Un padrone lombardo che si è fatto da sé raccogliendo rottami ferrosi, per poi diventare imperatore dell’acciaio italiano: è Emilio Riva, un genio nel suo genere, un genere criminale. La chiusura delle indagini preliminari dalla Procura di Taranto confermano quell’‘‘Ilva Connection” che abbiamo raccontato su questo giornale.

 

53 informazioni di garanzia sono state consegnate a tre generazioni della famiglia Riva con innumerevoli capi d’imputazione, il più grave di associazione a delinquere (di stampo capitalistico, si potrebbe chiosare), in cui avrebbero coinvolto ministeri, istituzioni pugliesi, politici di destra, centro e sinistra, periti e scienziati, preti e carabinieri, sindacati e media. Un’associazione a delinquere per aumentare la produzione nel sito siderurgico più grande d’Europa, a costo di trasformare Taranto in luogo di morte, avvelenato da diossina, benzo(a)pirene, polveri sottili. A Taranto si muore di tumore più che in qualsiasi altra città perché chi doveva rispettare le leggi le ha violate, chi doveva controllare non l’ha fatto, chi doveva valutare l’inquinamento ha taroccato le perizie, chi doveva raccontare i crimini dell’Ilva ha taciuto, chi doveva difendere i lavoratori ha difeso il padrone. Ad ammalarsi e morire sono gli operai Ilva, i tarantini che abitano vicino alla fabbrica, i bambini e gli anziani. E gli animali, pecore capre e cozze del Mar Piccolo.


Ora i 53 coinvolti nello scandalo hanno 20 giorni per farsi ascoltare dai Pm, prima che vengano avanzate al Gup le richieste di rinvio a giudizio. Non spetta a noi dire se i magistrati tarantini – forti di chilometri di intercettazioni e di video con i corrotti pizzicati con i soldi di Riva tra i denti – hanno in tutto ragione. Le posizioni degli accusati sono diverse tra loro: chi è sospettato di associazione a delinquere; chi, al governo, di aver modificato al rialzo i limiti tollerabili di diossina; chi di concussione aggravata, come Nichi Vendola, per le pressioni pesanti sull’Arpa Puglia, uno dei pochi presìdi “piliti” contro l’inquinamento; chi, come il capo dell’Arpa, colpevole non di avere addomesticato le denunce contro i Riva, ma di negare le pressioni di Vendola per lasciare mano libera a Riva minimizzando il tasso di avvelenamento della fabbrica, della città e di tante coscienze. Bersani non ha colpe giudiziariamente perseguibili per aver accettato da Riva 98’000 euro per la campagna elettorale; non ha probabilmente commesso reati Vendola che, come dice lui, non è a libro paga di Riva; il sindaco Stefàno potrà forse dimostrare la sua innocenza; i sindacati “responsabili” (Fim e Uilm in testa) forse non hanno preso soldi in nero (in bianco sì) da Riva. Quel che più inquieta è il comportamento della sinistra e dei sindacati al cospetto del peggior capitalismo italiano.

 

Politicamente hanno molto da farsi perdonare, Pd, Sel, Idv, a Cisl e Uil (e per una troppo lunga stagione, per fortuna conclusa, anche Cgil e Fiom). Politicamente non sono ammesse “cordialità” con Riva, anche se non si è a libro paga; non sono ammesse pressioni sui tecnici per evitare conflitti ineliminabili e persino salutari; non si può stare, contemporaneamente, con il boia (il padrone) e l’impiccato (gli operai e i cittadini). Non si può accettare la pretesa di scegliere tra diritti fondamentali: al lavoro e alla salute.

Pubblicato il 

06.11.13

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