Quest’anno la mia compagna è stata categorica: «In vacanza il telefono lo tieni spento. Niente e-mail e niente social. E non azzardarti a fare telefonate per quell’inchiesta che stai facendo». Un esempio personale per capire quanto il confine tra vita professionale e privata sia sempre più labile grazie anche allo sviluppo illimitato di Internet. Un momento estivo di vita offline, oltre che un diritto, può quindi solo essere salutare per tutti. L’aumento della flessibilità del lavoro e lo sviluppo delle nuove tecnologie impediscono a molti di noi di staccare la spina completamente. I lavoratori possono ormai essere attivi per l’azienda anche al di fuori degli spazi e dei tempi normali di lavoro. In vacanza, certo, ma anche alla sera o in pausa pranzo. Persino di notte. Con l’avvento degli smartphone il confine tra la sfera professionale e quella privata si sta insomma sempre più assottigliando. Il lavoro ormai ce lo portiamo addosso. Sempre. Nei pensieri e nelle preoccupazioni. Ma anche nella pratica: nelle e-mail, nei messaggi, nelle telefonate, nel dai che faccio veloce due cosine. Che sommate ad altre due cosine qui e due cosucce là fanno una somma di lavoro supplementare non remunerato. Stando ad alcuni studi, in Svizzera, oltre l’80% dei lavoratori è reperibile dal datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro e durante il fine settimana mentre il 70% lo è anche durante le vacanze. La cultura del perennemente connesso e del sempre raggiungibile ha, però, degli effetti negativi. Sono in molti a sottolinearlo: la mancanza di una netta separazione tra il mondo del lavoro e la sfera privata, la reperibilità costante via Internet o tramite e-mail e sms, nasconde dei rischi, compromette il rendimento e genera stress. Ormai in molti non siamo più in grado di prendere le distanze dal nostro contesto professionale, fatichiamo a staccare, a recuperare, a stabilire un chiaro confine della nostra sovranità dello spazio e del tempo libero rispetto allo spazio e al tempo di lavoro. La nostra vita privata è invasa da allerte, notifiche e bip bip continui. Tutto ciò ci conduce ad una sorta di disponibilità permanente: non possiamo più distrarci mentalmente dal lavoro. Ciò che a lungo andare può provocare crisi, esaurimenti e burnout. Che fare, quindi? Diritto alla disconnessione Di fronte a questi problemi, in alcuni paesi sono stati adottati dei provvedimenti legislativi. Il precursore del diritto alla disconnessione è stata la Francia: dal primo gennaio 2017 una nuova legge obbliga le imprese con più di cinquanta salariati a trovare un accordo con i sindacati sulla gestione della disponibilità degli impiegati al di fuori degli orari di lavoro. «Mi avvalgo del mio diritto alla disconnessione»: si potrà così rispondere al proprio superiore, in base al principio secondo cui i lavoratori francesi hanno diritto a staccare telefono e computer e a non rendersi reperibili al di fuori di certi orari. In Germania, Volkswagen ha deciso di sospendere le comunicazioni sugli smartphone professionali tra le 18.15 e le 7 del mattino. In Svizzera, nel 2015, il sindacato syndicom ha realizzato uno studio su 3’500 lavoratori del settore delle telecomunicazioni nel quale emergono diversi problemi legati alla reperibilità continua dovuta alle nuove tecnologie. Tra le raccomandazioni proposte dal sindacato vi è anche l’introduzione di barriere tecniche per fare in modo, ad esempio, di inviare e ricevere le e-mail professionali soltanto durante il regolare orario di lavoro. Nella Confederazione, l’ordinanza sulla legge sul lavoro indica che durante i periodi di riposo il datore di lavoro non ha il diritto di rintracciare i lavoratori e che questi ultimi hanno il diritto di non essere reperibili, a meno che non si siano impegnati a fornire un servizio di picchetto temporaneo per far fronte a eventi particolari. Nel 2017, il Consiglio federale ha respinto una mozione della consigliera nazionale dei Verdi Lisa Mazzone che chiedeva di andare più in là introducendo un diritto esplicito per sancire la disconnessione al di fuori delle ore previste dal contratto di lavoro. Vacanze offline A volte, però, ci mettiamo del nostro al non voler staccare la spina. Anche in vacanza. Anche quando, in fondo, potremmo per un attimo spegnere non solo il cervello ma anche i cellulari. Una recente indagine svolta da Booking ha messo in evidenza come nel primo giorno di ferie, dopo aver disfatto la valigia, molte persone pensano subito a svolgere un’attività legata alla tecnologia: le foto da mettere su Facebook, certo, ma anche le e-mail di lavoro da evadere. D’altronde, nella scelta di un albergo o di un campeggio, sono sempre più fondamentali i fattori tecnologici, come ad esempio la disponibilità di una potente connessione Wi-Fi. Sempre secondo Booking, uno dei principali timori per i turisti italiani è proprio quello di non riuscire a connettersi a Internet e non potere essere online costantemente. Una sorta di ansia da non connessione che mette in evidenza quanto in fondo siamo schiavi di strumenti che dovrebbero invece essere al nostro servizio. Proprio per questo, per uscire dal giogo della connessione perenne, sono sempre più in voga le offerte turistiche, esotiche o meno, che propongono un’offerta offline. Ritmi lenti, scanditi dalla natura e tutt’intorno quiete, silenzio: niente rete Wi-Fi e divieto rigoroso di pc e cellulari. È la digital detox. Sconnettersi dalla rete e dai social network per connettersi con sé stessi e con il luogo dove ci si trova. Ma è significativo il fatto |