L'editoriale

Se Stephan Schmidheiny non fosse un ex industriale senza scrupoli che ha lucrato sulla pelle di lavoratori e cittadini e  che in passato ha ricoperto incarichi in seno a società del calibro di Ubs, Abb e Nestlé, ma un ladro seriale pizzicato a rubare in un grande magazzino milanese, la notizia di una sua condanna avrebbe sicuramente ottenuto maggiore eco sui media svizzeri e non avrebbe provocato alcuna reazione innocentista.


Ma siccome in questo paese un padrone è un padrone, i diciotto anni di carcere inflittigli dal Tribunale d’appello di Torino (non da una corte del Gabon) sono stati commentati dalla “grande” stampa elvetica (vedi pagina 9) con la solita supponenza, con i soliti luoghi comuni sulla giustizia italiana ed evocando un presunto «linciaggio mediatico» e una «caccia alle streghe» a cui il povero signor SS sarebbe sottoposto in Italia. Gli autori di simili commenti sono inoltre unanimi nel considerare il processo Eternit (di cui non hanno seguito una sola udienza) come un processo fortemente politicizzato. Ai loro occhi risulta inconcepibile che un imprenditore possa essere chiamato a rendere conto alla giustizia per aver esposto dei semplici lavoratori al pericolo e averne mandati a morte più di tremila.


Questo atteggiamento è probabilmente anche figlio dell’ordinamento legislativo svizzero, che in materia di lavoro è tra i più carenti e minimalisti d’Europa. Basti pensare che in Svizzera le vittime di danni professionali (quelle dell’amianto in particolare) non hanno praticamente alcuna chance di farsi valere in sede giudiziaria nei confronti dei loro datori di lavoro a causa delle norme in materia di prescrizione. Norme concepite soprattutto a tutela degli azionisti delle società, come spiegano candidamente i giudici del Tribunale federale in varie sentenze.


In Italia, per contro, le cose stanno un po’ diversamente ed è proprio per questo che è stato possibile celebrare un processo come quello sull’Eternit. Un processo in cui la tenacia e la bravura dei magistrati sono state decisive, ma che affonda le sue radici nelle battaglie operaie in fabbrica e negli scioperi degli anni Settanta in un’Italia che aveva appena conquistato lo Statuto dei lavoratori e dunque il diritto di assemblea e alle rappresentanze sindacali elette sui luoghi di lavoro, nonché alla tutela della salute dei lavoratori.

 

All’Eternit di Casale Monferrato la tutela della salute e le libertà sindacali furono determinanti sia per ottenere immediate misure di contenimento del rischio, sia per fare emergere alcune verità che l’azienda cercava di nascondere. Verità che molti anni dopo hanno consentito di individuare le responsabilità penali per i crimini d’impresa commessi dai dirigenti della multinazionale e di ristabilire un minimo di giustizia per migliaia di vittime innocenti. Se questo significa fare “processi politici”, diciamo “evviva i processi politici”.

Pubblicato il 

06.06.13

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