questi ultimi anni ha gradualmente ridotto le prestazioni previdenziali. In questo articolo area documenta per la prima volta un fenomeno inquietante che sfugge da tempo alle statistiche e ai controlli. Abbiamo interpellato l'Ufficio centrale del secondo pilastro, quello di vigilanza, il fondo di garanzia Lpp, l'Istituto collettore, diversi esperti in casse pensioni e perfino grossi assicuratori privati. Nessuno di loro sa, o vuole sapere, però chi è preposto al controllo e quale è l'ampiezza di questo fenomeno. In Svizzera ci sono con ogni probabilità migliaia di lavoratori titolari di una doppia polizza di secondo pilastro. Un breve periodo di disoccupazione o di inattività può infatti essere fatale perché una volta tornati al lavoro molti, troppi, si "dimenticano" di portare il proprio secondo pilastro presso la nuova cassa pensione. E questo nonostante che la legge lo preveda espressamente. Così restano per anni con una polizza alla quale non si applica – per un'illogica decisione del legislatore – il tasso di interesse legale minimo, ma quello di mercato. Così se il secondo pilastro viene fatto fruttare al minimo legale (quest'anno al 2,5 per cento), nell'ambito delle polizze vincolate si resta bloccati ad un massimo e – curiosamente comune a tutti gli assicuratori privati – 1,5 per cento.
Il caso reale che vi presentiamo di seguito la dice lunga sulle conseguenze di questi errori in cui incappano troppe persone: Eliana, una semplice impiegata, ci ha rimesso più di 70 mila franchi. Ma fra i casi che abbiamo scovato c'è anche quello di un professore universitario in economia. Se questi errori da una parte influiscono pesantemente sui malcapitati dall'altra – come si capisce dall'intervista in pagina all'esperto in previdenza professionale Dario Giudici – fanno molto comodo ad alcuni operatori di mercato…

Eliana ha ricevuto per anni due certificati di previdenza professionale. Uno dalla cassa pensione della ditta presso cui era impiegata e l'altro da un assicuratore privato con cui aveva stipulato una polizza di libero passaggio. Per lei in quegli anni di lavoro l'importante era una cosa sola: avere in mano i documenti che attestavano che quella somma era sua.
«Io non mi sono mai posta domande su tassi di interesse, sul funzionamento della cassa pensione dove lavoravo e le altre cose di cui non capisco molto. Mi sono fidata della gente. Pensavo che in Svizzera certe cose non potessero succedere. E invece per anni mi hanno fregata…  Sì, io mi sento imbrogliata – ci dice seduta nella cucina di casa sua davanti ad un classificatore colmo di documenti –. Ma lei ci capisce qualcosa da questi fogli?».
Sui conteggi che Eliana riceveva annualmente non c'era solo l'ammontare che aveva accumulato, ma anche le previsioni delle prestazioni che avrebbe ricevuto alla pensione e soprattutto un'altra cifra: il tasso di interesse. Una riga in cui l'assicuratore informa annualmente quale remunerazione è stata applicata al capitale destinato alla previdenza professionale dell'assicurato.
Nei 21 anni in cui l'ex impiegata ha avuto la sfortuna – e vi spiegheremo presto perché si tratta di una iattura – di essere titolare di un doppio conto, i soldi che aveva messo da parte ricevevano infatti due diversi trattamenti. Quella riga in cui era riportato il tasso di interesse ha sempre segnato due differenti cifre sulle due diverse polizze.
Da una parte – cioè presso la cassa pensione del proprio datore di lavoro – al suo secondo pilastro è sempre stato applicato il tasso di interesse minimo deciso dal Consiglio federale, dall'altro invece – cioè sulla polizza vincolata – lo stesso tasso è sempre stato libero di fluttuare. In Svizzera il legislatore ha deciso che una parte della previdenza professionale va lasciata al (libero) mercato. Negli anni in cui il tasso di interesse minimo era ancora al 4 per cento, il tasso sulla polizza vincolata era al 2,5 per cento. Ora che il tasso obbligatorio è al 2,5 per cento quello di mercato è sceso al 1,5 per cento.
«Io non mi sono mai resa conto di cosa volesse veramente dire quella differenza. Avevo una famiglia da portare avanti, l'ipoteca della casa. La cassa malati. Avevo da compilare i documenti della tassazione, le assicurazioni private – dice sconsolata Eliana –. Non avevo capito che spettava a me informarmi, far valere i miei diritti. Pensavo che con l'Avs potevo stare tranquilla perché tanto c'era lo Stato a controllare che tutto fosse in ordine. Non mi sarei mai immaginata di perdere tutto questo denaro».
Per un ventennio il suo secondo pilastro che ammontava a quell'epoca a 120 mila franchi è rimasto bloccato sulla polizza dell'assicuratore privato, mentre presso il nuovo datore di lavoro il capitale accumulato ripartiva da zero e veniva remunerato secondo il minimo legale. Una differenza fra i due tassi di interesse che abbiamo calcolato in media dell'1,5 per cento. Quisquilie? Per nulla, questa differenza ha rappresentato una perdita in capitale molto consistente. Se quei 120 mila franchi fossero stati trasferiti alla nuova cassa pensione in 21 anni con un tasso di interesse che era al 4 per cento il secondo pilastro sarebbe stato infine di 273 mila franchi. Il 4 per cento avrebbe accresciuto infatti il capitale a 124 mila 800 franchi il primo anno. L'anno  seguente il 4 per cento sarebbe stato applicato però applicato ai 124 mila 800 franchi, crescendo ulteriormente a 129 mila 792 franchi. E così via. Anche una piccola differenza del tasso di interesse porta quindi dopo anni a una crescita del capitale molto diversa: con il 2,5 per cento il capitale di Eliana si è fermato a 201 mila franchi. Sul conto dell'ex impiegata ora in pensione mancano quindi ben 72 mila franchi.

