Tutti brindano alla vittoria di Macron

Almeno su una cosa Barak Obama ha ragione: “Come si mangia in Italia non si mangia da nessuna parte”. Dal menù della cena di gala firmata dai fratelli Cerea del ristorante 3 stelle “Da Vittorio” di Bergamo arriva una netta conferma alle preferenze alimentari dell’ex presidente Usa: si comincia con finger food (stuzzichini da agguantare con le mani, ma l’inglese è d’obbligo), gnocchetti di ricotta con fontina, barba dei frati e tartufo nero di Norcia, spallina di vitello al Porto bianco, tiramisù moderno (?), Kermesse di dolci e caffè, il tutto innaffiato con Franciacorta. Ma sono i commensali la ricetta più pregiata della cena con Renzi e Obama gomito a gomito e una macedonia di poteri forti, padroni privati e boiardi di stato dall’immancabile Marchionne a John Elkann a Montezemolo a Marcegaglia a Della Valle a Tronchetti Provera ma c’è anche un riesumato Mario Monti, a Maria Luisa Todini (presidente delle Poste). E via mangiando, in attesa di ascoltare l’indomani l’intervento di Obama al Seeds&Chips, il summit internazionale sull’alimentazione alla Fiera di Milano. Tra uno gnocchetto e un calice di brut Renzi tira fuori il telefonino e chiama “l’amico” Macron, qualche cazzeggio e passa lo smartphone all’ospite d’eccezione che cazzeggia a sua volta con uno dei due poli del futuro asse franco-tedesco (sul semiasse Renzi sogna uno strapuntino). Poi si torna allo gnocchetto. Buon appetito, naturalmente per un mondo migliore e alla salute dei disoccupati della Lorena, dei precari di Foodora e degli affamati subsahariani.


Ma la politica italiana non è un pranzo di gala, e non sarà un pranzo di gala il futuro per le fasce deboli della popolazione francese sotto i colpi del nuovo presidente liberista. Il fasciocapitalismo è stato sconfitto dal turbocapitalismo, la Francia è salva dunque è salva l’Europa cioè il mondo; in Italia brindano tutti e si calano gli anni per assomigliare al giovane Macron. Renzi dice in accento toscano una frase che suona come “Macron c’est moi” e sogna la fine dei partiti – con il Pd ci sta dando dentro – strizzando l’occhio a Berlusconi che, a sua volta, brinda, avverte il suo ex alleato Salvini spiegandogli che con l’estremismo si fa la fine della Le Pen e minaccia il ritorno in campo. Tremate, le streghe son tornate. Brinda persino il segretario della Lega e controbatte: tu vecchio arnese te li sogni i milioni di voti di Marine, se non ti adegui il campo lo troverai occupato da noi. Il povero Bossi padano, quello che “la Lega ce l’ha duro”, si prepara a perdere l’ennesima sfida con un Salvini convertito in superitaliano sovranista. Anche Sinistra italiana alza il calice, sognando i voti di Mélenchon.


Vinte le primarie, messi in un angolo gli oppositori interni Orlando e Emiliano (che per ora ha smesso di opporsi), Matteo Renzi è costretto a rispondere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che improvvisamente si fa sentire invocando il senso di responsabilità del rottamatore e del suo partito: il tempo è scaduto, subito la legge elettorale. Non è colpa mia né del Pd, risponde Renzi dicendosi pronto con la ricetta in tasca. Anzi, due ricette, una proporzionale per imbarcare Berlusconi e una maggioritaria per tentare il M5S. Come canta il Rigoletto di Verdi, “Questa o quella/ per me pari sono”. L’importante è che si voti subito. Anzi no, il Pd è spaccato. Aver costretto all’esodo un pezzo di sinistra con cui Renzi non vuole più avere a che fare non ha riportato l’ordine. E Orlando brontola: preferisco Bersani a Berlusconi.

Pubblicato il

10.05.2017 21:08
Loris Campetti

Lavoratori già nel mirino di Macron

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