È nata dalla passione civica di un pugno di giornalisti e giornaliste d’inchiesta e di informatici della Svizzera tedesca. E sta crescendo a passi da gigante. Lobbywatch.ch, la “piattaforma per una politica trasparente”, ha appena compiuto un anno e può già vantare risultati impressionanti. Il progetto senza scopo di lucro, consultabile su Internet in francese e in tedesco, procede in maniera sistematica alla mappatura dei potenziali conflitti di interesse che popolano il Parlamento federale svizzero. Sotto la lente di ingrandimento ci sono i legami fra le persone elette nelle due Camere a Berna e una moltitudine di soggetti esterni al Palazzo, ma interessati a cosa si decide fra le sue nobili mura. E non si parla solo di aziende private. Ci sono associazioni e organizzazioni non governative , sindacati e “gruppi di interesse”. Perché non fanno attività di lobby solo gli industriali. Dal dizionario Sabatini Coletti, vedi alla voce “lobby”: “Gruppo di persone legate da interessi comuni e in grado di esercitare pressioni sul potere politico per ottenere provvedimenti a proprio favore”. In Svizzera, l’attività di lobby è considerata lecita. Nella “città vecchia” della capitale federale fioriscono le agenzie specializzate nelle pubbliche relazioni a Palazzo. E dato che nel sistema di milizia essere parlamentare non è una professione, la maggior parte degli eletti è membro di organi di direzione o consulente di una miriade di associazioni e aziende. Si tratta di legami privilegiati, talvolta a titolo gratuito e più spesso a pagamento, legami che inevitabilmente influenzano le opinioni e il voto di un parlamentare. Facendone, di fatto, un lobbista. Ogni persona eletta è tenuta a dichiarare tali relazioni, che finiscono nel “Registro degli interessi” del Parlamento. Otto Hostettler, giornalista d’investigazione a Der Beobachter e co-presidente di Lobbywatch, racconta ad area che la pratica è ben più preoccupante della teoria: «Il Registro degli interessi è una presa in giro. Come hanno ammesso i Servizi del Parlamento, nessuno verifica le dichiarazioni inviate dai parlamentari. Beffa ulteriore: sono considerati interessi solo quelli che riguardano soggetti dotati di forma giuridica. Significa che i cosiddetti “gruppi di interesse”, diffusi e influenti in Svizzera, non vanno dichiarati». Hostettler ritiene che le persone elette dovrebbero al contrario comunicare anche quanto denaro ricevano per i loro mandati extra-parlamentari: «Perché è rilevante per la vita politica di una democrazia, se un consigliere nazionale è sul libro-paga di una cassa malati, mentre se ne occupa come parlamentare nella Commissione sanità». La legge che regola l’Assemblea federale legittima la prassi del lobbismo in salsa elvetica, dove prevede che ogni persona eletta abbia facoltà di assegnare due permessi d’ingresso a Palazzo, i cosiddetti “badge ospiti”. Secondo l’articolo 69, anche i nomi e le funzioni di queste persone «devono essere iscritti in un registro pubblicamente consultabile». A fare cilecca, secondo Lobbywatch, sono ancora una volta i fantomatici meccanismi di controllo: «La legge d’altronde è talmente vaga, che neanche definisce cosa sia una funzione», bastona Hostettler. E così, spesso non è chiaro se il tale ospite è un lobbista, un collaboratore o un parente. Lobbywatch ha calcolato che 99 dei 453 ospiti sono «soggetti non identificati» e rivendica «l’interesse pubblico a sapere in nome di quali interessi una persona sia autorizzata a passeggiare nella Sala dei passi perduti». Il primo anno di analisi sistematica la dice lunga: «Siamo arrivati ad esaminare i legami di interesse di circa metà Parlamento, ospiti compresi. In quasi un caso su due, abbiamo riscontrato discrepanze con quanto dichiarato nei Registri». Lobbywatch si è data un metodo: avanza passando per le commissioni del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati. Finora sono state passate al setaccio quattro commissioni, di entrambe le Camere: le commissioni della sicurezza sociale e della sanità (Csss), le commissioni dell’ambiente, della pianificazione del territorio e dell’energia (Capte), le commissioni dell’economia e dei tributi (Cet) e le commissioni della politica di sicurezza (Cps). Le prime tre sono già sul sito, la quarta seguirà nei prossimi giorni. In un anno di Lobbywatch sono emerse 2469 organizzazioni attive a Palazzo federale. 52 partecipano alle consultazioni e 622 sono presenti nel dibattito nazionale sui temi forti della politica. |