Uno dei momenti peggiori della campagna elettorale USA 2024 è senza dubbio quello in cui, durante l’unico dibattito televisivo con Harris, Donald Trump racconta che in una cittadina dell’Ohio gli immigrati di Haiti rubano cani e gatti per mangiarli. Trump non è nuovo a inventare balle o ingigantire singoli episodi come se si trattasse della normalità. Nei suoi comizi Trump ha parlato di gente che avvelena il sangue d’America, di gang venezuelane che hanno preso il controllo di Aurora, in Colorado, di stupri di massa, di metropoli devastate. La linea del partito repubblicano contemporaneo è quella per cui il Paese, governato da comunisti mascherati è alle prese con una devastante crisi migratoria perché Biden e Harris, d’accordo con i governi di altri paesi stanno volontariamente importando criminali da tutto il mondo. Una teoria della grande sostituzione alla seconda: non solo immigrati che sostituiranno l’uomo bianco, ma criminali.

 

La retorica sull’immigrazione paga elettoralmente ma è anche foriera di rischi. Il caos e la violenza di alcuni paesi latinoamericani (Salvador, Honduras, Nicaragua, Ecuador, Venezuela) hanno oggettivamente fatto crescere la pressione sulla frontiera Sud degli Stati Uniti con un aumento piuttosto clamoroso nei primi anni dell’amministrazione Biden. Questo aumento forse è anche stato determinato dalla fine della presidenza Trump durante la quale il messaggio e anche le politiche hanno reso più difficile l’ingresso e la permanenza negli USA. Ma l’aumento dei reati che si è registrato per un paio di anni subito dopo il Covid è stato causato dalla crisi post pandemica non dall’immigrazione.

Il messaggio di Trump arriva in due luoghi: negli Stati di confine, dove il disagio per l’impennata di arrivi si è sentito e nelle aree dove l’immigrazione è poca e quindi la narrazione apocalittica fa breccia perché è un racconto di un pericolo potenziale all’orizzonte.

 

Per porre fine a questa “invasione di criminali” Trump promette la più grande operazione di espulsione di tutti i tempi e ha spesso fatto riferimento all’operazione Wetback quando nel 1953 l’amministrazione Eisenhower espulse più di un milione di messicani, abbandonandoli dall’altra parte del confine senza nemmeno aver potuto recuperare le loro cose. Inutile dire che con numeri così si spara nel mucchio. Il problema è che negli Stati Uniti vivono circa 10-12 milioni di indocumentados e che la maggioranza di questi ci vive da più di dieci anni. Rimandarli a casa oltre a essere un’operazione potenzialmente costosissima e difficilmente realizzabile, significherebbe in molti casi spedirli in un paese che non conoscono o quasi.

 

Il discorso razzista sottinteso ma non troppo

Il problema della retorica anti-immigrati di Trump non è solo quanto sia razzista, pericolosa, sbagliata, ma anche quanto contribuisca a dividere il paese. Quando Trump descrive le scene apocalittiche e inventate di Aurora Colorado o i BBQ di cani e gatti in Ohio il suo pubblico non vede solo i nuovi immigrati, ma i milioni di migranti irregolari, soprattutto messicani, che vivono e lavorano nei campi, nei cantieri, nelle case e nelle cucine d’America. Come capita anche quando parla di altre minoranze al suo elettorato in larghissima maggioranza bianco, Trump in fondo parla anche di loro ammiccando e senza dirlo – quella del discorso razzista sottinteso, non esplicitato è una consuetudine del partito repubblicano dopo l’approvazione delle leggi sui diritti civili.

 

Che il sottotesto fosse il razzismo e la disumanizzazione dell’altro è stato esplicito nel comizio dello scorso 13 ottobre al Madison Square Garden di New York, una kermesse durante la quale uno degli oratori ha fatto battute sugli ispanici che figliano come conigli (la battuta è peggio, non la riporto) e su Portorico “isola di spazzatura galleggiante”. Errore madornale. Se i sondaggi indicano infatti che una certa retorica machista e tradizionalista sui valori della famiglia, sui ruoli di genere ha pagato riuscendo a sfilare qualche porzione di voto ispanico ai democratici, è altrettanto vero che gli insulti razzisti a una settimana dal voto potrebbero rivelarsi un danno enorme.

 

Il peso degli ispanici

E allora guardiamo un po’ i numeri. Gli ispanici votano poco ma sono molti: gli elettori potenziali sono 36 milioni, 3,9 in più che nel 2020 e quasi il 15% degli elettori totali. In Nevada e Arizona, Stati cruciali per vincere, sono il 22% e 25% del totale e un terzo del totale è under 30 (20% tra la popolazione totale). Ma naturalmente non tutti gli ispanici sono uguali: ci sono quasi 38,5 milioni di messicani americani, 5,5 milioni di portoricani e 2,6 milioni di cubani. Le persone di origine messicana non sono i figli e i nipoti degli esuli ma di migranti (o di popolazione messicana passata agli USA dopo l’acquisizione di California, New Mexico, Texas). Le comunità votano in maniera diversa anche a causa delle ragioni diverse per le quali si trovano negli Stati Uniti: in Florida ad esempio, nel 2020 i cubani hanno votato Trump nel 56% dei casi, i portoricani Biden nel 68%. Nel 2020 gli ispanici votarono Biden al 66%, le donne molto più che gli uomini. Oggi i sondaggi ci dicono che il voto per Harris scenderebbe di diversi punti (tra il 55 e il 58%) con i messicani e i portoricani in testa. Ma questi sondaggi vengono prima degli insulti al comizio del Madison Square Garden sul quale i democratici si sono gettati – la portoricana Jennifer Lopez comparirà con Harris nei prossimi giorni mentre il cantante reggaeton Bad Bunny pubblica sui suoi account social risposte agli insulti. Quel comizio rischia dunque di diventare un boomerang: nella cruciale Pennsylvania vivono 300mila portoricani e in North Carolina 115mila, mentre i sondaggi parlano di distanze in quegli Stati sotto il punto percentuale. Ogni voto guadagnato o perso è insomma cruciale. Parallelamente, nelle aree di confine capita che i democratici perdano voti anche tra gli ispanici perché chi vive lungo la frontera spesso vede con preoccupazione la spinta migratoria che genera caos nei luoghi dove vive (se fossimo in Italia potremmo paragonare alcuni centri di confine a Lampedusa).

 

La prudenza di Harris

Dal canto suo Harris ha mantenuto una linea molto accorta: accusata di essere stata la responsabile dell’“invasione”, la vicepresidente ha promesso più controlli ai confini, più espulsioni ma anche una riforma delle leggi sull’immigrazione e un processo di regolarizzazione per i milioni di persone che vivono e lavorano da anni senza documenti negli USA. Se guardiamo ai sondaggi, sia la parte più securitaria che quella che concede diritti trovano ampie maggioranze di consensi nell’opinione pubblica. Come accade sempre però, chi vede l’immigrazione come un male tenderà a preferire l’originale di destra. Il punto per Harris non è dunque convincere quel segmento ma recuperare un po’ di voti ispanici. Si dice che in questo 2024 le operazioni di porta a porta dei democratici siano state organizzate molto bene. Quello del lavoro sugli ispanici è un test importante per scoprire se è davvero così.

 

 

 

Pubblicato il 

31.10.24