Tre battaglie di civilità

Alcuni aspetti accomunano tre dei quattro oggetti in votazione il prossimo 26 settembre, ossia i due concernenti la naturalizzazione agevolata degli stranieri di seconda e terza generazione e quello sull’introduzione di un congedo maternità pagato per tutte le lavoratrici. Intanto si tratta di tre riforme che, se venissero finalmente accolte, non regalerebbero nulla a nessuno ma costituirebbero soltanto e semplicemente tre atti di giustizia, da tempo dovuti. Giustizia nei confronti delle donne lavoratrici che si sobbarcano l’onere di diventare madri, per troppe delle quali oggi la gravidanza e il parto sono esperienze da vivere più nell’angoscia per il futuro che nella serenità. E giustizia nei confronti dei giovani stranieri che crescono in Svizzera e che con il loro lavoro contribuiscono alla prosperità del nostro paese, per i quali oggi il riconoscimento giuridico (la naturalizzazione) di una realtà di fatto (la piena integrazione nel nostro tessuto sociale) è ancora spesso un percorso fatto di umiliazioni. Colpisce in secondo luogo l’opposizione becera e triviale che l’Udc conduce contro questi tre oggetti. È un’opposizione che, più che a voler convincere gli elettori di altri partiti, mira a rafforzare il credo reazionario e la compattezza del proprio elettorato, agitando fantasmi quali i “figli di Stato” o l’islamizzazione del paese. Con riferimento soltanto al 26 settembre la propaganda dell’Udc potrebbe anche far ridere. Ben più preoccupante è il disimpegno da queste tre battaglie di civiltà del centro politico e dei potentati economici, quasi che a loro l’esito del voto fosse tutto sommato indifferente e che anzi non volessero urtare le suscettibilità dei nuovi padroni del paese, la destra economica e politica. Può darsi che un centro disimpegnato sia sufficiente questa volta a vincere le tre battaglie: ma per il futuro c’è ancora una volta poco da stare allegri. Infine c’è la grossa occasione della sinistra sindacale e politica, l’occasione cioè, dopo numerose battaglie di retroguardia a difesa delle conquiste del passato (si pensi alle vittorie raccolte quest’anno alle urne), di imporre una vera svolta e rilanciare le dinamiche politiche verso una maggiore giustizia sociale. In questo senso, certo, il 26 settembre costituirebbe soltanto un inizio. Ma se il popolo con i suoi Sì dirà di voler invertire la rotta della politica neoliberista che la maggioranza di governo e parlamento ci stanno imponendo, fra qualche anno potremmo ritrovarci a parlare di una data storica. A condizione di ricordarci che la storia siamo noi a farla.

Pubblicato il

17.09.2004 00:30
Gianfranco Helbling