Torna il lupo, panico tra le pecore

C’era una volta il lupo in Svizzera. Poi fu sterminato. Ma negli ultimi dieci anni lo scomodo canide ha fatto ritorno. Sette singoli esemplari, tutti di accertata origine italiana hanno visitato Vallese, Ticino e Grigioni. Sei lupi sono finiti allo stesso modo: abbattuti. Perché se è vero che la Svizzera ha sottoscritto, assieme ad altri paesi europei, la Convenzione di Berna che inserisce il lupo nella categoria delle specie «severamente protette», è altresì vero che vige un regolamento interno secondo il quale se un lupo sbrana più di 50 capi di bestiame poi può essere cacciato. Ciò che è puntualmente successo. E staremo a vedere che ne sarà del lupo che è stato recentemente avvistato in Mesolcina... In pasto ai politici Ora, contrariamente ad ogni logica fiabesca, il lupo è finito in pasto ai politici. L’Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio (Ufafp) ha dato mandato al Kora (Progetti di ricerca coordinati per la conservazione e gestione dei carnivori in Svizzera) di studiare se c’è modo che uomo e lupo convivano senza arrecarsi reciproco disturbo. Sia a livello Svizzero che in diversi cantoni si sono creati dei Gruppi di lavoro sui grandi predatori con rappresentanti di tutti gli attori interessati (allevatori, associazioni ambientaliste, cacciatori, ecc.). Tutto questo lavoro di valutazione e consultazione tra Gruppi confluirà nel documento «Concetto lupo Svizzera» (che dovrebbe essere presentato prossimamente nella stesura definitiva). Il Concetto definisce le condizioni quadro per attenuare i conflitti generati dal lupo, in particolare con gli allevatori. Ma non sarà immutabile. Il Concetto è sempre passibile di revisioni a seconda dell’evolversi della situazione. Dal canto suo il lupo non conosce i tempi della burocrazia e bisognerà comunque correre ai ripari prima che i boschi svizzeri risonino di ululati. Di sicuro tornerà e, ieri come oggi, il conflitto si giocherà soprattutto sul terreno dell’allevamento. «Se l’allevamento rimarrà immutato le possibilità di una convivenza sostenibile tra lupo e uomo sono molto scarse,come dimostrano le esperienze in Vallese e nei Grigioni», conferma Giorgio Leoni, capo dell’Ufficio caccia e pesca e rappresentante del Ticino nel Gruppo di lavoro grandi carnivori a livello Svizzero. E muove una critica all’attuale bozza del Concetto lupo, «non si affronta la problematica dell’allevamento con sufficiente attenzione». Ragion per cui «il Gruppo di lavoro ticinese, di cui sono presidente, proporrà all’Ufafp di finanziare un mandato all’interno dell’amministrazione. Ci vuole una persona che valuti lo stato dell’allevamento in Ticino, preveda le conseguenze dell’arrivo del lupo e che elabori delle proposte di soluzione adattate alle singole regioni». Determinante sarà la ridefinizione delle modalità di ripartizione dei sussidi. «Gli allevatori vanno sostenuti nelle spese per la prevenzione se gliela imponiamo», dichiara Leoni. Ad ogni modo il lupo non conosce frontiere e «volenti o nolenti arriverà in Ticino per espansione naturale. Se non predisponiamo per tempo delle valide misure di prevenzione creerà dei conflitti insostenibili con gli interessi dei pastori». Quanto all’indennizzo dei danni il Concetto lupo prevede un risarcimento del 100 percento se si riesce a provare che il danno al bestiame sia stato provocato dal lupo. Non è sempre facile stabilire se il colpevole è un lupo o un cane: in caso d’incertezza, nelle aree colonizzate dal lupo, il risarcimento varia dal 50 al 100 percento. «Nei casi dubbi, è meglio pagare un capo in più ucciso da un cane che rischiare di non risarcire un capo ucciso dal lupo», sostiene Leoni. Una nomea ingiusta Veniamo ad una domanda topica: vista l’esiguità del territorio