Un centro di potere per soffocare il sud

Di rado un evento aveva fatto notizia tanto precocemente quanto l’incontro al vertice dei paesi industrializzati più potenti del mondo (G8), che si terrà dal 1° al 3 giugno ad Evian. Fino ad ora però, si è parlato poco dei contenuti del summit e molto delle misure di sicurezza. Ma qual è la politica di questo circolo esclusivo? A Mao Tse-tung, padre della Cina moderna, piaceva definire le potenze capitaliste “tigri di carta”. «In apparenza sono terribili, ma in realtà non sono poi tanto potenti quanto sembrano», scriveva nel celebre “Libro rosso”. Il gruppo degli otto paesi industrializzati più ricchi del mondo (G8) è soltanto una “tigre di carta”? Questi incontri annuali ed “informali” sono soltanto delle abili messinscene mediatiche, con pochi risultati concreti? Trent’anni fa, nell’aprile del 1973, quando i ministri delle finanze degli Stati Uniti, della Germania dell’Ovest, della Francia e dell’Inghilterra si riunirono nella biblioteca della Casa Bianca, in un quadro informale, per dibattere dell’economia mondiale allo sfascio, non sapevano che stavano ponendo le fondamenta del futuro G7. Uno dei quattro, Valéry Giscard d’Estaing, diventato capo del governo francese, avrebbe ripreso l’esperimento nel 1975, invitando al castello di Rambouillet i dirigenti dei sei paesi industrializzati più importanti del mondo per un “vertice informale sull’economia mondiale”. Erano della partita gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Italia, il Giappone e la Germania dell’Ovest. Il Canada, a richiesta degli Stati Uniti, si unì al club nel 1976. Il presidente della Commissione europea si aggiunse in seguito, in qualità d’osservatore. La Russia è stata invitata a far parte di questo circolo solo alla fine della guerra fredda (dal 1991) ed è diventata membro a pieno titolo nel 1998, rimanendo lo stesso esclusa da importanti consultazioni del G7, particolarmente da quelle che riuniscono i ministri delle finanze. Rambouillet fu un summit di crisi. Passato il boom del dopoguerra, la congiuntura internazionale era entrata in una crisi profonda, il sistema monetario di Bretton Woods si era sfasciato. Il mondo era angosciato dalla Guerra fredda, gli Stati Uniti pagavano lo scotto delle ostilità in Indocina. I paesi del Nord si trovarono sulla difensiva, di fronte alle giovani nazioni del “terzo mondo”, che rivendicavano, attraverso le Nazioni Unite, un ordine economico mondiale più giusto. I paesi produttori di petrolio minacciavano di chiudere i rubinetti. In questa situazione difficile, gli incontri al vertice del G7 dovevano aiutare i principali stati capitalistici a coordinare le loro politiche economiche, contenendo i crescenti conflitti d’interesse interni, e permettere l’elaborazione di nuove regole per l’economia mondiale. Nato da un movimento difensivo, il G7 ha rapidamente adottato una politica offensiva: la “tigre di carta” si è fatta crescere i denti! L’evento scatenante di questa metamorfosi è stato lo scoppio della crisi del debito del terzo mondo (sospensione dei pagamenti del Messico nel 1982). Il G7 è allora cresciuto fino a diventare il «centro di potere che ha orchestrato la controffensiva dei paesi del Nord nei confronti dei paesi del Sud», come spiega Rainer Falk, della cellula di riflessione germanica Weed. Da una posizione difensiva, di fronte all’esigenza di un nuovo ordine internazionale, «il Nord ha adottato una strategia offensiva ed ha imposto ai paesi del Sud gli aggiustamenti strutturali che avrebbero avuto l’effetto di una vera cura di cavallo». Formulata nel 1983, nell’ambito del summit di Williamsburg (Stati Uniti), questa dottrina definiva l’obiettivo strategico ultimo (tuttora valido) – assicurare il servizio del debito dei paesi poveri – e attribuiva al contempo al Fmi un ruolo centrale: mettere in atto la politica d’aggiustamento strutturale neoliberale e recuperare gli interessi del debito. Negli anni ’90, il G7/G8 ha vieppiù assunto il comando della mondializzazione. L’ordine del giorno è stato esteso, le consultazioni a livello ministeriale allargate. Ai temi