Elezioni italiane/2

Tutti i governi che si sono succeduti dal ’94 si sono ben guardati dall’occuparsi degli strumenti che hanno consentito a Berlusconi di vincere e rivincere per troppe volte, strumenti che sono lo specchio di una democrazia preagonizzante: il conflitto d’interessi, la par condicio, una legge elettorale che può essere superata in peggio solo dal sistema bielorusso che garantisce potere eterno a Lukaschenko, il dittatore tanto invidiato da Berlusconi per il suo consenso tra i cittadini che oscilla tra il 90 e il 100 per cento. E così oggi, quando la storia sembrava conclusa con un Pdl nelle ortiche, ci ritroviamo a leggere un pericoloso post scriptum. Anzi, ad assistervi da telespettatori in un rilancio a reti unificate.

 

La par condicio te la raccomando, del conflitto d’interessi neanche a parlarne, così come di riforma elettorale. Siamo in piena campagna ma non si discute di disoccupazione ai massimi storici bensì di Berlusconi, dei suoi processi, della sua esuberanza televisiva, delle sue liste infestate di delinquenti condannati sia pure in prima istanza, di un sospetto tramite tra la politica e la camorra, già giudicato colpevole ma padrone dei voti in Campania con cui ricatta l’Unto del signore e i bisunti che lo circondano: o mi mettete in lista o vi rovino tutti quanti, ha minacciato Cosentino, messo fuori per colpa dei sondaggi e fuggito con le liste elettorali. Berlusconi probabilmente non vincerà le elezioni del 24 e 25 febbraio, ma è sicuro che fa discutere di sé e dei veri o presunti sondaggi che lo darebbero in recupero sul centrosinistra.

 

Il nuovo corso leghista riparte da dove era finito il primo: mutatis mutandis, sostituito il compromesso Bossi con l’immacolato Maroni, l’esercito verde torna a combattere al fianco del suo alleato storico, l’odiato inseguitore e promotore di minorenni in carriera e nipoti di presidenti in disuso, un Pdl frantumato a cui i miliziani di Pontida fanno la respirazione bocca a bocca in cambio di un sostegno alla candidatura di Maroni alla presidenza della Regione Lombardia. Le elezioni anticipate, per la decisione del Pdl di staccare la spina a Monti, chiudono una delle stagioni più atipiche e inquietanti della storia repubblicana italiana.

 

A novembre del 2011, quando alla precipitazione della crisi economica si affiancava l’attacco della finanza all’Italia messa alla berlina da Berlusconi, sotto la spinta della troika europea e dei poteri forti e con l’auspicio del presidente della repubblica Napolitano, veniva convinto a tornare a casa l’uomo di Arcore, per insediare al suo posto il catto-bocconiano Mario Monti, fulgida storia europea e liberista della prima ora. Monti, sostenuto da uno schieramento contro natura formato da Pdl, Udc e Pd (il 90 per cento dello schieramento parlamentare). In poco più di un anno il governo dei professori è riuscito a far più danni di quelli provocati dai governi di destra: una controriforma del mercato del lavoro e delle relazioni sindacali con la complicità di tutto l’arco parlamentare e l’esclusione della Fiom e della Cgil, il netto ridimensionamento dei contratti nazionali di lavoro, una controriforma del sistema previdenziale che allungando l’età lavorativa ha dato un colpo mortale alla già ansimante occupazione giovanile, un attacco inedito allo Statuto dei lavoratori fino alla sterilizzazione dell’art.18, che garantiva il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati.

 

Sono aumentate le tasse ma non per i più ricchi, si è fatto cassa su lavoratori dipendenti e pensionati con la conseguenza di aumentare la divaricazione tra chi ha troppo e chi troppo poco o niente. Il tutto in nome dello spread tra titoli italiani e tedeschi che andava ridotto, così oggi lo spread è ai minimi storici e la disoccupazione e l’ingiustizia sociale ai massimi, con centinaia di aziende che chiudono i battenti e gli ammortizzatori sociali in via di esaurimento. L’impronta liberista di Monti che ha colpito lavoro, scuola e sanità viene oggi rivendicata praticamente da tutti i partiti che hanno sostenuto il governo di unità nazionale, e anche chi tenta di prendere qualche timida distanza (come il Pd, che pure esclude l’introduzione di una patrimoniale qualora riuscisse a vincere le elezioni) ha le mani legate dalle leggi che esso stesso ha varato, a partire dal pareggio di bilancio in Costituzione. Il Partito democratico ha cercato di scrollarsi di dosso il peso delle scelte fatte dal governo Monti, cercando di ricostruire un feeling con i cittadini amareggiati, tentati dal non voto o dal rifugio in una nuova forma di populismo recitata da Beppe Grillo, che non è antipolitica nel comune sentire, ma rabbia per una politica lontana, corrotta e classista.

 

Le primarie per la scelta del premier e, successivamente, le primarie per individuare una parte dei candidati alle elezioni politiche hanno ridato un po’ di smalto a Bersani portandolo in alto nei sondaggi. Ma questo è avvenuto quando Berlusconi non aveva ancora deciso di “tornare in campo”, così come Monti sembrava voler restare fedele al suo impegno di “tecnico” di non scendere in campo. Poi è successo che Sua Emittenza è tornata in onda, e Monti ha deciso di scendere, anzi come dice lui, “salire” in politica e le carte si sono di nuovo rimescolate. Ora sono in molti a temere l’anatra zoppa con la vittoria del centrosinistra alla Camera e il pareggio in Senato. E Bersani, con l'apporto di Nichi Vendola (vedi l'altro articolo in questa pagina), ha rispolverato l'arma letale del voto utile prendendosela con la lista antiliberista capitanata dall'ex giudice Ingroia. Contemporaneamente è ripreso il corteggiamento del Pd nei confronti di Monti che è diventato il punto di accumulazione di tutta l’area centrista, da Casini a Montezemolo, dai cattolici di Ricciardi ai bocconiani, dai transfughi del Pdl a quelli del Pd guidati dal giuslavorista Ichino, il nemico giurato dello Statuto e dei diritti conquistati con decenni e decenni di lotte operaie. Le liste di Monti si confondono con i vertici di Confindustria e con i consigli di amministrazione di aziende e fondazioni bancarie. Ma siccome il nemico comune dell’Italia e dell’Europa è sempre e solo Berlusconi, bisogna fare alleanze e patti, persino con il diavolo. Non sarà lungo questa strada che si ricostruirà la speranza dell’Italia democratica.

 

C’è un mese di tempo per invertire la rotta.

Pubblicato il 

24.01.13

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