Quattro anni fa Michael Moore sosteneva Ralph Nader. Quest’anno il regista di “Fahrenheit 9/11”, se ne va in giro per il paese a “predicare” per John Kerry. Non è il fascino del candidato democratico a conquistare buona parte della sinistra americana, quanto la consapevolezza che Bush è l’uomo da battere e solo Kerry può riuscirci. Ciò spiega come mai quest’anno c’è molto meno fervore di quattro anni fa attorno alla candidatura di Ralph Nader. Il paladino dei consumatori è comunque anche quest’anno in corsa per la Casa Bianca. In coppia con il californiano Peter Camejo, in qualità di vice-presidente, non si candida per i verdi, ma come indipendente. Quest’anno il partito dei verdi, una tra le formazioni politiche più in crescita nel paese, ha preferito puntare sulla coppia David Cobb e Par La Marche, che si presentano in una trentina di stati. Rispetto a Nader, Cobb è un personaggio sconosciuto. Anche per questo poca gente va a sentire i suoi discorsi. Non appare in televisione, dove comunque anche Nader è poco presente. I due avrebbero voluto poter prendere parte ai dibattiti televisivi con Bush e Kerry. A St. Louis, dove si è tenuto il secondo faccia a faccia, Cobb ha protestato perché non gli è stato permesso di entrare in sala, col risultato che la polizia lo ha fermato con l’accusa di disubbidienza civile. Nader è ben diverso. Ha una forte personalità. È molto noto al grande pubblico per le sue campagne in difesa dei consumatori. Molti vanno a sentire i suoi discorsi. «Nader per favore non candidarti» è stato il ritornello che per mesi hanno cantato vari esponenti liberal americani, preoccupati che il 2 di novembre possa ripetersi quello che è avvenuto nel 2000, quando Nader riuscì a sottrarre a Gore quei voti che permisero a George Bush di spuntarla, anche se comunque grazie ad una decisione della corte suprema americana. Molti democratici non hanno ancora digerito quella sconfitta. Lui non si è lasciato intimidire, anche perché è convinto della necessità di avere in America almeno una terza forza per garantire il pluralismo democratico. Dopo tutto i dati gli stanno dando ragione. «Il 25 per cento degli americani non è più registrato come democratico o repubblicano. È un record nella storia del paese» ha sottolineato recentemente Peter Camejo in una intervista ribadendo che c’è «una libera elezione quando la gente può ascoltare diversi punti di vista e decidere per chi votare». Nader e Camejo si presentano quest’anno in almeno 35 dei 50 stati americani. Da notare che quattro anni fa Nader era presente in 43 stati. Quest’anno per lui è stato molto più difficile raccogliere le firme necessarie per poter essere accettato come candidato. Democratici hanno cercato in molti modi di ostacolare le sue ambizioni, mentre repubblicani lo hanno aiutato con la speranza di indebolire Kerry. In ogni stato ogni firma è stata attentamente scrutinata. Col risultato che Nader non potrà essere votato in vari stati contesi, vale a dire dove ancora non è chiaro se vincerà Bush o Kerry. È il caso della Pennsylvania, dell’Ohio, dell’Oregon. Sarà presente comunque nel New Mexico, nell’Arkansas e nel Wisconsin. Non è ancora definitivamente chiaro se potrà essere votato in Florida (è in ballo un ricorso), lo stato più conteso 4 anni fa. Nader ha pochissimo spazio nei media. Questo si fa sentire anche nei sondaggi. Se alcuni mesi fa davano a Nader il 5 per cento dei voti, adesso dicono che potrebbe conquistare solo un voto su cento. Molti esponenti della sinistra, dei verdi e del movimento pacifista non voteranno per lui pur condividendo a pieno la sua piattaforma elettorale. Nader è contro la guerra in Iraq, contro il Patriot Act, che riduce le libertà dei cittadini americani. È in favore della protezione dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, per un aumento del salario minimo e per una protezione sanitaria per tutti, ma soprattutto è contro le big corporation. «Le corporation non sono esseri umani. Non votano. Non respirano. Non sanguinano. Perché possono organizzare e sostenere candidati?» si è chiesto Nader durante una recente serata in California. «Chiunque purché non Bush» è comunque lo slogan di questa campagna condiviso da buona parte della sinistra americana, anche quella più radicale. Nader