Lo straccio, grazie, dopo averlo raccolto, lavato e stirato, a titolo gratuito, lo sistemo io. Lara Robbiani Tognina, che negli ultimi tre anni ha raccolto quantità industriali di indumenti usati per i profughi, facendosi conoscere in ogni angolo del Ticino e anche in Italia, contesta il mandato diretto che il Consiglio di Stato ha attribuito senza concorso per la distribuzione dei vestiti. «D’ora in poi, la nostra associazione che conta il maggior numero di volontari attivi sul territorio, dovrebbe sottostare a Caritas che, retribuita dal Cantone, coordinerebbe le nostre attività!» scrive indignata la presidente dell’associazione DaRe. Questa volta i panni, che poi in fondo di questi si tratta, non si lavano in casa, ma in piazza. Alla luce del sole. Una premessa per capire da dove parte il “contenzioso” fra DaRe e Cantone, che in questi anni hanno collaborato. L’associazione regolarmente e con il benestare dell’Ufficio cantonale per i richiedenti l’asilo ha fornito, su segnalazione e richiesta, il materiale necessario ai migranti. Tutto ciò è stato reso possibile dall’impegno di un gruppo di persone che è andato crescendo fino a diventare associazione e ad aprire tre magazzini (Bedano, Lamone e Bellinzona, il più grande, un vero negozio, ma... gratis). Che cosa fa questa adunanza di volontari lo spiega la presidente: «Da quasi tre anni ci occupiamo di accoglienza migranti a Milano, Como e in Ticino. Nel mese di ottobre del 2016 è stata costituita l’associazione DaRe – Diritto a restare – per dare un cappello al lavoro ingente, senza sosta, che portiamo avanti con un gruppo di volontari numeroso, motivato e solido, sono una cinquantina di persone, a favore dei migranti». Fra le azioni condotte appunto la raccolta e la distribuzione di vestiti e di prodotti per l’igiene personale, la gestione dei magazzini, corsi di italiano e di cucina ed è stata avviata anche una collaborazione con le levatrici. DaRe fornisce, sul modello di quelle dei paesi scandinavi, una culla in cartone per neonati con un primo kit. “Uomo”, “Donna”, “M”, “XL”, “Scarpe”, “Giacche”, “Bambino”, “Bebè” su ogni cartone per indicare il contenuto. Tonnellate di vestiti da smistare, piegare e impacchettare perché siano pronti a partire verso chi ne ha bisogno: i campi profughi all’estero, ma anche Bosco Gurin, Piano di Peccia, Tenero e le pensioni dove sono alloggiati i profughi. Non un passatempo, ma una vera rete organizzata che in questi anni si è trovata quasi quotidianamente per far fronte all’emergenza. Un’azione creata grazie alla volontà di tanti cittadini che hanno voluto dare una risposta concreta a quanto stava accadendo attorno alle loro frontiere. Un movimento che ha attirato l’attenzione dei media: la Rsi ha realizzato il documentario “Nei tuoi panni”, che racconta per l’appunto la storia di un impegno civile. Un progetto che ramifica e, secondo Robbiani Tognina, potrebbe portare a un rapporto di collaborazione con il Cantone con i crismi dell’ufficialità. «La distribuzione di indumenti nei centri di accoglienza e nelle pensioni è stato un servizio costante. Ci chiamavano: “Abbiamo bisogno di dieci paia di pantaloni da uomo e di sessanta mutande” e noi ci attivavamo e consegnavamo. Il rapporto con il Cantone era aperto, a parole eravamo sostenuti nella nostra azione, mentre si creava un rapporto di fiducia reciproca» continua la presidente di DaRe. Si incominciano a immaginare nuove vie. «Due mesi fa il Cantone, dopo aver annunciato a tutte le pensioni e protezioni civili che i buoni di 50 franchi dati due volte all’anno a ogni profugo per comprare i vestiti alla Caritas o alla Croce Rossa non erano più validi, l’ufficio di Carmela Fiorini ha cbiesto a DaRe di presentare un progetto per coprire le richieste di vestiario provenienti dalle 17 strutture che accolgono richiedenti l’asilo». Detto, fatto. L’associazione allestisce il progetto nel quale si offre come “distributore di vestiti”. «Ricordiamo – continua Robbiani Tognina – che un richiedente l’asilo per usufruire del buono di 50 franchi doveva magari recarsi da Peccia a Locarno in treno, che fanno 30 franchi andata e ritorno. Ricevono 3 franchi al giorno, per prendersi una giacca in inverno doveva aspettare 10 giorni per poter comprare il biglietto del treno, sperando poi di trovare il vestito della propria misura... DaRe presenta un progetto con un budget di 20.000 franchi (sono 200 migranti:100 franchi di vestiti per ciascuno. E non avremmo contato i franchetti; se uno aveva bisogno di una maglia in più l’avrebbe ricevuta) e 5.000 di fondo cassa. Non è un guadagno, è un rimborso spese. Per noi la consegna dei vestiti è uno strumento per entrare in contatto con i migranti, per creare una relazione che riteniamo la parte centrale del nostro programma: il contatto umano». Non ricevendo più segnali da parte di Bellinzona, DaRe sollecita un incontro con Renato Bernasconi, direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie, e con Carmela Fiorini, capo del servizio cantonale richiedenti l’asilo. «Con nostra grande sorpresa ci comunicano che il Consiglio di Stato ha conferito a Caritas il mandato diretto, senza concorso. Con l’assunzione di un collaboratore pagato al 50% per coordinare i volontari e le volontarie che si occupano di rifugiati nel nostro cantone» dichiara la presidente ancora incredula e seccata per quanto accaduto. In pratica, «all’incontro con i due funzionari statali ci viene spiegato quale è stata la decisione. Noi, secondo i loro piani, possiamo continuare a fare il grosso del lavoro e qualcuno di Caritas organizzerà la nostra attività: inaccettabile. Se la nostra iniziativa ha avuto tanto successo è proprio perché tante famiglie ticinesi non vogliono mettere il loro usato nei container di Croce Rossa o di Caritas, in quanto poi li rivendono nei loro negozi. La spinta motivazionale è partita dal basso, dalla gente che ci ha direttamente messo in mano i loro indumenti affinché li consegnassimo a chi ne ha necessità, senza catene intermediarie. Il patto che noi abbiamo fatto con i nostri sostenitori è questo: trasparenza e sicurezza di far giungere anche un maglioncino la dove era richiesto. Un modo di agire che è stato premiato da chi non voleva donare a organizzazioni profilate. Se si va sul sito della Caritas, si può leggere la loro visione caritatevole dell’aiuto. Noi con i migranti vogliamo invece impostare una relazione umana di crescita reciproca. La popolazione lo ha capito e ha creduto in noi, trovando una valida alternativa ai cassonetti non da tutti apprezzati». Il mandato al collaboratore della Caritas durerà 18 mesi. Intanto DaRe ha scritto a tutti i parlamentari ticinesi sollevando perplessità per il mandato diretto a Caritas. DaRe si riunirà a breve in assemblea, mentre continua senza sosta il suo lavoro a favore dei migranti: «Noi abbiamo deciso di proseguire con il nostro lavoro senza la vigilanza di Caritas, visto che abbiamo un’altra visione. Noi offriamo tutti i capi gratuitamente a chi ne ha bisogno. I 20.000 franchi chiesti al Cantone erano per il rimborso spese, che con cifre così non fai mica il business...».
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