Due notizie su Uber, l’impresa simbolo dell’economia dei lavoretti (Gig) che impiega le persone sfuggendo alle responsabilità di datore di lavoro, eludendo ad esempio gli oneri sociali. A Ginevra, dal primo settembre la multinazionale americana ha deciso di assumere i suoi 500 riders di Uber Eats, informando «che i fattorini indipendenti non avranno più accesso all’applicazione». È il risultato delle lotte condotte dai sindacati ginevrini contro il colosso mondiale che ha fatto dalla precarizzazione pseudoindipendente il suo modello d’affari. «È una decisione per la quali ci siamo battutti da tanto tempo. È un cambiamento radicale e storico, perché è la prima volta che a livello planetario Uber considera i suoi riders dei salariati» ha commentato Umberto Bandiera di Unia. Va detto che la lotta sindacale è stata fatta propria dal governo cantonale ginevrino, quando lo scorso anno le autorità hanno intimato a Uber Eats (il servizio di consegne dei pasti di Uber) e dei suoi concorrenti di rispettare la legge trasformando i corrieri indipendenti in salariati. La concorrenza si adegua, mentre Uber fa ricorso. A giugno l’azienda ha perso la causa al tribunale cantonale, ma ha inoltrato ricorso al Tribunale amministrativo federale di Lucerna, la cui sentenza è attesa per il prossimo anno. Nel frattempo, senza comunicare la notizia al grande pubblico, Uber decide di assumere i corrieri ginevrini, che saranno retribuiti 20.65 l’ora (che diventeranno 23 con l'introduzione del salario minimo cantonale) e avranno diritto a cinque settimane di vacanze all’anno. Unia auspica che ora altri cantoni seguino il modello vincente ginevrino contro il colosso mondiale. La seconda notizia invece, più recente, riguarda l’Italia, dove il pm di Milano Paolo Storari ha chiuso lunedì le indagini per caporalato sui riders e reati fiscali promuovendo l’accusa a dieci manager, tra cui l’amministratice di Uber Italy. Un’indagine che aveva portato il 29 maggio il Tribunale a disporre, con un provvedimento mai preso prima nei confronti di una piattaforma di delivery, il commissariamento di Uber Italy, la filiale del gruppo americano. I riders del servizio Uber Eats hanno continuato a lavorare, ma a controllare «i modelli di gestione» dal primo giugno c’è un amministratore giudiziario, che dovrà presentare ai giudici una relazione in vista della decisione sulla prosecuzione o meno del commissariamento. Nell’avviso di chiusura d’inchiesta si legge che le agenzie intermediarie reclutavano i riders approfittando «dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti l’asilo, dimoranti presso i centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Pakistan , Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale». I corrieri erano pagati a cottimo 3 euro per consegna «indipendemente dalla distanza da percorrere dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/notturna e giorni festivi). Per 75 ore di lavoro settimanali, quasi il doppio di quelle consentite per legge, un rider portava a casa poco più di 200 euro. Uber Italy, stando al quotidiano economico italiano 24ore, nel 2018 (ultimo bilancio depositato) ha avuto ricavi per 4,9 milioni e utili per 251 mila euro. Malgrado da qualche anno registri perdite miliardarie, l’azienda americana è valutata 76 miliardi dollari. |