ticinese e il denso popolamento, qualcuno potrebbe temere l’incontro ravvicinato col lupo. Se la lince – probabilmente già presente nei nostri boschi – nell’immaginario collettivo è assimilata a poco più di un gattone, il lupo può sempre godere di una triste nomea ancora da sfatare. Forte dell’esperienza dello scorso anno, Leoni ci rassicura: «in Ticino, a Monte Carasso, il lupo c’è stato. Abbiamo diramato un comunicato stampa in cui si avvisava la popolazione che non c’era pericolo. Non ho ricevuto telefonate di persone allarmate. La gente probabilmente sa che il lupo non è quello delle favole». Quando i primi esemplari fecero capolino dalle nostre parti qualcuno gridò al complotto ecologista. Si temeva che i lupi non fossero arrivati spontaneamente, ma fossero stati liberati da qualche paladino della natura selvaggia e incontaminata. «Impossibile», sostiene Leoni, «ci sono stati almeno sette lupi distinti e apparsi in tempi diversi sul territorio dei Cantoni alpini. Chi avrebbe avuto la possibilità di liberare quei giovani esemplari, tutti derivanti dal ceppo italiano?». A scanso di equivoci Leoni ricorda che il «Concetto lupo condanna l’introduzione artificiale di questo animale». Quali sono le competenze strettamente cantonali? «Il monitoraggio della presenza dei lupi e dei danni che provocano spetta all’Ufficio caccia e pesca. Perciò i nostri guardiacaccia hanno già seguito dei corsi specifici», ci informa Leoni. Anche i risarcimenti verranno amministrati dal Cantone: «l’Ufficio cantonale paga il 100 percento del danno e poi riceve una partecipazione dell’80 percento da Berna», precisa Leoni. E giacché siamo giunti alla sempre spinosa questione delle cifre, Leoni ci spiega che «i danni causati dagli ungulati (cervi e cinghiali in particolare) l’anno scorso ammontavano a 325mila franchi (contro i 250mila franchi di due anni fa)». Un conto salato perché i cervi possono causare danni di qualità «se prendono di mira piante da selezione o vitigni pregiati», mentre i cinghiali «arando la cotica erbosa possono rovinare il terreno per più anni». Ora, conclude Leoni, «ce ne vorrà finché il lupo causi danni di uguale importo, pure se non è ancora possibile quantificare precisamente il suo impatto in tal senso». Particolarmente vulnerabile agli attacchi del lupo è quel bestiame, in special modo pecore e capre ma anche vitelli, che dalle nostre parti si usa per lo più lasciare al pascolo allo stato brado. È ovvio dunque che le maggiori rimostranze le facciano gli allevatori. «Quando le discussioni sono iniziate sono emerse due posizioni radicali e opposte: da una parte c’era il comprensibile “no” tassativo degli allevatori di bestiame e dall’altra c’erano gli ambientalisti che applaudivano l’arrivo di un predatore perché le pecore arrecano danni alla vegetazione», ci racconta Chiara Solari Storni, allevatrice e biologa della fauna, responsabile per il Ticino, assieme a Tiziano Maddalena, della prevenzione danni da lupo. In Ticino l’allevamento gioca ancora un ruolo importante per la conservazione del paesaggio e del sostrato sociale nelle valli ma è confrontato a grosse difficoltà: «negli ultimi decenni è diminuito soprattutto l’allevamento di bestiame minuto ma pure quello di vacche», spiega Solari. Dato questo scenario si aggiunge un nuovo problema: l’arrivo del lupo. Come reagire? «Una possibilità è quella di verificare fino a che punto siano applicabili anche da noi i metodi utilizzati dove lupo e allevamento convivono da sempre». Ma qualsiasi soluzione decidiamo di adottare dovrà essere sostenibile dal punto di vista finanziario. Il modello abruzzese Tra i metodi di difesa dagli attacchi di predatori uno dei più noti è il cosiddetto «modello abruzzese». La conduzione e la difesa del bestiame sono