"Un ombudsman per il cittadino"

Dario Giudici è sorpreso dal caso della signora Eliana (si veda l'articolo sopra)?
No. Purtroppo non mi sorprende. Nel corso di anni di lavoro ho fatto anche consulenza a singoli assicurati e mi sono capitati diversi casi di persone che hanno avuto problemi simili a quello che mi ha descritto. Ricordo un assicurato che aveva addirittura tre polizze. Una per ciascun datore di lavoro presso il quale aveva lavorato. Non era mai stato informato, nessuno gli aveva spiegato non solo che poteva, ma che doveva portare quei soldi presso la nuova cassa pensione. Un obbligo che è soprattutto un vantaggio – e questo va sottolineato – perché sulle polizze si prende al massimo 1,5 per cento di interesse spese escluse, mentre nella parte obbligatoria il tasso di interesse minimo sta risalendo la china e sarà al 2,75 per cento a partire dal 1° gennaio 2008. Ci sono assicurati che perdono e che hanno perso cifre enormi in questo modo.
Non esiste alcuna statistica in questo ambito. Non si sa chi deve fare i controlli e come dovrebbero essere condotti. Quanto è diffuso questo fenomeno?
È una buona domanda. Ma neppure io sono in grado di darle una risposta, è difficile fornire percentuali. Non esistono strumenti in grado di cogliere questo fenomeno, ma è un problema che va affrontato. Ci vuole una campagna d'informazione per gli assicurati. Anche la legge attuale sulla previdenza professionale e specialmente le sue ordinanze necessitano delle modifiche. Credo inoltre che è giunta l'ora di creare un ombudsman per il cittadino.
La signora Eliana ha perso molti soldi perché non informata a dovere. Di chi è la colpa? In fondo la legge dice che è l'assicurato che deve curare i propri interessi.
Il termine colpa significa che qualcuno ha delle responsabilità di tipo penale o civile. Io non credo che si possa incolpare di questo fenomeno gli affiliati. Non sono solo l'idraulico o il manovale ad essere in difficoltà quando sono alle prese con temi come quelli della previdenza professionale, ma anche persone professionalmente più qualificate. Chi però lavora in un certo ambito, e con questo intendo tutti quelli che sono attivi nel campo della previdenza professionale, dovrebbero informare compiutamente i cittadini sui loro diritti. Non è possibile che un lavoratore di una certa età che arriva presso una nuova impresa non abbia un secondo pilastro che è stato momentaneamente posteggiato. Il nuovo datore di lavoro deve – e sottolineo deve – pretendere che questo ammontare venga girato alla nuova cassa pensione. È possibile che l'assicuratore privato presso il quale la signora di cui mi ha parlato non si sia mai posto questa domanda: "la nostra affiliata è tornata al lavoro?". Mi ha chiesto prima chi deve fare dei controlli. Guardi a Berna ci sono 17 ispettori all'istituto di vigilanza che dovrebbero controllare da soli più di 3 milioni di polizze. Tragga lei le sue conclusioni.
I tassi di interesse in ambito privato arrivano al massimo all'1,5 per cento. Perché sono così bassi?
