Un dialogo su flessibilità e precariato

M. Ciao, tutto bene?
G. Direi di si.
M. A cosa stavi pensando?
G. Pensavo a quanto oggi sia difficile la vita nel mondo del lavoro: mai un momento di stabilità, tutto è in evoluzione, non è mai possibile abbassare la guardia e l'unico punto fermo a cui tutti si appellano è la flessibilità.
M. È proprio vero. Come sai, oggi le aziende si trovano perennemente in lotta per sopravvivere, e la concorrenza, che pur è uno strumento adeguato, sia come pungolo per le aziende che come garanzia per i consumatori, è diventata sempre più feroce. Inoltre le aziende non possono permettersi nessuna scorta di magazzino: il lavoro è divenuto "just in time", quindi non pianificabile sul lungo periodo. Per far fronte alle esigenze di produzione, spesso è necessario ricorrere all'utilizzo di manodopera interinale, in modo da poter rispondere velocemente alle esigenze del mercato. Nelle piccole-medie aziende questo modo di agire è divenuto una prassi, anche se spesso, sono poi le grandi ristrutturazioni che fanno parlare i giornali.
G. Se ho capito bene, non ci sono molte possibilità: dobbiamo adeguarci ad un mercato del lavoro determinato dall'andamento della produzione, la quale necessita la flessibilità come un "must"!
M. In effetti, le cose stanno proprio così. Rendersene conto è un primo passo per comprendere le difficoltà che oggi incontrano i nostri politici nel governare.
G. Immagino che ti riferisci alle esigenze di bilancio...
M. Sì, proprio ai dolorosi contenimenti della spesa, indispensabili per contenere il disavanzo. So che sono impopolari, ma credimi, nella situazione in cui siamo, sono gli unici strumenti possibili. Per farti un esempio appropriato, considera il bilancio di un'economia domestica: quando le entrate diminuiscono, non c'è altra soluzione che ridurre le uscite per mantenere il bilancio sotto controllo!
G. Apparentemente la cosa mi sembra semplice, ma ero convinto che per gestire uno stato servissero abilità particolari!
M. Era solo una semplificazione: in uno stato le forze e le interazioni sono estremamente complesse!
G. Quindi, secondo te, se io sono più consapevole, non ho bisogno dei servizi a cui dobbiamo rinunciare?
M. Non intendevo questo, pensavo al fatto che ti rendi conto del nostro sforzo nel toccare i servizi a cui possiamo rinunciare in momenti di difficoltà.
G. Ok! Forse ho capito: in un momento di difficoltà, tutti devono fare sacrifici.
M. Sì, è proprio così, per il bene di tutti.
G. Ma, scusami, perché questi momenti di difficoltà non possono essere previsti?
M. Siamo inseriti in un sistema economico complessivo, gli eventi che ci riguardano, in realtà, coinvolgono tutto il sistema; naturalmente ci sono differenze tra le nazioni, dovute al tipo di struttura economica. Come hai potuto constatare, gli ultimi anni sono stati relativamente positivi per l'economia mondiale, e di conseguenza anche l'economia della nostra nazione ne ha risentito positivamente. Purtroppo la ripresa economica sta lentamente perdendo la spinta propulsiva. Quindi, rispondendo alla tua domanda sulla prevedibilità, sono sicuro, e questo non sono solo io a dirlo ma è la storia economica che lo insegna, che dopo la ripresa, inevitabilmente ci saranno dei momenti d'allentamento assolutamente prevedibili, anche se le dimensioni e la durata sono difficilmente immaginabili.
G. Vuoi dire che siamo a conoscenza del fatto che prima o poi faremo i conti con una nuova crisi economica, ma non sapendone l'entità né la durata, non possiamo fare nulla per attenuarne gli effetti?
M. Non è esatto. La spesa è sempre sotto controllo, non abbiamo mai allargato le maglie. Inoltre come ti ricorderai, abbiamo adottato alcune proposte per limitare gli effetti della crisi, tra cui i famosi e contestati sgravi fiscali! Gli sgravi, secondo noi, hanno dato alle famiglie e alle aziende un maggior potere d'acquisto, in modo che il denaro in "eccesso", rientrando nel circolo economico, producesse nuova ricchezza.
G. Chiaro l'intento, anche se l'aumento del costo della vita ha, di fatto, annullato i benefici voluti, ha contribuito ad attenuare la perdita del potere d'acquisto che in ogni caso avremmo avuto.
