Troppo grandi per fallire. Lo si è detto molte volte a proposito dei colossi della finanza mondiale in crisi. Qualche volta si è detto anche il contrario: alcuni giganti economici sarebbero ormai troppo grandi per essere salvati in caso di difficoltà. Nei due casi, il "troppo grande" rappresenta un rischio enorme, sottovalutato dai talebani del libero mercato che esaltano a parole la concorrenza, ma la distruggono lasciando crescere senza limiti le imprese globali.
Il "troppo grande per fallire" è pernicioso perché induce all'irresponsabilità e all'ingiustizia. All'irresponsabilità, perché si è sicuri che qualche santo provvederà (stato o banca nazionale) per i rischi assunti per ingordigia di profitto. All'ingiustizia, poiché azionisti, dirigenti e, in parte, anche lavoratori dei "troppo grandi" beneficeranno di ingenti risorse dei cittadini-contribuenti, mentre le piccole e medie imprese pagheranno i loro errori con il fallimento: la loro scomparsa non trascinerà nel baratro il resto dell'economia.
Anche il "troppo grande per essere salvati" è un rischio inaccettabile. Il fallimento di un colosso economico non salvabile avrebbe conseguenze devastanti per centinaia di migliaia di persone e piccole imprese senza colpa.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a situazioni del primo tipo. Negli Stati Uniti, con il salvataggio dei due giganti che detenevano o garantivano 5 mila miliardi di crediti ipotecari (Fannie Mae e Freddie Mac), con la nazionalizzazione del maggiore assicuratore del mondo (Aig), con i 700 miliardi stanziati per acquistare titoli spazzatura di banche a rischio di fallimento. In Europa, con i 1'700 miliardi di euro destinati a ricapitalizzare banche a rischio d'insolvenza. In Svizzera, salvando Ubs con 6 miliardi di franchi della Confederazione e 54 della Banca nazionale. Un importo superiore a quello per le nuove trasversali alpine.
L'origine strutturale del disastro mondiale sta dunque nel gigantismo delle imprese, favorito da stati paralizzati dalla retorica del mercato libero che si autoregola e dal ricatto dei colossi privati che dettano le politiche economiche dei governi.
Sconcertante, quindi, il suggerimento di salvare Ubs unendola al Crédit Suisse, due ammalati (il secondo un po' meno) membri del club dei "troppo grandi per fallire". Ricordiamo che Ubs (80 mila collaboratori) e Crédit Suisse (50 mila) sono presenti in 50 paesi del mondo, e che gli attivi gestiti da Ubs superano i 3 mila miliardi di franchi, quelli gestiti dal Crédit Suisse i 1'300 miliardi.
Cifre pazzesche, che espongono il paese a "crisi sistemiche" generate dalle strategie d'azzardo decise in tutta autonomia dai due colossi della finanza.  Questo è proprio il punto: tali concentrazioni di potere privato, con libertà di mettere in ginocchio l'intero paese, sono una vera minaccia per la democrazia. Anzi, creano già una situazione "post-democratica". Occorrono passi indietro nella concentrazione economica, non passi in avanti.

Pubblicato il 

07.11.08

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