ha in particolare perso il sostegno di Michael Moore. Il regista-contestatario è in questi giorni impegnato in un giro che lo porterà in 60 città del paese per convincere i giovani a riscoprire la passione per la politica e ad andare a votare. «Potete dire che la politica non vi interessa, ma voi interessate alla politica, che vuole rendere misera la vostra vita» ha affermato Moore durante una recente serata a Tucson, nell’Arizona, davanti a quasi 15 mila spettatori, soprattutto studenti universitari. Alcuni atenei hanno cercato di impedire queste serate, perché troppo di parte, ma gli studenti sono sempre riusciti a superare gli ostacoli. Moore sta di fatto lavorando a pieno tempo per sostenere la candidatura di Kerry. Oltre alle serate e ai dibattiti, recentemente ha anche pubblicato una raccolta di lettere e messaggi che i giovani soldati gli hanno inviato dall’Iraq e dall’Afghanistan dal titolo “Will they ever trust uns again?” (avranno mai di nuovo fiducia in noi?) . Come Moore molti altri esponenti del mondo dello spettacolo stanno andando in giro per il paese per convincere i giovani ad andare a votare. Sta avendo molto successo il movimento “Rock the vote”, che organizza concerti e spettacoli soprattutto nei campus universitari. In questo modo si sono già registrati 1,2 milioni di americani. La “Black Entertainement Television” ha registrato 50 mila persone e altre 10 mila il P. Diddy’s Citizen Change, che ha coniato lo slogan “Vote or die”, perché se vince Bush la guerra continuerà e c’è chi ventila lo spettro del ritorno all’obbligo di arruolarsi, mentre oggi i soldati in Iraq sono tutti volontari. Questi sforzi potrebbero favorire Kerry, che mese dopo mese conquista sempre più sostegni anche tra chi non condivide a pieno la sua piattaforma. Il settimanale “The Nation” che si era schierato contro la guerra in Iraq adesso sostiene Kerry. Le ragioni sono indicate in un articolo scritto a 4 mani da Katrina Wanden Heuvel, direttrice del giornale, e Robert Borosage, rappresentante della “Campaign for America’s Future”, organizzazione creata a Boston durante la convention democratica dalle componente più progressiste della sinistra liberal. “La vittoria di Kerry significa il ripudio della destra. Ciò permetterà ai progressisti di passare dalle difensive all’offensiva”, assicurano gli autori. Il candidato democratico è sostenuto anche da esponenti di spicco del movimento pacifista, come Leslie Cagan, dell’organizzazione United for Peace and Justice (UFPJ), che ha firmato assieme a molte altre persone l’appello “Bush può essere fermato”. «Crediamo che Bush possa essere sconfitto e la sinistra può giocare un ruolo significativo e persino cruciale per raggiungere questo obiettivo» si legge nell’appello. Medea Benjamin, leader di Ufpj, ma anche di Global Exchange e dell’organizzazione pacifista femminile Code Pink è tra i promotori di una lettera aperta ai progressisti, che sono invitati a votare per Kerry e per il verde Cobb. «Quest’anno la cosa più importante è mandare in pensione il regime Bush, uno tra i più pericolosi ed estremisti nella storia degli Stati Uniti. Vogliamo che Kerry sostituisca Bush perché l’amministrazione Kerry sarà meno pericolosa in molte aree cruciali, inclusi il militarismo, le libertà civili, i diritti civili, le nomine dei giudici, i diritti alla procreazione e la protezione dell’ambiente» si legge nella loro lettera. Anche Naomi Klein ha deciso di schierarsi per Kerry e di far parte della coalizione “Anybody But Bush”. È per Kerry anche la maggior parte del movimento sindacale. Solo l’ala più radicale ha deciso di sostenere Nader. L’Afl-Cio, l’Uss americana, ha investito molte forze e soprattutto molti mezzi in questa campagna elettorale nella speranza di porre fine a quel clima anti-sindacale che si respira alla Casa Bianca. Lo stesso sta facendo Move-on, un movimento che opera soprattutto attraverso internet e che raccoglie fondi tra gli utenti per finanziare spot pubblicitari o pagine d’inserzioni sui giornali. A sostenere Kerry c’è anche il milionario George Soros, che ha speso 15 milioni di dollari con l’obiettivo di sconfiggere Bush. Se ci riusciranno lo sapremo il 2 di novembre.

Pubblicato il 

15.10.04

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