M. Si, è proprio così! Vedi che senza preconcetti è sempre più facile il dialogo. Capisci, non è facile trovare soluzioni percorribili, io penso che, partendo dal pensiero liberale, lo stato per aiutare l'economia deve lasciare gli operatori economici liberi di agire. Il mercato poi si autoregola in funzione delle vere esigenze della domanda. Lo stato non deve essere interventista, creerebbe dei problemi al libero mercato, e nel momento in cui il mercato perde l'indipendenza inizia un processo di tutela dell'economia, e questo è contrario alla visione liberale. Non è percorribile! Le esperienze dei paesi comunisti sono un ottimo esempio.
G. Sbaglio o credo di aver capito che è la domanda che crea il mercato?
M. Sì, è una delle leggi fondamentali dell'economia.
G. Ma la domanda di chi?
M. La domanda di tutti, dei cittadini, di ognuno di noi; siamo noi i consumatori!
G. È giusto sostenere che le crisi economiche sono crisi di domanda? Nel senso che quando la domanda cresce, l'offerta, quindi la produzione, si adegua; al contrario al momento in cui la domanda diminuisce, le aziende dovrebbero ridurre la produzione per adeguarla alla domanda effettiva?
M. In effetti, è così!
G. In ultima analisi l'aumento della domanda diviene il fine della politica economica?
M. Sì, questo è l'obiettivo, ma per fare ciò è necessario creare la fiducia nei consumatori, in modo che ricomincino ad investire in progetti, in acquisti. È fondamentale che il denaro non sia tenuto fermo.
G. Ma quale mezzo può essere utilizzato per creare la fiducia? Tutta la nostra discussione si riduce a questo, credo.
M. Effettivamente questo è un tema fondamentale. Nonostante tutto quello che stiamo facendo, la fiducia non riusciamo a trasmetterla, anche per tutta una serie di eventi internazionali.
G. Se ho capito bene, abbiamo un problema che sembrerebbe insolvibile al momento?
M. Non è un problema da poco, è estremamente complesso, anche perché riguarda la psicologia individuale e la struttura stessa della società civile. Inoltre si confronta con gli eventi internazionali. Come mia abitudine, vorrei rimanere realista, e non vendere mere illusioni: credo che se manteniamo fede ai nostri principi, e teniamo la spesa sotto controllo, la fiducia prima o poi arriverà.
G. Questa sarebbe la tua ricetta e il tuo progetto di politica economica? Non pensi invece che la fiducia sia strettamente connessa al nostro modo di vivere la realtà presente, e quindi al nostro modo di immaginare il futuro?
M. Sono certo che le persone ottimiste per natura riescono a guardare al futuro in modo positivo, quindi fiducioso; mentre purtroppo il pessimista difficilmente avrà fiducia nel futuro.
G. Ma non pensi che, oltre alla nostra predisposizione psicologica esista una realtà, che definirei oggettiva, nella quale viviamo? Una realtà che potrebbe influenzare il nostro modo di immaginare il futuro?
M. Sicuramente.
G. Ammetti dunque che una realtà in cui si percepisce l'incertezza, l'instabilità, possa influenzare il mio modo di percepire il futuro?
M. Sì, è fondamentale ripristinare un clima di sicurezza... chi investirebbe oggi in Iraq? Fino a quando la situazione politica dell'Iraq non si stabilizza è impensabile uno sviluppo economico.
G. Per cui la sicurezza ha un ruolo fondamentale nelle azioni della gente. Con sicurezza intendo quella che ci viene dalla conoscenza delle cose, o degli eventi, oppure dei processi: una sicurezza che ci permette di affrontare un evento o un'azione con un investimento di energie proporzionato allo sforzo che sappiamo di dover compiere.
M. Sì, la sicurezza certamente facilita le azioni: l'inizio di una nuova attività è sempre difficoltoso, e l'investimento di energie è molto alto, ma è sufficiente acquisire la sicurezza attraverso la pratica per facilitarci l'azione.
G. Facendo il discorso al contrario, anche tu dovresti essere d'accordo che l'insicurezza sicuramente renderà le azioni più ponderate. Sempre se parliamo di persone equilibrate chiaramente. Un detto popolare sostiene che nel dubbio (quindi nell'insicurezza) è meglio fermarsi ad aspettare; che ne dici?