garantite da un pastore aiutato da cani da protezione e cani pastore o da tocco. Nel 1998 la stessa Chiara Solari ha organizzato una trasferta in Abruzzo per fare incontrare degli allevatori ticinesi con i loro colleghi italiani. Il metodo laggiù è collaudato da secoli e un paragone con la nostra situazione mette in luce delle differenze importanti. Innanzitutto «in Abruzzo vengono allevate soprattutto pecore da latte», continua Solari. Dunque «per sfamare i cani danno loro un pappone fatto di farina d’orzo e siero di latte (un prodotto della cagliatura). Con circa 300 franchi l’anno è possibile mantenere una decina di cani». In Vallese è stato fatto qualche calcolo per stimare quanto costa nutrire un cane e il risultato è sconfortante: «un solo cane arriva a costare circa mille franchi l’anno, pur facendo un contratto vantaggioso con una ditta produttrice di alimenti per cani». Per poter utilizzare i cani da protezione è poi necessario che sull’alpeggio ci sia un pastore e ciò è finanziariamente sostenibile solo a partire da un certo numero di capi, attualmente 800-1000. In Ticino, come ci illustra Solari, «ci sono solo sei greggi che raggiungono questo numero». Per introdurre i cani da protezione bisognerebbe quindi riunire le greggi, cosa «impensabile negli alpeggi più piccoli», avverte Solari, «a meno che non si introduca una sorta di transumanza». Con tutte le difficoltà del caso, va da sé. Per fortuna recentemente il Consiglio federale ha modificato l’Ordinanza sui contributi d’estivazione, raddoppiando i contributi per le greggi custodite da un pastore. Dall’anno prossimo sarà possibile pagare un pastore già a partire da 400-500 capi. E però spesso i mandriani sono stranieri e d’inverno tornano in patria. Dunque bisognerà pensare ad una sistemazione per i cani durante l’inverno. Gli altri metodi Abbandoniamo per un attimo l’ipotesi del cane da protezione per vedere con Solari se esistono altri metodi per difendere gli armenti. Ce ne sono, certo, ma la loro efficacia è ancora tutta da dimostrare. «In Bregaglia hanno provato con particolari recinti elettrificati. Un accorgimento che può funzionare per piccole superfici in terreni non accidentati sui maggenghi o quale recinto per la notte sugli alpeggi». Ma anche qui i problemi non mancano: «se i fili sono troppo discosti l’uno dall’altro sia i cani che le pecore (figuriamoci i lupi) imparano presto a scavalcarli. Inoltre il sistema richiede una manutenzione meticolosa». C’è chi ha sostenuto l’uso di asini da guardia. Solari è piuttosto scettica e obietta che «se funzionassero li utilizzerebbero in Abruzzo essendo meno costosi». Forse gli asini possono scoraggiare i lupi più giovani e sprovveduti ma «essendo animali erbivori non sono avvezzi a gestire o elaborare situazioni strategiche complesse (a differenza del cane)». Concludendo, Solari afferma che «al di là del problema del lupo in sé, il suo arrivo ha avuto almeno l’effetto positivo di portare alla ribalta le difficoltà dell’allevamento». Intanto bisogna allestire con precisione un piano per il risarcimento dei danni e per la prevenzione. Quanto ai danni la Svizzera non intende indennizzare anche quelli, peraltro numerosi, causati dai cani e «c’è un bel lavoro da fare con i proprietari dei cani che non si rendono conto di avere un predatore come animale da compagnia». Mentre per la prevenzione Solari auspica che «gli aiuti vengano ancorati ad una legge duratura». Sul fronte degli allevatori alcuni sono disponibili a cercare soluzioni per prepararsi all’arrivo del lupo. La cosa non è generalizzata perché «in Ticino non si sono ancora verificati grossi danni causati dal lupo e così la gente è restia ad accollarsi ulteriore lavoro». E ricordiamoci che un lupo che si avventa su un gregge