Certo, i siriani hanno la pelle bianca come la nostra. Certo, chi oggi arriva, sballottato tra mari in burrasca e razzismi di stato per fuggire da una guerra terribile, non è “Lumpenproletariat” senza un euro e con la pancia vuota ma ceto medio acculturato, sono insegnanti e tecnici specializzati, conoscono le lingue europee. In poche parole, sono persone facilmente integrabili nel tessuto sociale tedesco, forse più degli eritrei che arrivano sulle sponde dei loro ex colonizzatori. Sono utili a un paese come la Germania che rivendica il ruolo di faro, o tiranno scegliete voi, d’Europa, con una disoccupazione al 4 per cento e un tasso demografico negativo: i siriani possono lavorare per onorare gli ordinativi, pagare le tasse dunque salvare il vacillante welfare e fare i figli, perciò sono un investimento per il futuro. Potremmo aggiungere molti altri “certo” per spiegare il doppio salto mortale di Frau Angela Merkel, quella che solo qualche settimana fa faceva piangere una bambina palestinese spiegandole che non si poteva mica prendere tutti e che chi non aveva “le carte in regola” doveva tornarsene a casa, con le buone o con le cattive; quella del rigore a senso unico che strangolava la dissanguata Grecia con la pistola puntata su Tsipras, evocando gli spettri di una grande Germania dominante. Eppure, la decisione della cancelliera di ferro di aprire le porte ai profughi siriani resta un fatto straordinario che ha messo in campo un’idea di solidarietà ammazzata a Ventimiglia e a Calais, colpita dai cecchini bulgari e imprigionata nei fili spinati di Budapest. Con l’apertura delle nuove cortine di ferro a un popolo di disperati ha fatto capolino un’altra Europa, e di questo va dato atto ad Angela Merkel. Ha stretto in un angolo xenofobi e fascisti tedeschi, ungheresi e cechi in nome della compassione, invertendo un tendenza neonazista di stato – di Stati – che sembrava irreversibile, con i candelotti lacrimogeni e i bastoni bulgari, con l’odio di Orbán, con i numeri impressi sulle carni dei profughi dal governo di Praga, con i dinieghi di sua maestà britannica. La foto di un bambino senza vita sulla spiaggia di una località turistica turca può aver mosso così tante coscienze, a partire da quella della Merkel? È già successo nella storia del Novecento, dalla bambina vietnamita irrorata con l’agente arancione a quella di Hiroshima bombardata con l’atomica. Il gendarme turco che raccoglie con amore sul bagnasciuga quel piccolo corpo senza vita di Aylan Kurdi che ci ricorda nostro figlio o nostro nipote, persino con stesse scarpette ai piedi, ha fatto il giro del mondo e una foto così vale più di mille parole. Se i meridionali italiani, gli abitanti di Lampedusa, accolgono con amore i profughi è perché guardare negli occhi i bambini spaventati fa la differenza. L’altra differenza la fa avere un riferimento importante, come la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini che ragiona e governa con il cuore e non con l’intestino cieco come Salvini. Angela Merkel è figlia di un pastore protestante che nell’est tedesco si occupava di comunità di handicappati. Forse qualcosa è rimasto dentro la sua corazza. Non è sufficiente mettere insieme i nostri “certo” e i nostri “ma...”, non è sufficiente ricordare che tra non molto si voterà in Germania, anche perché sarebbe stato forse più redditizio per lei puntare ancora una volta nella storia sulla purezza della razza come fa Orbán, dando ossigeno ai peggiori sentimenti tedeschi. Per quanto c’è chi giustamente sottolinea che la Germania è cambiata, persino nelle curve calcistiche tedesche il clima era diverso dal passato già prima della svolta della Merkel: è straordinaria l’esperienza del FC St. Pauli di Amburgo che lo striscione “welcome” l’aveva alzato da tempo, mentre nelle curve italiane e di altri paesi rimbombavano cori nazisti tra il garrire di croci celtiche (consiglio la lettura del libro di Nicolò Rondinelli “Ribelli, sociali e romantici”). Anche Papa Francesco ha usato parole forti e soprattutto ha chiamato alla solidarietà le parrocchie cattoliche invitandole a dare l’esempio con l’ospitalità. Si può dire, purtroppo, che dalle sinistre europee non sono arrivate parole e atti altrettanto forti, non quanto ci si aspetterebbe da parte di chi sulla solidarietà dovrebbe fondare la propria azione politica e umana. Hollande si è mosso al carro della Merkel, in ritardo e già eccitato all’idea di armare di nuovo i suoi bombardieri. Renzi, che ora strilla parole di fuoco ricordando che lo scontro non è tra sinistra e destra ma tra umani e bestie (leggi Salvini, che risponde dando del verme al presidente del Consiglio), non è stato capace di dire una sola parola sull’infame trattato di Dublino durante il semestre italiano dell’Unione europea. Il trattato di Dublino, che la svolta della Merkel ha finalmente messo in discussione, è quello che impone ai migranti la residenza nel paese di identificazione e concessione dello status di rifugiati. Tutti in Italia e in Grecia, o peggio, ai poveretti che arrivano a Budapest, l’Ungheria fascista, pronta con le manette per ingabbiare i migranti e chi li assiste e aiuta. Va dato atto ai cittadini italiani e greci di aver retto per anni situazioni oggettivamente insostenibili, nella totale assenza dell’Europa. Se ora finalmente si parla di condivisione del problema profughi e di modifica dei diktat di Dublino, non è grazie ai governi di centrosinistra europei. E il silenzio, in Italia, delle sinistre, ha aperto la strada alla crescita di umori fetenti alla Salvini o alla Giorgia Meloni che vogliono affondare i barconi dei migranti già alla partenza. E in Francia impazza la Le Pen. Tornando ai “certo” e ai “ma”, sarebbe da stolti pensare che il problema è risolto, grazie alla Merkel. Frontiere torneranno a chiudersi e muri a innalzarsi, la “ricreazione” finirà. Ma non l’esodo, e ci sarà bisogno di buona politica, più che di bombe. E di autocritiche di chi ha deciso l’allegro allargamento dell’Ue a dei paesi dell’est che scavalcato il muro di Berlino si sono consegnati all’egemonia americana e della Nato, che ha pensato bene di accerchiare la Russia con tutte le gravi conseguenze del caso. Ora il blocco est-europeo guida l’attacco reazionario, prima contro i greci e poi contro i migranti. Infine, va segnalato l’atteggiamento generalizzato, tra i cittadini e non solo dei governi, che limita il concetto di accoglienza a chi fugge da guerre e dittature e alza il muro per impedire l’accesso dei cosiddetti migranti economici. Chi sono costoro? Uomini, donne e bambini che fuggono dalla fame in cerca di un futuro, in cerca di una vita a cui nel loro paese non hanno diritto. Come capitava agli italiani fino a pochi decenni fa. Sono chiamati clandestini e rispediti nel paese d’origine. Vogliamo parlarne? E c’è un’altra cosa di cui bisognerebbe parlare: la guerra. Le guerre, naturalmente umanitarie che hanno sconvolto le coste sud del Mediterraneo e sono all’origine dell’esodo biblico di oggi. E oggi ci vengono a dire che ne servirebbe un’altra, di guerra santa. Naturalmente per “aiutarli a casa loro”.
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