Una rabbia struggente. È quanto ho provato sabato pomeriggio uscendo dal Cinema Iride dopo aver visto “No Other Land” (Nessun'altra terra), il film premiato ieri notte con l’Oscar quale migliore documentario, nonostante negli Stati Uniti non l’abbia visto ancora nessuno perché senza distributore. Il film realizzato da un collettivo israelo-palestinese documenta in presa diretta la quotidiana vita degli abitanti palestinesi di Masafer Yatta in Cisgiordania nella loro pacifica lotta contro la sistematica distruzione delle loro case da parte dell’esercito israeliano. Israele ha deciso che gli abitanti di Masafer Yatta devono lasciare case, pascoli e campi per far posto ad un poligono di tiro militare israeliano. Una decisione convalidata dalla Corte suprema di Israele al termine di una lunga vertenza giudiziaria. A lato dell’area destinata a zona militare, le abitazioni dei coloni crescono senza tregua. Non sarò certo l’unico ad aver provato quella rabbia struggente alla fine del film. La stessa sensazione provata leggendo “Risplendo non brucio”, l’ultimo libro di Ilaria Tuti le cui prime pagine ti catapultano nell’abisso nazista di Dachau, dove l’uomo non è più un uomo. “Nessun’altra terra” è stato premiato nella stessa categoria al Festival di Berlino lo scorso febbraio. Il co-regista Yuval Abraham, israeliano, era stato tacciato di antisemitismo da governanti tedeschi (e israeliani) per aver chiesto al momento della premiazione la fine dell’apartheid dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi. «Come nipote di un nonno paterno a cui gran parte della famiglia è stata sterminata in Germania durante l’Olocausto, trovo particolarmente oltraggioso che dei politici tedeschi del 2024 mi qualifichino di antisemita, mettendo in pericolo me e la mia famiglia» aveva replicato Abraham, spiegando che i suoi familiari a Tel Aviv erano stati costretti a lasciare l’abitazione per ragioni di sicurezza, dopo che estremisti di destra israeliani si erano appostati sotto casa. Il successo del film documentario non ha fermato l’esercito israeliano e i coloni. Pochi giorni fa, il 27 febbraio, Amnesty International ha segnalato a Masafer Yatta l’aumento “degli attacchi dei coloni, appoggiati dallo stato israeliano, così come delle demolizioni delle abitazioni, delle limitazioni all’accesso ai terreni agricoli e dell’espansione degli insediamenti illegali da parte delle autorità di Israele”. Nel film premiato con l’Oscar, terminato prima della strage del 7 ottobre 2023 perpretata da Hamas, si vede un colono sparare a bruciapelo al disarmato cugino di Basel Adra, il coregista palestinese, ferendolo gravemente mentre l’esercito isrealiano non interveniva. L’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din ha calcolato che circa il 94 per cento delle indagini sulle violenze commesse dai coloni nella Cisgiordania occupata tra il 2005 e il 2024 si è concluso senza rinvii a giudizio. «Anche se vincerà l’Oscar, il film non renderà la nostra vita più facile» ha dichiarato la scorsa settimana all’inviata di Repubblica un abitante di Masafer Yatta. «Ma almeno il mondo non potrà dire che non sapeva quello che succede qui». Se anche voi volete saperlo malgrado tutto, lo trovate ancora in programma nei cinema di Locarno, Lugano e Mendrisio. Un film di estrema attualità dopo la proposta di Trump di deportare forzatamente i palestinesi da Gaza. Sappiate però che può provocare una rabbia struggente. |