di pecore non protette può fare ingenti danni essendo per istinto portato ad uccidere più capi di quelli che mangia. D’altro canto, avverte Solari, «non bisogna dare agli allevatori l’illusione che l’abbattimento del lupo risolva il problema. Quelli finora catturati erano i primi, meno scafati, dunque si è fatto relativamente in fretta ad eliminarli». Le cose si complicheranno quando si saranno formati branchi stabili che conoscono bene il proprio territorio. Nel mirino A proposito di caccia al lupo approdiamo in Bregaglia per ricordare l’avventura di quello che fu battezzato «il lupo bregagliotto». Una parabola che dimostra che neanche al lupo è perdonata l’ignoranza della legge. L’incauto lupo, reo d’aver ucciso ben 60 pecore, ha infranto il limite di quel regolamento in virtù del quale finora nessun lupo arrivato in Svizzera è sopravvissuto alla propria scelta. Dario De Tann, guardia forestale del circolo di caccia della Bregaglia-Poschiavo, ci racconta l’insolita battuta di caccia. Dapprima ci hanno provato i guardiacaccia. Inutili gli appostamenti sul «luogo del delitto» perché il lupo bregagliotto «non tornava mai nello stesso posto dove aveva già predato». I guardiacaccia hanno allora tentato di attirare il lupo «creando un recinto di pecore come esca». Nulla. Viste le difficoltà «in settembre è stato dato il permesso a tutti i cacciatori dotati di licenza per la caccia alta di abbattere il lupo». Ed ecco che, alla fine, un cacciatore è riuscito a prenderlo. «Per puro caso», sottolinea De Tann, «era appostato mentre puntava ad un cervo e invece si è trovato il lupo a tiro». Interessante notare poi che il lupo in questione era un pendolare: «varcava il confine, muovendosi su un tragitto di 30 km e, strada facendo, attaccava delle pecore». Ci vorranno delle collaborazioni transfrontaliere, dunque. E qualche contatto è già stato preso. Che il lupo non sia facile preda ce lo conferma pure Marco Mondada, presidente della Federazione cacciatori ticinesi. E parla con cognizione di causa: «ho già cacciato dei lupi tra la Russia e la Cecoslovacchia». Una caccia che si organizza in battuta: «i battitori entrano nel bosco e fanno rumore picchiando con un legno sugli alberi. Se il lupo è presente, essendo molto schivo, è il primo a muoversi». Mondada non teme il lupo: «mi sono già trovato di fronte ad un piccolo branco di lupi». E cos’è successo? «Non mi hanno neppure guardato e si sono dileguati a testa bassa». Quanto al ritorno del lupo la posizione della Federazione non è ostile in assoluto: «purché si facciano le cose a norma di legge», precisa Mondada. E non si proceda con «una reintroduzione artificiale». Sì, perché la «la natura non dev’essere un museo». Convivenza impossibile Veniamo al fronte degli scettici. La Confederazione per il tramite dell’Ufafp (Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio) sta valutando se sia davvero possibile una pacifica convivenza tra uomo e lupo. Nel contempo il Parlamento sembra profilarsi come poco possibilista quanto all’eventualità che la Svizzera diventi terra d’asilo per il lupo. Theo Maissen, presidente del Sab (Gruppo svizzero per le regioni di montagna) nonché consigliere agli Stati, è stato latore di una mozione parlamentare per stralciare il lupo dalla lista delle specie protette. La mozione è stata approvata dalla Camera alta e e sarà sottoposta al voto del Consiglio nazionale in una delle prossime sessioni. Anche a Maissen abbiamo chiesto di esporci la sua opinione sulla questione, di fatto, ancora aperta. Dott. Maissen, ritiene impossibile una convivenza tra uomo e lupo? Il Concetto lupo elaborato dall’Ufafp prevede che una fase del reinserimento del lupo corrisponda alla formazione di branchi. Presumibilmente la presenza di branchi in