M. Non posso che essere d'accordo.
G. Ma, secondo te, "consumare" non la si potrebbe considerare un'azione?
M. Sì, è un'azione chiaramente, perché?
G. Avrei voluto chiederti se una condizione di insicurezza può inibire l'azione "consumare". Ma mi hai già risposto prima.
M. Sì, è proprio ciò che dicevo prima, sia quando si parlava di riportare la fiducia ai consumatori, che quando ho parlato della situazione in Iraq.
G. Ma allora la flessibilità porta sicurezza o insicurezza? Ti prego di rispondere, vivendo la flessibilità dalla mia posizione e non dalla tua.
M. Effettivamente in una condizione di flessibilità è più difficile dare sicurezza.
G. Ma non eravamo d'accordo che la flessibilità era un "must" una condizione fondamentale e irrinunciabile dell'economia?
M. Sì, lo abbiamo detto.
G. Alla luce di quanto detto, mi sto convincendo che una gran responsabilità nel minare la fiducia dei consumatori è delle stesse regole del mercato lasciato libero a se stesso: io, personalmente, non sono così pazzo da buttarmi nelle spese non indispensabili fintanto che non ho la sicurezza del lavoro, ma la sicurezza del lavoro oggi è una chimera. Quindi siamo in un circolo vizioso, e difficilmente potremmo uscirne con i principi fondamentali del liberalismo. I miei investimenti saranno sempre più oculati, e molto del mio capitale rimarrà immobile, come riserva da utilizzare nei momenti di difficoltà che sicuramente incontrerò in futuro. Penso che sia necessaria una revisione del nostro concetto di flessibilità. E se tu fossi ragionevole, saresti d'accordo con me che tale revisione è indispensabile non tanto per chi vive la flessibilità sulla propria pelle come me; ma proprio nell'interesse stesso dell'economia, che su questa strada, con le tue ricette non ci porterà da nessuna parte.
M. Non "posso" essere d'accordo, pur ammettendo che la flessibilità in qualche modo può minare la fiducia. In ogni caso come al solito criticare è facile, più difficile è trovare delle strade alternative a quelle da noi proposte.
G. A questo punto, non è possibile né pensabile rivoluzionare il percorso da "voi" iniziato, qualsiasi proposta alternativa deve inserirsi nelle regole del momento, per cui il margine di manovra che abbiamo non è troppo ampio purtroppo! Se mi permetti, proverò a imbastire una bozza di ragionamento alla ricerca di un percorso che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori che partecipano all'economia. Innanzitutto abbiamo ammesso che l'economia richiede flessibilità, che mina la fiducia dei consumatori, e questa a sua volta si ripercuote sul mercato in una spirale negativa.
M. Lo abbiamo ammesso.
G. Proviamo adesso a guardare alla realtà da un altro punto di vista: da quello del mercato del lavoro...
M. ...È l'altra parte della medaglia.
G. In effetti, sottoposto alle esigenze dell'economia, ha sviluppato una realtà parallela: quella delle aziende per il collocamento interinale.
M. Vero, un ottimo sistema per rispondere rapidamente alle esigenze contingenti delle aziende.
G. Un giorno ho letto che un'idea imprenditoriale, per avere successo, deve nascere da un bisogno non ancora coperto; e ancora meglio sarebbe che l'idea stessa crei nuovi bisogni... vedi l'esempio del telefono cellulare: da quando è stato lanciato nel mercato, si è imposto come un nuovo bisogno, inderogabile... Creando ricchezza. La stessa cosa si può dire dello sviluppo di queste aziende per il collocamento interinale: hanno saputo rispondere ad un bisogno della società.
M. Quello che stai dicendo, completa il quadro appena fatto.
G. Ciò a cui però non rispondono, è l'esigenza di sicurezza. Il lavoratore è diventato uno strumento a noleggio.
M. Non è vero, le persone volenterose hanno la possibilità di rimanere nell'azienda anche dopo il periodo di lavoro interinale, se questa può permettersi assunzioni a tempo indeterminato. Chi invece non ha voglia di lavorare, giustamente non merita nulla.
G. Vorresti parlare di meritocrazia.
M. No, ma abbiamo visto i danni dell'assistenzialismo indiscriminato: quel periodo lo stiamo pagando oggi. Per fortuna che le cose stanno cambiando!
