Un altro regalo a nostre spese

Ci risiamo. Con la votazione popolare del 24 febbraio 2008 era stata approvata di misura (50,5 per cento di sì) la riforma dell'imposizione delle imprese II, con la quale si toccava veramente il massimo dell'antisocialità riducendo l'imposta sugli utili distribuiti dalle imprese agli azionisti. Ma dopo che il Tribunale federale ha affermato – fatto eccezionale nella storia della democrazia svizzera – che in vista di quella votazione i cittadini erano stati sistematicamente indotti in errore sugli elementi decisivi della riforma, ora il Dipartimento federale delle finanze, in collaborazione con i cantoni, presenta un progetto d'organizzazione per una "riforma dell'imposizione delle imprese III".

La seconda riforma di questo genere ha causato perdite fiscali molto più alte di quanto a suo tempo prevedeva il Consiglio federale. Non si tratta di qualche centinaio di milioni di franchi, ma di diversi miliardi. È un buco nei conti pubblici che non è stato ancora né finanziariamente digerito, né politicamente regolato. Ciò nonostante, Economiesuisse, l'Udc, il Plr, il Ppd e il Pbd, con l'appoggio parziale del Consiglio federale, chiedono che di nuovo si facciano regali fiscali alle imprese nell'ordine di miliardi di franchi. La scusa, questa volta, è che l'Unione Europea (Ue) chiede alla Svizzera di abolire i privilegi fiscali accordati a certe imprese, poiché provocano una distorsione della concorrenza e non sono compatibili con gli accordi esistenti.
Il Dipartimento federale delle finanze ha quindi preso la decisione di avviare un nuovo progetto di riforma (il terzo) dell'imposizione delle imprese, insieme con i cantoni. Il 21 settembre scorso la Conferenza dei direttori cantonali delle finanze s'è detta d'accordo. Secondo il comunicato ufficiale che ne dava notizia, obiettivo del progetto è «riformare il sistema d'imposizione delle imprese in un contesto in cui si scontrano gli interessi di competitività, finanziamento dei compiti statali e consenso internazionale». Una frase che dice tutto e niente. In una conferenza stampa del 2 ottobre, l'Unione sindacale svizzera (Uss) ha invece denunciato questo nuovo tentativo di mettere in atto una politica antisociale.
Da una parte, secondo l'Uss, si vuole privilegiare fiscalmente la piazza finanziaria e abolire integralmente le tasse di bollo, il che costerebbe alla Confederazione una perdita da 2,5 a 3 miliardi di franchi. Dall'altra si intende ridurre del 15 per cento le imposte sugli utili delle aziende, con un costo di altri 4-5 miliardi a carico delle casse pubbliche. È, insomma, una reazione esagerata alle richieste dell'Ue. Come dire: volete che aboliamo i privilegi di alcune aziende perché distorcono la concorrenza, allora generalizziamo i privilegi. Ma al di là della questione di principio, l'aspetto grave è che, in base ad uno studio dell'Uss, le ricadute di un tale progetto, se venisse realizzato, sarebbero pesanti, soprattutto nel cantone di Ginevra ed eventualmente anche nei cantoni di Vaud e di Basilea Città.
«Una riduzione generalizzata delle imposte per l'insieme delle imprese è un'assurdità economica», ha detto il capo economista dell'Uss Daniel Lampart. E questo perché, con minori entrate fiscali, i centri economici incontrerebbero difficoltà a finanziare servizi pubblici ed infrastrutture. Di conseguenza, sarebbero le classi a medio e basso reddito a doversene accollare i costi pagando tariffe più alte. Non è dunque proprio il caso che diminuisca il contributo delle imprese al finanziamento dei servizi pubblici.
Nel confronto internazionale, ha osservato il presidente dell'Uss Paul Rechsteiner, la fiscalità che grava sulle imprese in Svizzera è «generalmente già molto modesta». E in ogni caso, prima di avviare una  terza riforma dell'imposizione delle imprese, devono essere corrette  le conseguenze insostenibili della seconda riforma. Occorre procedere ad un'analisi approfondita della situazione. Certo, sottolinea Rechsteiner, i privilegi fiscali di cui beneficiano alcuni rendimenti non si giustificano più rispetto all'evoluzione nella Ue. Ma trarne la conclusione che, per il principio di parità di trattamento, occorra abbassare nello stesso tempo tutte le imposte delle imprese, «è una scorciatoia irresponsabile, oggettivamente e politicamente indifendibile».
Ciò che è inaccettabile per l'Ue è la disparità di trattamento tra rendimenti stranieri e indigeni, come pure l'esenzione fiscale per le società holding di rendimenti non provenienti da partecipazioni. Impossibile per la Svizzera non adeguarsi. Tuttavia, la Confederazione e i cantoni premono, utilizzando scenari catastrofici sulla fuga delle imprese all'estero, per quella che sarebbe "la riduzione fiscale del secolo" in materia d'imposizione dei guadagni. Ma «le riduzioni massicce d'imposte sulle imprese di questi ultimi anni», ha spiegato Lampart, «minacciano la competitività economica della Svizzera». È invece necessaria una imposizione economicamente ragionevole delle imprese. Per diversi motivi.
Dal momento che ai centri verranno a mancare i mezzi per finanziare i servizi pubblici (dalla formazione ai trasporti, ecc.), in futuro le imprese dovranno partecipare adeguatamente ai costi per la fornitura di prestazioni pubbliche. E si tratta di prestazioni importanti per l'economia. La concorrenza fiscale, economicamente malsana, deve essere limitata mediante un tasso fiscale minimo stabilito a livello federale, il che eviterebbe che ai cantoni vengano meno i mezzi per gli investimenti importanti. Senza le tasse di bollo, poi, il settore finanziario sarebbe sottotassato, dal momento che è escluso dall'Iva. E questo equivarrebbe al sovvenzionamento di un settore che di recente ha causato molti problemi economici.
Si dovrebbero inoltre sopprimere i privilegi fiscali accordati alle società holding, alle società di domicilio e alle società miste. «La Confederazione deve, una volta per tutte, presentare un'analisi seria sugli effetti di una tale soppressione, altrimenti la politica commetterà degli errori che costeranno molto caro», ha detto il capo economista dell'Uss. Infine, la Svizzera dovrebbe partecipare agli sforzi internazionali per un'imposizione equa delle imprese, «poiché è essa stessa una vittima dei paradisi fiscali».

Pubblicato il

12.10.2012 01:30
Silvano De Pietro