libertà creerà dei conflitti in Svizzera poiché il territorio elvetico è troppo piccolo e troppo densamente abitato. In più centinaia di migliaia di turisti l’anno visitano le località alpine. E non si possono neanche negare le paure della popolazione. Paure che ci sarebbero persino nell’ipotesi della creazione di un parco recintato. In una parola, in Svizzera non ci sono le condizioni necessarie all’insediamento di branchi di lupi. Moritz Leuenberger mette in guardia che se il Concetto lupo verrà rifiutato per la Confederazione non sarà più possibile versare dei fondi per la prevenzione e per il risarcimento dei danni da lupo. Come considera questo aspetto? La mozione chiede un cambiamento della Legge sulla caccia, nel senso che il lupo dovrebbe diventare specie cacciabile. Questo non significa che ogni lupo dovrà essere abbattuto. Bisogna considerare la questione in maniera obiettiva e pragmatica: se un lupo non provoca guai si può tollerarne la presenza. Ma se comincia ad arrecare danni al bestiame dev’esserci la possibilità di intervenire prontamente, con le stesse regole applicate per la caccia del resto della selvaggina. In concomitanza con questi cambiamenti della Legge sulla caccia dovrebbe rimanere assicurato il finanziamento pubblico delle misure di prevenzione e delle spese per i danni. Se la Svizzera considerasse il lupo specie cacciabile questo risulterebbe in contraddizione con la Convenzione di Berna per la conservazione della flora e fauna selvatica europea... Non è questione di disdire la Convenzione di Berna. Come altri dodici paesi hanno già fatto, anche la Svizzera potrebbe aggiungere una riserva sul ritorno del lupo. Paesi con un’importante presenza di lupi come la Spagna, la Finlandia, la Polonia e la Bulgaria non hanno sottoscritto le disposizioni della Convenzione di Berna sul proprio territorio. Lo stesso Kora (Progetti di ricerca coordinati per la conservazione e gestione dei carnivori in Svizzera) si chiede se il lupo non stia nella categoria sbagliata nella Convenzione di Berna (quella degli animali severamente protetti, n.d.r.). Quando fu presa la decisione finale sulla Convenzione (all’inizio degli anni ’80) nessun membro del Parlamento di allora s’interrogò davvero su un possibile ritorno del lupo. La minuscola Svizzera non può portare alcun contributo decisivo alla causa della salvaguardia del lupo. Specie che peraltro non rischia affatto l’estinzione in Europa. Per contenere i danni alla pastorizia ha senso secondo lei l’attuale regola delle 50 pecore come limite di capi abbattuti prima che il lupo possa essere cacciato? Per molti aspetti la proposta dell’Ufafp è piuttosto inconcludente. Prima che venga verificato il numero delle vittime il conto dei capi abbattuti fa in tempo a raddoppiare. Le pecore, più indifese rispetto alla selvaggina che può scappare, rischiano una morte lenta e dolorosa con le viscere squartate. Allora mi chiedo se il Concetto lupo non sia in realtà la legalizzazione di una tortura sugli animali. A questo si aggiunge il danno essenzialmente economico per gli allevatori. E sono pure state sottovalutate le conseguenze del ritorno dei grandi carnivori per quanto concerne i danni al patrimonio di selvatici, insufficiente per sfamare branchi di lupi che finirebbero quindi per attaccare le greggi. Il Concetto lupo non è coerente: se accettiamo il reinserimento del lupo non ha senso affaccendarsi per tenergli lontano tutti gli animali indigeni che possono essere sue prede, ivi comprese pecore e capre. Dal profilo turistico non sarebbe possibile che il lupo diventi un’attrazione per i visitatori? Non credo che possa diventare un’attrazione turistica che garantisca introiti tali da compensare i danni che provocherà. Si può ritenere senza preoccupazioni