G. Sì, fortunatamente oggi sono premiati solo i volenterosi! Dimentichi però che oggi non ci sono più soldi, ergo  il premio è il lavoro stesso; magari ad un salario da fame, ma sei premiato!
M. Mi sembra che stiamo girando intorno al problema: cosa faresti tu per ridare la fiducia ai consumatori?
G. Se non posso dargli la sicurezza del posto fisso, darei loro la sicurezza del reddito, in modo che possano programmare la loro vita e le loro spese.
M. Bravo, ma come? Sai che non è possibile!
G. In ogni caso, dobbiamo smetterla con le visioni superate del comunismo, ma nello stesso tempo dobbiamo fermare quelle forze che tendono alla disgregazione dello stato: impedire che prevalga la volontà di privatizzare tutto, anche l'aria che respiriamo. Partiamo da queste premesse, e non perdiamo mai di vista le leggi del mercato: non possiamo fare alcun'imposizione al mercato.
M. Non è possibile cambiare le regole del mercato: ogni errore potrebbe bruciare enormi ricchezze in pochi minuti di contrattazione borsistica.
G. Ok, dobbiamo dare al mercato la flessibilità che necessita, e ai consumatori la sicurezza. Sembra un'impresa impossibile, le due cose sembrano escludersi a vicenda; ma sono convinto che, se riuscissimo a gestire il mercato del lavoro attraverso leggi dello stato, e non attraverso le leggi dell'economia, potremmo quadrare il cerchio. Chiaramente la gestione del mercato del lavoro rimarrebbe sottoposta alle esigenze del mercato, ma i soggetti non sarebbero dei semplici strumenti da usare e buttare secondo il momento economico. Parlo di due mercati paralleli, quello del lavoro connesso a quello dell'economia, ma non completamente in sua balia. D'altro canto, invece, il mercato del lavoro, può sviluppare in se stesso un mercato proprio, che paradossalmente potrebbe essere fonte di ricchezza.
M. Mi sembra che stai creando una nuova utopia.
G. Se c'è un'espansione delle aziende per l'occupazione interinale, significa che c'è un mercato economico che ha per oggetto il mercato del lavoro stesso, non sei d'accordo?
M. Effettivamente abbiamo assistito ad uno sviluppo impressionante di queste aziende, per cui l'offerta si è adattata alla domanda del mercato.
G. Quindi se la gestione della manodopera interinale fosse nelle mani dello stato, anche attraverso le strutture private già esistenti, non ci sarebbe un'ingerenza nel libero mercato, ma una forma di tutela per la manodopera, che non può che adattarsi alle peripezie dell'economia. Con una gestione statale la manodopera interinale sarebbe almeno tutelata sul piano del rispetto individuale e della sicurezza del salario (nei limiti dell'impegno personale chiaramente): il suo datore di lavoro non sarebbe un privato intento a fare "solo" profitto, ma un ente statale, che ha una visione e un respiro più ampio. Inoltre, nonostante il collocamento sia deciso dall'andamento dell'economia, nel momento in cui restasse fuori dal mondo del lavoro, un lavoratore interinale avrebbe la sicurezza di una copertura salariale fino al nuovo collocamento. La ricchezza prodotta in un momento di ripresa economica, andrebbe a pagare la sicurezza del salario nei momenti di crisi economica, garantendo all'economia un consumatore meno incerto sul proprio futuro. Si potrebbe instaurare una spirale di fiducia positiva, che darebbe all'economia molto più fiato di quello che può trovare oggi con l'espediente della guerra, che, come abbiamo visto dalle ultime esperienze, ha esaurito la propria spinta economica ancora prima di essere giunta in Europa.
M. Bello come discorso, ma non fattibile.
G. Non penserai di chiudere il discorso così? Per quale motivo dici che non è fattibile, senza neanche approfondire il tema?
M. Per diversi motivi. Il primo è che la sinistra e i sindacati non accetterebbero mai una simile "strumentalizzazione" della forza lavoro.
