Prepensionamento a 60 anni nell'edilizia

Dieci anni fa, il 1° luglio 2003, i primi operai dell’edilizia potevano approfittare del pensionamento anticipato. Potersi ritirare a 60 anni dopo una vita passata sui cantieri costituisce una delle più importanti conquiste sociali degli ultimi decenni. La ricorrenza del primo decennale da quello storico accordo è stata ricordata da Unia con un pubblico dibattito tenuto sabato scorso a Berna. In questi dieci anni sono stati almeno 11 mila i lavoratori dell’edilizia che hnno potuto beneficiare della pensione con 5 anni di anticipo sull’età prevista per l’Avs.

 

La rendita percepita in tale perido ammonta a circa l’80 per cento dell’ultimo salario e viene versata dalla Far (Fondazione per il pensionamento anticipato). Il finanziamento è garantito con contributi in percentuale sulla massa salariale, pari al 4 per cento a carico dei datori di lavoro ed all’1 per cento a carico dei lavoratori. Si temeva, allora, che questo sistema non avrebbe retto finanziariamnete; in realtà la Far ha incassato in dieci anni 2,5 miliardi di franchi, conseguendo un grado di copertura superiore al 120 per cento.


Per tirare un bilancio di questo primo decennio, alla “tavola rotonda” organizzata a Berna hanno partecipato alcune delle persone che a suo tempo contribuirono alla realizzazione della Far. «La pensione a 60 anni nel settore dell’edilizia è uno dei più significativi progressi ottenuti dai sindacati negli ultimi anni», ha puntualizzato Hansueli Scheidegger, capo negoziatore di Unia e guida dello sciopero di 10 annni fa. Gli ha fatto eco, singolarmente, colui che allora era il suo diretto aversario, il presidente centrale della Società svizzera degli impresari costruttori, Werner Mesmer, che ha detto: «È stata un’idea rivoluzionaria, che oggi dà buoni risultati; e questo a vantaggio non solo dei lavoratori, ma anche delle imprese».


Davanti ad un pubblico di un centinaio di lavoratori e di rappresentanti dei datori di lavoro, hanno preso la parola anche Ueli Mäder, professore di sociologia all’Università di Basilea, autore di uno studio-bilancio su questo tema, Massimo Usel, coautore di un pionieristico studio ginevrino sulla ineguaglianza di fronte alla morte, che era apparso nel 2000 ed aveva preparato il terreno al pensionamento anticipato, Rolf Bless, rappresentante del sindacato Syna nel consiglio di fondazione della Far, e Gabriel Decaillet, direttore della fondazione Resor, a Sion, che ha testimoniato come nel frattempo altre categorie artigianali hanno introdotto il pensionamento anticipato prendendo esempio dal’edilizia.

 

Noi abbiamo chiesto a Vasco Pedrina, allora presidente del sindacato Sei, poi confluito in Unia, di commentare la ricorrenza. Pedrina è stato il vero motore che ha spinto per realizzare il pensionamento a 60 anni nell’edilizia. «È stata una delle più grandi conquiste del movimento sindacale negli ultimi decenni sul piano contrattuale», è la sua prima risposta. «Per quel che riguarda il settore edile, è paragonabile all’introduzione, nel 1944, della prima settimana di vacanza nel contratto mantello, oppure all’introduzione della tredicesima nel 1973. Ecco, queste sono conquiste, passi avanti che vengono compiuti, nella storia sindacale, ogni 25-30 anni. Va anche detto che questa conquista del pensionamento anticipato ha ancora più valore di quelle che ho citato, perché è stata ottenuta in un contesto che era molto difficile. Da un lato, perché tutto il padronato svizzero e la politica parlavano in quel periodo di aumentare l’età pensionabile e non di diminuirla, e dall’altro perché c’è voluta una lotta veramente determinata dei lavoratori edili, nonché molto coraggio e molta forza, per imporla al padronato».