che il lupo non sia pericoloso per l’uomo. Ma non è una certezza assoluta. Bisogna sempre fare i conti con danni collaterali: basterebbero anche pochi incidenti per far perdere d’interesse ad un itinerario escursionistico. Vi immaginate il danno di immagine se una famiglia con bambini durante una scampagnata si trovasse di fronte ad un gruppo di pecore sanguinanti, ancora in agonia? Dagli appenini alle Alpi Se qualcuno in Svizzera gridasse «al lupo» dategli retta perché questo predatore è tornato nelle terre da cui anni addietro fu scacciato. Sta tornando perché alle nostre spalle c’è un paese, l’Italia, nel quale invece non si è mai completamente estinto. Anzi, la popolazione di lupi italiani è aumentata tanto da iniziare la ricolonizzazione dell’arco alpino. Ci troviamo a ridosso di un vero e proprio «serbatoio di lupi», secondo le parole del biologo italiano Franco Mari che collabora a diversi programmi di ricerca in Italia e in Ticino fa parte del Gruppo di lavoro sul lupo. Mari ci spiega qualcosa della biologia del lupo e, sull’esempio concreto italiano, vediamo com’è possibile la convivenza tra uomo e lupo. Insomma, parafrasando Hobbes, non è sempre detto che l’uomo debba essere lupo al lupo. Quali sono state le vicissitudini del lupo italiano? Il lupo è sempre stato presente in Italia su tutto il territorio nazionale, Sardegna esclusa. Quindi, gradatamente, fu sterminato. Si pensi al caso della Sicilia dove le lupare, in seguito divenute tristemente famose per altri motivi, venivano usate per la caccia al lupo. In special modo fu bandito da quelle terre che erano appetibili per l’uomo. Così finì relegato soprattutto nelle zone più selvagge dell’Appennino centrale. Mentre nel resto d’Italia procedette lo sterminio di quella che era comunemente considerata una specie nociva. Questo fino agli anni ’70, anni in cui il lupo diventa oggetto di ricerca: si capisce che non si tratta di un animale crudele e sanguinario ma di un semplice predatore. Ormai il numero dei lupi è sceso ad un centinaio di esemplari ma nel 1976 viene dichiarato specie protetta. Ecco che la popolazione dei lupi ricomincia a crescere in virtù di nuove condizioni favorevoli: la decisione di dichiararlo specie protetta, il fenomeno dello spopolamento del territorio appenninico, il generale cambiamento di mentalità che porta la gente ad avere una maggiore sensibilità per l’ecologia e la natura e l’inserimento, anche a scopo venatorio, di specie prima estinte quali cervi, caprioli e cinghiali che rappresentano ghiotte prede per il lupo. Dunque la popolazione dei lupi in Italia sta aumentando: quali sono le principali direttrici degli spostamenti? Da questi nuclei ha cominciato a spostarsi verso Nord. Negli anni ’90 troviamo già dei nuclei stabili nell’entroterra di Genova. Nel dicembre del 1992 viene avvistato nel parco francese del Mercantour e da lì inizia la ricolonizzazione dell’Arco alpino. Nel giro di vent’anni ha risalito la catena appenninica arrivando fin là. Anche verso Sud s’è mosso ma in quel caso il cammino è stato più agevole visto che c’erano dei nuclei già consolidati (cfr. cartina sopra). È monitorata la popolazione dei lupi? La popolazione è tenuta sotto controllo attraverso diversi programmi che studiano la specie. Sicuramente non è una specie facile da monitorare: il lupo si è fatto estremamente elusivo a causa della persecuzione umana e i segni di presenza che lascia (impronte, tracce di predazione,…) sono facilmente confondibili con quelli del cane. Secondo le stime attuali la popolazione si aggira attorno ai 500 esemplari. La presenza del lupo sul territorio italiano ha determinato contraccolpi economici o turistici? Ha determinato dei contraccolpi economici in ambito di allevamento. Non così in ambito