Il 13 giugno 1999 gli svizzeri respinsero in votazione popolare la legge federale sull’assicurazione per la maternità, con il 61 per cento di “no” ed il 39 per cento di “sì”. In precedenza, altre due proposte in tal senso furono bocciate nel 1987 con il 71,3 per cento di “no” e nel 1984 con l’84,2 per cento di voti contrari. Ora, un progetto di assicurazione maternità affronterà per la quarta volta il giudizio popolare, il prossimo 26 settembre. E, a giudicare anche solo dall’andamento decrescente dei “no” espressi nel corso delle precedenti votazioni, si direbbe che questa sia la volta buona. Anche perché quest’ultimo tentativo è partito dalla proposta fatta da un consigliere nazionale radicale, il bernese Pierre Triponez, appartenente cioè proprio al partito che aveva maggiormente combattuto le soluzioni legislative precedenti.
Ma nonostante le apparenze, l’esito del voto è tutt’altro che scontato, sebbene questo testo ora in votazione sia molto meno “invasivo” rispetto a quelli respinti nelle tre votazioni precedenti. Questa volta non si chiede un aumento dell’Iva, non si estendono le prestazioni anche alle donne che non lavorano, non si crea una nuova assicurazione sociale ma si utilizza la legge sulle indennirà di perdita di guadagno (Lipg), cioè un’assicurazione speciale già esistente. Tuttavia, l’Udc ha promosso il referendum contro la modifica approvata il 3 ottobre 2003 della Lipg, che ne estende le prestazioni anche ai casi di maternità.
Certo, rispetto al 1999 i sostenitori dell’indennità perdita di guadagno per le puerpere questa volta sono molto più numerosi. Oltre alla sinistra ed ai democristiani, c’è il Prd (ma non all’unanimità: 229 delegati favorevoli e 25 contrari) ed una parte dell’Unione svizzera arti e mestieri (Usam), il cui direttore, Peter Hasler, ancora in aprile dichiarava a “laRegione Ticino”: «Con un sondaggio abbiamo potuto constatare che settori economici e parti della nostra associazione sono fortemente favorevoli, altri fortemente contrari».
Questa spaccatura si verifica nonostante l’evidente convenienza per i settori economici ad alta intensità di occupazione femminile. Il che dimostra che si tratta in buona misura di un’opposizione ideologica preconcetta, una voluta ostilità verso tutto ciò che suona più sociale e più giusto, indipendentemente da chi ne paga i costi, come la posizione assunta da certi consiglieri nazionali del Prd, in prima fila lo zurighese Filippo Leutenegger. Un’ostilità che la stessa Economiesuisse (la maggiore associazione economica ed industriale del paese) a fatica riesce a mascherare dietro un atteggiamento distaccato ed indifferente. Il suo presidente, Ueli Forster, il 28 maggio dichiarava al “Tages-Anzeiger”: «Ci assoceremo all’Usam e ci asterremo da un’indicazione di voto». Ma il suo vicepresidente, il consigliere nazionale radicale bernese Johann N. Schneider-Ammann, ha assunto la stessa posizione di Leutenegger (o forse gliel’ha suggerita proprio lui).
Soltando l’Udc, tra le maggiori forze politiche, si oppone compatta al progetto, avanzando gli stessi argomenti che aveva utilizzato nel 1999: contro ogni estensione delle prestazioni sociali, contro ogni nuova assicurazione sociale, contro i doppi salari e, quindi, contro le donne che lavorano. La campagna referendaria vera e propria non è ancora cominciata, ma non ci sarà da meravigliarsi se nelle prossime settimane all’improvviso assumesse toni e proponesse argomenti xenofobi. Già nel 1999 la maggioranza dei partiti e del parlamento erano favorevoli all’assicurazione maternità, ma poi il progetto naufragò ugualmente davanti al giudizio popolare. Ora, anche se i dati del problema sono cambiati, anche se una parte dell’economia è favorevole ed alcuni vecchi avversari ora sostengono la riforma, non bisogna farsi molte illusioni; e tutti i sostenitori dovranno fare un ulteriore sforzo per convincere il centro dell’elettorato.
Gli argomenti che il Pss, e soprattutto le donne socialiste (vedi intervista qui sotto), intendono utilizzare a tale scopo, differiscono leggermente da quelli dell’Unione sindacale svizzera, anch’essa fortemente impegnata in questa battaglia. L’Uss insiste sulla compensazione salariale in caso di maternità, cercando di mostrare, partendo da esempi concreti, che le donne che lavorano possono trovarsi in una situazione molto difficile senza compensazione salariale. Le parole-chiave della campagna sindacale dovrebbero essere: necessario, sociale, giusto. I tre aggettivi vanno riferiti ai tre obiettivi della riforma: compensare la perdita salariale durante il divieto di lavoro imposto alle puerpere; sostenere le donne attive professionalmente ed il loro reddito familiare; garantire un finanziamento sicuro e solidale attraverso la cassa dell’Ipg; eliminare le discriminazioni tra i settori economici. Un certo sforzo di coordinamento è infine previsto tra le diverse campagne (sinistra, Usam, Pdc/Prd) e tra i numerosi movimenti (Verdi, altri sindacati, organizzazioni femminili, associazioni professionali, organizzazioni del settore sanitario, ecc.) che si schierano dalla parte del “sì”.
