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Un Angelo caduto: lo stress sul lavoro non è da banalizzare
di
Mauro Marconi
Non sono un habitué della stampa domenicale. Deve essere un retaggio di quando abitavo in Svizzera romanda. Lì, se per caso ti passa per la testa di acquistare un giornale, esci dall’edicola con almeno tre chili di carta sotto il braccio. Del resto non frequento troppo i bar, per cui il mio occhio non ha neanche l’occasione di scivolare sui domenicali messi sempre in bellavista. Di comprarli poi, non se ne parla nemmeno: preferisco investire meglio i miei soldi… metti per un salamino della Marianne. Però ogni tanto mi capita di leggere uno o l’altro dei domenicali. Tanto per convincermi che non mi perdo niente. Come settimana scorsa. Sul Caffé, Angelo Rossi ha scritto un articolo dal titolo “Grandi lavoratori, ma superstressati” in cui commenta la campagna di prevenzione dello stress promossa dal Seco (www.stressnostress.ch). Tralascio la critica iniziale di Rossi, una sorta di frullato di cavoli a merenda, e mi concentro sull’essenziale. Primo, la tesi: nella promozione del Seco si «investono risorse preziose per reclamizzare ciò che è ovvio». Secondo, gli argomenti: lo stress è correlato alla «serietà con la quale si affronta l’attività lavorativa», e quindi non serve fare campagne contro lo stress perché, dice Rossi, se volete meno stress basta lavorare meno. L’articolo di Rossi è un caso da manuale: si critica l’amministrazione pubblica perché non usa le risorse con la dovuta oculatezza, si rimanda il problema dello stress al singolo. Non commento l’operato del Seco sul quale nutro anche io alcune riserve. Ma non posso accettare la banalizzazione dello stress. Parliamo di stress per definire la condizione in cui una persona non riesce a dare una risposta adeguata o efficace alle situazioni cui è confrontata. Se lo stress in sé non è una malattia, l’esposizione prolungata allo stress può provocare disagio e malattie. Il peggioramento delle condizioni di lavoro, una diversa sensibilità alla salute hanno fatto sì che il tema dello stress ha acquistato importanza non solo per gli specialisti della medicina del lavoro. Le cause dello stress sono tanto oggettive quanto soggettive. Sul lavoro ci sono delle situazioni che creano tensioni, ma non tutti i lavoratori vi reagiscono allo stesso modo. L’ambiente, gli orari, i ritmi di lavoro, il grado di responsabilità, gli obiettivi imposti, ecc., creano situazioni critiche cui i lavoratori devono far fronte. La personalità, la cultura, la formazione, l’esperienza, la vita sociale ed affettiva, ecc., in un modo o nell’altro contribuiscono a definire la risposta che ognuno dà alle situazioni cui è confrontato. Essere più o meno stressato non dipende solo dall’impegno che ognuno mette nel lavoro, né dal grado di occupazione. Il singolo lavoratore non può, da solo, controllare e padroneggiare tutte le fonti di stress. È inoltre da dimostrare che una riduzione del tempo di lavoro (sempre che, in difetto di una riduzione generale della durata del lavoro, il lavoratore possa permettersela) comporti automaticamente una conseguente diminuzione dello stress. Lo stress non è banale, le soluzioni al problema non sono ovvie. Certe riflessioni come quelle di Rossi, invece sì, sono futili.
Pubblicato il
02.12.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 48
Rubrica
Gli occhiali di G.L.
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