turistico dove in certi casi la sua presenza è stata una vera e propria manna. Posso citare un esempio famoso in tal senso. All’interno del Parco nazionale d’Abruzzo c’è un paese chiamato Civitella Alfedena che rischiava il tracollo abbandonato dai suoi abitanti che emigravano per cercare lavoro. Dopo gli anni Settanta si è creata un’area faunistica e il Museo del lupo appenninico. Ebbene, l’emigrazione si è arrestata e la gente del luogo ora è per la maggior parte impiegata in attività legate al turismo. E si mormora che sia il paese con il deposito bancario pro capite più alto d’Italia... Un capitolo che forse inquieta ancora: si sono mai registrati attacchi all’uomo? Non si conoscono, a memoria, attacchi di lupi all’uomo sul territorio italiano. Ma posso raccontare il mio caso personale. All’interno del Parco nazionale d’Abruzzo c’è l’area faunistica di cui abbiamo parlato sopra. Tutti gli anni i lupi tenuti in cattività devono essere sottoposti ad un trattamento veterinario. Degli operatori entrano nel recinto per muovere i lupi e portarli a tiro del veterinario che deve sparargli delle capsule narcotizzanti. Ebbene, considerate che entriamo in un recinto che è il loro territorio, entriamo disarmati, affrontiamo lupi che ormai conoscono l’uomo e non ne hanno più paura e, ciò nonostante, sia io che i miei colleghi non abbiamo mai avuto alcun problema. In realtà questo animale è difficile da avvistare ed è anche difficile trovare dei segni di presenza. È praticamente un fantasma. In più si muove principalmente al crepuscolo e di notte. Ma se ci si trovasse inaspettatamente al cospetto di un lupo? È molto improbabile che ciò si verifichi: il lupo ha un’ottima vista, un eccellente udito e un senso dell’olfatto molto sviluppato, se avverte la presenza dell’uomo scappa lontano. D’altro canto tra l’incontro di un lupo nel bosco e un cane randagio può essere molto più pericoloso il secondo che non ha timore reverenziale nei confronti dell’uomo. Come si appaga una fame da lupo? C’è un’equazione precisa che deve quadrare alla fine di ogni giornata: il lupo sopravvive se riesce ad immagazzinare una quantità di energia maggiore a quella spesa. Perciò si concentra su ciò che può facilmente offrirgli una possibilità di mangiare. Tra un capriolo vivo e una carcassa sceglie quest’ultima. Se c’è una buona disponibilità di prede e animali domestici allo stato brado, non custoditi sceglie i secondi. Se gli animali domestici sono custoditi da cani e pastori il gioco non è più proficuo. Il lupo non può correre il rischio di ferirsi perché lo limiterebbe nella caccia e questo, come estrema conseguenza, significa la morte. Qual è il grado di parentela tra il canis lupus e il canis familiaris? Il cane discende dal lupo. Strano a dirsi se consideriamo che nel nostro immaginario il lupo incarna il demonio mentre il cane è il nostro compagno fedele. Il nostro cane si comporta con noi così come il lupo si comporta col maschio dominante del branco. Mettere la coda tra le gambe per paura o abbassare le orecchie, oppure offrire la gola e il ventre in segno di sottomissione sono comportamenti comuni al lupo. Pensando al caso svizzero i lupi che ci hanno visitati sinora sono sempre stati esemplari singoli. Quindi non è sempre detto che il lupo si organizzi in branco? L’unità sociale è la coppia. In Italia non abbiamo branchi numerosi perché le condizioni non sono tanto favorevoli da consentirlo. In genere troviamo delle coppie con piccoli. I piccoli rimangono se ci sono le condizioni necessarie. Se no sono costretti ad emigrare. Il numero massimo di esemplari per branco sono di otto, dieci individui. Ma sono delle rarità che si trovano solo in zone protette sul territorio italiano.

Pubblicato il

28.06.2002 03:00
Sabina Zanini