Il 26 settembre 2004 il popolo svizzero sarà chiamato a votare sulla revisione della legge sulle indennità di perdita di guadagno (Lipg). Votando sì a questa revisione di legge si promuove il sostegno alle donne professionalmente attive che diventano madri. E questo senza che la nuova regolamentazione imponga ulteriori imposte o la creazione di una nuova assicurazione. In effetti, dal momento che le donne professionalmente attive pagano, al pari degli uomini, i contributi Ipg sul reddito, contribuendo così a finanziare il relativo fondo senza però mai farne capo, in caso di maternità sarà questo fondo a fornire il risarcimento (pari all’80 per cento del reddito medio e versato sotto forma di indennità giornaliere per ciascun giorno della settimana) e non una nuova assicurazione.
Un sì il 26 settembre promuove inoltre un congedo maternità pagato di 14 settimane, ovviando alla mancanza di garanzia di retribuzione che vige oggi in caso di maternità. La condizione per accedere a questo congedo è che la donna sia stata obbligatoriamente assoggettata all’Avs negli ultimi nove mesi precedenti il parto.
Infine un voto affermativo il 26 settembre prossimo facilita la promozione di un trattamento paritetico di tutte le madri professionalmente attive indipendentemente dalla professione e dal ramo economico, così come dal domicilio.
La possibilità di un congedo maternità pagato promuove una migliore qualità di vita per la madre e per i figli.
Le donne ginevrine hanno diritto all’80 per cento del salario per un periodo di 16 settimane: sono i numeri dell’assicurazione maternità che gli elettori del cantone hanno adottato il 13 giugno 1999, con 74 per cento dei consensi, offrendo a Ginevra la prima copertura assicurativa cantonale per le madri che lavorano. La legge è però entrata in vigore dopo due anni, il primo luglio 2001. I deputati ginevrini hanno avuto bisogno di tempo per mettere a punto il testo definitivo, adottato in parlamento il 14 dicembre 2000, registrando l’adesione, larga, del mondo politico e istituzionale. Normale: si trattava di rendere compatibile la nuova legislazione con la legislazione federale, in particolare il Codice delle obbligazioni. Ne è scaturito un testo tutto sommato equilibrato che conferisce il diritto alla copertura assicurativa a tutte le madri che hanno un contratto di lavoro e svolgono un’attività lavorativa indipendente da almeno tre mesi. Il finanziamento è paritario, sul modello dell’Avs: i contributi sono versati per metà dai datori di lavoro e dalle lavoratrici e... anche, naturalmente, dai lavoratori uomini. Condizione sine qua non (evidente ma non troppo): la madre deve effettivamente smettere di lavorare durante le 16 settimane di congedo. E, inoltre, il luogo di lavoro deve essere obbligatoriamente situato entro i confini del cantone.
Da non dimenticare: il diritto alla copertura non è subordinato alla ripresa dell’attività lavorativa al termine del periodo assicurativo. La madre può cioè decidere di non reintegrare il posto, notificando però le proprie intenzioni al datore di lavoro nei termini previsti dal codice. Da non dimenticare, infine, che il diritto è garantito anche in caso di adozione (di un(a) bambino(a) al di sotto degli otto anni d’età).
La retribuzione è fissata, come detto, ad una quota corrispondente all’80 per cento dell’ultimo salario (ma con un tetto massimo di 106 mila franchi all’anno). Nel caso in cui la madre abbia svolto un’attività lucrativa irregolare, ed abbia così percepito redditi fluttuanti, il mensile integrativo è calcolato sulla base dei guadagni ricavati nel corso degli ultimi dodici mesi. La legge prevede, in tutti i casi, un versamento minimo di 43 franchi al giorno.
Ecco, in sintesi, le grandi linee della legislazione ginevrina sull’assicurazione maternità, il primo testo cantonale che realizza una promessa federale del 1945 (!). Una legge che è stata l’oggetto di lunghi e estenuanti dibattiti parlamentari. Il finanziamento iniziale è stato garantito dal governo ginevrino che ha sborsato un anticipo di 20 milioni di franchi, per coprire le spese relative alle prime coperture assicurative. La somma è stata affidata al “Fondo di compensazione”, istituito a norma di legge per regolare i flussi finanziari. Nel corso dei primi due anni una “task force” di esperti e giuristi è stata incaricata di monitorare l’applicazione della legge. Ad oggi non è stata rilevata alcuna anomalia, ma un bilancio definitivo sarà stilato tra un anno o due. |