G. È un'osservazione pertinente, ma credo che la politica abbia soprattutto il compito di lavorare sulla società attuale pensando al futuro. In uno studio della Supsi (1) viene fatta una proposta lungimirante: "Il lavoro flessibile e precario può generare difficoltà a programmare la propria vita professionale e di conseguenza anche la propria vita privata. Qualsiasi progetto di vita è rimandato. Da questo punto di vista diventa fondamentale pensare a nuovi modelli di gestione della flessibilità per evitare che la perdita del posto di lavoro generi un'esclusione definitiva dal mercato del lavoro. Di qui potrebbe nascere l'idea della creazione di istituzioni capaci di aiutare e sostenere il lavoratore nel passaggio da una professione all'altra...". In un altro punto si sostiene che "i lavoratori flessibili sfuggono il più delle volte alla legislazione di tutela del lavoro e sono privati di alcune garanzie sociali di cui godono i lavoratori fissi.." Questa ultima affermazione è sufficiente per rispondere alla tua obiezione riguardante la sinistra e i sindacati: se non è possibile controllare 112 milioni di ore lavorative annue, fornite dai prestatori di lavoro temporaneo (2) con la legislazione attuale, qualcosa bisogna pur fare, ma sempre rendendosi conto che l'utilizzo del lavoro temporaneo è oggi un'esigenza e non è possibile obbligare le aziende ad un'assunzione a tempo indeterminato, quando questa è impossibile! Del resto vorrei farti notare che questo fenomeno è in forte espansione. Nel 1997 in Svizzera le persone impiegate in modo temporaneo erano circa 130 mila; nel 2005 invece avevano raggiunto una cifra superiore a 211 mila unità. Come vedi, alla luce di questi dati, è necessaria una proposta che tenga conto della realtà del momento e dell'evoluzione prevista per il futuro, non servono né le denunce di principio, né gli appelli ad una giustizia sociale: animano la gente ma non servono a nulla.
M. Sì, ma chi finanzierebbe l'intera operazione? I costi di gestione di una struttura simile sono enormi, si parla di centinaia di migliaia di persone.
G. Non sono in grado di darti delle cifre esatte di quella che è la spesa oggi per l'assicurazione disoccupazione (in parte autofinanziata da chi lavora) perchè queste spese sono gestite sia a livello federale che a livello cantonale, ma tenendo conto di un salario mensile lordo (mediana) di 5'548 franchi, per il numero di persone occupate (3) che è di circa 3,97 milioni di unità, potrebbe dare al fondo disoccupazione (2 per cento) una cifra di 5,6 miliardi di franchi (4). Penso che questa possa essere una buona base economica per iniziare a gestire un mercato del lavoro attraverso le strutture cantonali già esistenti, ma con uno spirito imprenditoriale. Proprio per il fatto che la gestione non sarebbe più assistenzialistica, è pensabile che in un futuro anche il ricorso all'autofinanziamento possa essere ridotto, in quanto le aziende che ricorreranno all'assunzione del personale precario dovranno pagare la prestazione, come del resto già fanno oggi.
M. Ma non ci pensi alla reazione delle agenzie interinali? Non la prenderanno bene una simile proposta, in ballo ci sono grossi interessi.
G. È una questione che non deve preoccuparci. Dobbiamo ridare fiducia ai consumatori. Per far questo, è necessario eliminare tutti gli elementi che possono influire in modo negativo sulla fiducia dei consumatori. Purtroppo inconsapevolmente queste aziende non aiutano a ripristinare un clima di fiducia. Com'è prevedibile, ogni scelta fatta non può accontentare tutti, ma ciò che importa è che la maggioranza degli interessi sia tutelata, e che i benefici ottenuti superino gli aspetti negativi. Se crediamo che questa strada abbia tali caratteristiche, la tua preoccupazione e gli interessi di pochi non devono interferire con l'interesse generale.
M. La tua esposizione è chiara, e anche molto interessante, direi che contiene elementi che potrebbero cambiare radicalmente il mercato del lavoro. Purtroppo ho paura che non ci potranno mai essere le condizioni per un accordo politico di tale portata.
G. Ne sono convinto anche io.



* L'autore ha lavorato in posizioni di responsabilità per alcune delle maggiori industrie farmaceutiche del Ticino. Dal 2001 al 2005 ha avuto un'esperienza imprenditoriale, contribuendo all'affermazione di una piccola azienda di consulenza e di vendita.

1) Forma del lavoro e qualità della vita in Ticino 10/2002
2) Seco, Berna 2005
3) Ustat 9.5.06
4) Rapporto peritale: raccomandata la revisione della legge sull'assicurazione contro la disoccupazione del 22 novembre 2006

Pubblicato il

16.02.2007 02:30
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