Non è logico che ci sia questa differenza fra l'ambito privato e quello pubblico. Ma c'è e vista la potenza delle lobby assicurative e bancarie credo che con molta difficoltà si riuscirà a mutare in tempi brevi la situazione.  Del resto è lo stesso legislatore che ha permesso – c'è chi dice che si è dimenticato…– l'insorgere di questa ambiguità. La legge sulla previdenza professionale è piena di formule protestative, c'è cioè scritto molto spesso "può" e raramente "deve". Il principio è stato espresso correttamente, ma mancano regole precise e inequivocabili. Esiste un'ambiguità troppo estesa in molti articoli della Lpp.
Per quale motivo i maggiori assicuratori privati offrono delle condizioni di remunerazione molto simili sulle polizze? Perché tutti all'1,5 per cento sulla polizza di libero passaggio?
Credo che la Commissione per la concorrenza dovrebbe indagare se c'è un cartello in questo ambito.
Gli assicurati sono sufficientemente tutelati nell'ambito della previdenza professionale?
No. 
Quali sono le lacune?
Esiste un enorme vuoto informativo, che credo faccia comodo a molti non colmare.
Come evitare altri casi come quelli che lei ha visto oppure quello da noi documentato?
Il miglioramento potrebbe essere fatto ancorando le condizioni della parte obbligatoria anche agli assicuratori privati. Cioè un tasso di interesse minimo anche in ambito di privato. I conti di libero passaggio sono nati per avere una natura transitoria. In questo caso anche un basso tasso di interesse avrebbe avuto ripercussioni non gravi sull'arco di pochi mesi. Oggi invece operatori poco formati bloccano dei clienti con delle polizze che non tutelano la crescita del loro capitale. L'articolo 3 della legge federale sul libero passaggio in vigore dal 1° gennaio del 1995 dice che "se l'assicurato entra in un nuovo istituto di previdenza quello precedente deve versare le prestazioni di libero passaggio al nuovo istituto". In queste condizioni alcuni assicuratori hanno cominciato a pensare che era meglio offrire loro stessi delle polizze per poter gestire quei capitali. Questa pratica è contraria al principio del libero passaggio. Non si può passare in centro città a 80 all'ora e dire che non si è visto il cartello stradale. L'ignoranza non è ammissibile per gli operatori del mercato. D'altra parte questa è un'ignoranza che paga.
Sopra ad un certo ammontare di secondo pilastro (solitamente 20 mila franchi) gli assicuratori privati offrono una polizza al posto di girare il denaro sul conto di libero passaggio presso l'Istituto collettore. Come valuta questa pratica?
È una discriminazione che dovrebbe mettere in allarme gli ispettori a Berna. Significa che sopra ad un certa cifra c'è un interesse a trattenere questa somma e a cercare di farla fruttare sul mercato, mentre l'assicurato è bloccato all'1,5 per cento. E una volta che questa somma è stata bloccata all'1,5 per cento non vedo cosa dovrebbe spingere il "libero mercato" a remunerarla nuovamente ad un tasso di interesse minimo del 2,75 per cento.

Pubblicato il 

16.11.07

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