tradizionali di politica economica e di sicurezza ne sono stati integrati dei nuovi, come la politica ambientale ed energetica, l’architettura finanziaria, il terrorismo, lo sviluppo, i diritti dell’uomo, la droga, la formazione, la società dell’informazione, ecc. La questione del debito rimane un tema ricorrente. Il G8 si è trasformato in comando della politica internazionale e dell’economia planetaria. Elabora direttive vincolanti per le altre istituzioni internazionali. Ciò è particolarmente vero per il Fmi e la Banca mondiale, istituzioni nelle quali i paesi del G7 controllano la maggioranza dei voti. In quest’ambito e dal proprio punto di vista, il successo del G7 è stato totale. I suoi membri sono riusciti ad annientare l’esigenza del Terzo mondo di giocare un ruolo autonomo nel sistema economico mondiale. Si sono eretti a vincitori della guerra fredda. Hanno lanciato l’Uruguay round e trionfato, malgrado delle resistenze interne, ottenendo la creazione dell'Omc. Oggigiorno, la capacità del G8 di gestire e controllare i problemi urgenti del mondo, come la povertà, l’inquinamento ambientale e le ingiustizie dell’economia internazionale, è oggetto di contestazioni sempre più vive. Le proteste pubbliche sono iniziate abbastanza modestamente a Londra nel 1984 e a Bonn nel 1985, con le prime grandi manifestazioni di piazza; hanno preso delle dimensioni considerevoli a Birmingham (1998) e a Colonia (1999), con la campagna “Jubilee 2000”, per culminare nelle gigantesche – e tragiche – manifestazioni di Genova nel 2001, che hanno attirato più di 250 mila persone. Ad essere sempre più apertamente contestata non è solo la politica del G8, ma la sua legittimità. Come scrive Rainer Falk, se il G8 «è globalmente pertinente, non è globalmente rappresentativo». Costituisce in realtà un circolo esclusivo, che definisce gli assi della politica internazionale ma non comprende che otto governi e non rappresenta che il 60 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Non si può aderire a questo club; si è, nella migliore delle ipotesi, cooptati. Perfino all’interno del Fmi, nonostante il piccolo numero di voti di cui dispongono, i paesi del Sud sono meglio rappresentati. Il fatto d’aver invitato negli ultimi anni qualche Capo di Stato di paesi in via di sviluppo e il Segretario generale delle Nazioni Unite a far bella mostra di sé nella foto di gruppo, non cambia nulla alla sostanza. A queste critiche, il G8 ha reagito con un’accresciuta retorica sull’aiuto allo sviluppo. Sotto la pressione del movimento “Jubilee 2000”, nel 1999 ha ampliato l’iniziativa a favore dei paesi poveri molto indebitati ed ha stanziato fondi per dei condoni. Da allora, ad ogni incontro i suoi membri fanno molta pubblicità alle loro promesse di versare importi consistenti per nuovi progetti, fondi ed interventi urgenti. Si tratta però in parte di semplici trasferimenti di risorse già stanziate. Spesso poi, le somme promesse non sono versate. Esempio significativo è il fondo globale per la lotta contro l’Aids, la malaria e la tubercolosi, creato nel 2001 a Genova. Mentre il Segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, valutava i mezzi necessari fra i 7 e i 10 miliardi di dollari l’anno, i paesi del G8 avevano stimato la somma necessaria a soli 1,2 miliardi. Ma, finora, neppure di quest’importo nessuno ha visto l’ombra. I membri del G8 non danno seguito alle decisioni che prendono durante i loro summit, constata il centro d’informazione sul G8 dell’Università di Toronto. Soltanto le decisioni concernenti la politica commerciale e quell’energetica sono relativamente ben seguite. Sempre secondo questo Centro, in generale, i governi britannico, canadese e tedesco sono i più coerenti. Un buon metodo per valutare la serietà degli impegni dei paesi del G8 in questo settore è sicuramente l’evoluzione del loro bilancio a favore dell’aiuto allo sviluppo. Ora, secondo l’Ocse, questo è passato da 40,22 miliardi di dollari nel 2000 a 38,2 miliardi nel 2001, ciò che equivale ad una diminuzione di 2 miliardi! * Comunità di lavoro

Pubblicato il

23.05.2003 02:00
Pepo Hofstetter