Quanto sono durate le trattative e quali sono stati i principali ostacoli incontrati?
Le trattative le abbiamo condotte a due riprese. Prima, nella primavera del 2002, eravamo riusciti, con molte mobilitazioni ma senza un vero sciopero, a ottenere un primo accordo. Ma poi, alla seconda assemblea dei delegati dei padroni, in giugno, questi hanno fatto retromarcia. È stata una doccia fredda che ci ha obbligato a riprendere la lotta. Una delusione terribile. Però abbiamo saputo trasformare delusione, frustrazione e rabbia in volontà di lotta. Abbiamo costruito un movimento di sciopero, prima con scioperi locali e regionali, poi il 4 novembre con uno sciopero nazionale di settore, il primo dagli anni Cinquanta nell’edilizia. E beh, se si mettono assieme tutte le ore di trattative che abbiamo avuto, sono state davvero tante: per due o tre volte siamo stati a trattare per dodici ore di fila, fino alle due del mattino dopo aver cominciato alle due del pomeriggio, prima di trovare un accordo. Anche perché, quando bisogna mettere in piedi un sistema nuovo, un modello specifico di assicurazione per il pensionamento, la questione è tecnicamente complessa. Si deve trovare un modello che risponda alle esigenze dei lavoratori, ma che sia anche in grado di garantire i finanziamenti necessari e che abbia un carattere di validità perenne. Quando si costruiscono sistemi che devono durare decine d’anni, bisogna tener conto veramente di tutti gli elementi immaginabili e possibili, e cercare di portarli a una soluzione che sia effettivamente percorribile. È quello che ci è riuscito. Così, dieci anni dopo, è bello sentire il presidente dei padroni, Werner Messmer, che dice “sì è vero, è stata una soluzione rivoluzionaria, ma che ha dato buoni risultati”. Ha anche detto che se dovesse andare davanti all’assemblea dei delegati padronali a proporre di tirar via questo sistema, non troverebbe una maggioranza. Cioè la grande maggioranza dei padroni considera adesso questo sistema come molto valido.


Quali sono i vantaggi per i padroni? Perché oggi difendono questo sistema?
Lo difedono perché anche per loro, dal punto di vista sociale, non era sostenibile la situazione precedente, dove più della metà dei lavoratori lasciava la professione in maniera poco dignitosa, finendo nell’invalidità o nella disoccupazione. Un aspetto, questo, che comunque pesa sulle coscienze anche dei padroni. Dal punto di vista economico, inoltre, si rendono conto che questo sistema è finanziabile e che possono poi ricorrere a lavoratori più giovani e più produttivi, il che permette di compensare almeno parzialmente i costi di questo modello. Un modello che in definitiva costa ai padroni il 4 per cento: su una vita non è un’enormità. Tanto più che all’epoca avevamo rinunciato praticamente per due anni ad aumenti salariali.


Anche un successo d’immagine, oltre che economico, per i datori di lavoro?
Sì, per loro c’è un successo d’immagine, perché così le professioni edili sono diventate più attrattive. È un elemento di marketing il poter dire, anche rispetto alla società, “siamo progressisti, siamo un ramo economico che ha anche una sensibilità sociale”. E questo, in tempi di neoliberalismo non è male. Tant’è vero che anche loro vendono adesso questo sistema come una loro conquista. Io non l’ho sentito, ma mi è stato detto che Mesmer sabato sera in Tv presentava la cosa come se ne fosse stato lui il creatore. È stato il più grande avversario, ma tanto meglio così… vuol dire che la cosa funziona.


I lavoratori hanno seguito compatti i sindacati in questo negoziato, o ci sono state indifferenza o resistenze?
Due o tre cose che all’epoca ci sono riuscite sono state gli elementi del successo. Di solito, quando si arriva nella fase decisiva delle trattative e bisogna scegliere una rivendicazione su cui puntare prioritariamente, questa, nella maggioranza dei casi, è il salario. Allora, per la prima volta, ci è riuscito di convincere i lavoratori a mettere la priorità sul pensionamento a 60 anni. Questo è stato possibile perché da una parte c’era una grossa esigenza dei lavoratori anziani, con i quali avevamo già condotto una battaglia di più di dieci anni per questa rivendicazione. E d’altra parte – cosa nuova – ci è riuscito di convincere i giovani. Cioè ha giocato la solidarietà tra i giovani e gli anziani come non mai. Questa è stata una cosa molto bella. La terza motivazione è che c’è stata una volontà di lotta come io non l’ho mai vissuta, né prima né dopo, in Svizzera. Una cosa rimasta molto nella memoria. Sabato, in occasione della festa dei dieci anni, ho incontrato decine di pensionati delle varie regioni della Svizzera, che raccontano di quel periodo come di quello più intenso ed emozionante della loro vita. Sono molto fieri. E insomma in quel periodo abbiamo vissuto l’inferno e il paradiso assieme.


Anche per la tua carriera di sindacalista è stato il momento più significativo?
Senza dubbio. È stata la soddisfazione più grande che ho avuto, perché è un risultato per i lavoratori. Naturalmente ho avuto altre soddisfazioni, come quella di riuscire a costruire Unia eccetera. Però questa qui è quella che mi resterà per tutta la vita nel cuore, come di gran lunga il maggior successo che abbiamo ottenuto, perché tocca veramente la vita di chi rappresentiamo. E perché, dopo questa conquista, non c’era più bisogno di spiegare che il sindacato e la solidarietà servono a qualcosa.

 

Pubblicato il 

03.07.13

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