«Un altro mondo è possibile: uguali diritti per tutti» recita lo slogan del 1° Maggio ticinese. Un altro mondo, aggiungiamo noi, e più diritti per tutti sono necessari. Nell’interesse stesso della democrazia. Mai come in questo momento i sindacati, la sinistra, le forze progressiste sono chiamate a dare risposte chiare e profilate alle preoccupazioni che assillano un po’ tutti. Salariate e salariati, pen-sionati e beneficiari di rendite Avs, giovani in formazione e alla ricerca del primo impiego, piccoli e medi artigiani.
Paure che fanno crescere la sfiducia nell’azione politica e sindacale. O peggio ancora a cedere alle sirene della destra nazionalista e populista. Un esempio clamoroso e preoccupante ci è venuto il fine settimana scorso dalla Francia. Ma il fenomeno riguarda la realtà politica di tutti i paesi europei, Svizzera e Ticino compresi.
Il tutto si sintetizza in uno stato generalizzato di insicurezza e confusione. Per il proprio posto di lavoro, per i possibili sbocchi professionali, per il futuro delle pensioni e rendite vecchiaia. E confusione di fronte alle trasformazioni tecnologiche ed economiche.
Confrontati con il battage sull’ineluttabilità della globalizzazione dei mercati, della liberalizzazione dei servizi pubblici, del privato che è meglio del pubblico e i disastri delle politiche neo-liberali fatte di licenziamenti, privatizzazione parziale o totale di servizi pubblici essenziali, smantellamento dei servizi sociali cresce il senso di frustrazione. L’impressione è che manchi una risposta efficace a tutti quei fenomeni. Altri ancora, peggio ancora, cedono alle facili tesi che la colpa è, ad esempio, degli accordi bilaterali, degli stranieri. Di fronte alle sempre più palesi e chiare contraddizioni della politica neo-liberista, che favorisce pochi a scapito della grande maggioranza, i sindacati e la sinistra devono rilanciare, anche nella piccola realtà cantonale, i valori tradi-zionali del movimento operaio. Sui temi del lavoro e dei diritti dei lavoratori, sui progetti di privatizzazione di Aet e Banca dello Stato, sul ridimensionamento dei servizi sociali.
Il che significa non più cedere, in nome di un falso modernismo, alle tesi degli ambienti economici e finanziari che il futuro della società e dei lavoratori passa per una deregolamentazione del mercato del lavoro. Contestare con forza le tesi padronali sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro, il ridimensionamento dei già pochi diritti che si hanno sul posto di lavoro, il contenimento dietro il paravento dei mandati di prestazioni della spesa sociale, la politica degli sgravi fiscali per persone giuridiche e redditi medio alti. Concretamente, ad esempio in materia di servizi pubblici, non accettare la logica fin troppo interessata di chi sostiene che il mercato impone liberalizzazioni e privatizzazioni. E avere la forza e il coraggio di proporre un modello diverso di società. Un altro mondo appunto alternativo a quello che le classi dominanti vorrebbero imporci.
Reagiamo alle fin troppo facili accuse di conservatorismo. Torniamo ad essere protagonisti del cambiamento per nuovi rapporti sociali non più all’insegna dell’individualismo, della ricerca del profitto ad ogni costo.
* Presidente dell’Unione sindacale svizzera, sezione Ticino e Moesa |