Un abitante di Cordova che nel decimo secolo della nostra era avesse sentito qualcuno decantare la superiorità culturale, tecnologica e civile dell'Occidente (ogni allusione a un certo presidente del Consiglio di nome Berlusconi è del tutto voluta) si sarebbe lasciato sfuggire una fragorosa risata e avrebbe invitato il suo interlocutore a guardarsi attorno. Cordova è certamente la città più ricca dell'Europa alla fine del primo millennio. Vi si coltivano le scienze, la matematica e la geometria, le lettere e la musica. La medicina, che nel resto dell’Europa è appannaggio esclusivo di qualche monastero, qui gode di grande prestigio e fa riferimento a scuole di grande tradizione. La maggioranza della popolazione è cristiana, ma ci sono anche molti ebrei e qualche berbero. Il potere però è saldamente in mani musulmane: Ar-Rahman III (912-961), della dinastia degli Omayyadi, è il califfo di Cordova e mantiene sotto il suo dominio una buona parte della penisola iberica. Le truppe arabe avevano attraversato lo stretto di Gibilterra nel 711. In soli cinque anni due generali di Damasco, Ta'riq e Musa, che guidavano bande estremamente eterogenee composte da arabi, siriani e marocchini initi solo dalla comune fede e, soprattutto, dalla prospettiva di grandi profitti, avevano letteralmente travolto il fragile regno dei Visigoti. Le soldataglie non brillavano per lungimiranza. La loro occupazione principale era quella di riempirsi le tasche e, come fatalmente accade, si facevano la guerra. Solo con l’arrivo degli Omayyadi diventa possibile la creazione di un nuovo Stato, iberico e islamico: l’emirato e poi il califfato (califfo è un titolo più prestigioso) di Cordova. Per governare uno stato multietnico in cui il potere è in mano ad una minoranza, seppure forte delle armi, la tolleranza non è un’opzione secondaria accolta per magnanimità dei dominatori, ma l’unica scelta possibile. È così che nella Spagna moresca del decimo secolo si avvia un primo interessante esperimento di stato multietnico e multiculturale basato sulla convivenza di cristiani, musulmani, ebrei e berberi. Il fatto che il califfato protegga e giustifichi la presenza della minoranza ebraica si spiega con la semplice evidenza che anche quella musulmana è una minoranza e ha lo stesso bisogno di giustificazione e protezione. Certo, non esistono convivenze senza attriti. Anche nel califfato si verificano sommosse e ribellioni soffocate nel sangue. Ma non sono questi a porre termine all’eperimento multiculturale. Sono le rivalità tra i principati musulmani delle «taife» (dall’arabo taifa=banda, fazione) che porteranno allo sgretolamento del califfato.

Pubblicato il 

16.11.01

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