Reportage

Non è l’immagine classica della Brianza tutta industria e capannoni. Qui, a Ceriano Laghetto, nell’estremo occidente della provincia, a pochi passi da Saronno, la zona è più agricola che altro. Per questo lo stabilimento della Gianetti Ruote riveste un ruolo ancor più rilevante: è una fabbrica storica, fondata nel 1880, ancorata al tessuto sociale e che ha sempre dato lavoro agli abitanti di questi comuni a confine tra le provincie di Monza-Brianza, Como e Milano. Oggi, però, la Gianetti deve chiudere. Di punto in bianco. Lo ha deciso l’ultima proprietà, il fondo tedesco Quantum Capital Partners che, ad inizio luglio, ha informato le “152 posizione in esubero”. Una comunicazione data come va di moda in questa estate italiana segnata dalla fine del blocco dei licenziamenti: per via telematica; senza metterci la faccia. Noi di area ci siamo recati a Ceriano Laghetto, luogo simbolo del capitalismo senza volto che detta legge. Anche nella ricca e sovranista Brianza.

 

Con la presente le comunichiamo che, a seguito dell’avvio della procedura di chiusura del sito di Ceriano Laghetto a partire dal 5 luglio lei sarà posto in ferie sino a nostra differente comunicazione”. Quando arriviamo alla Gianetti Ruote, il 27 luglio, sono passati ormai tre settimane da questa comunicazione. Fuori dallo stabilimento continua il presidio sindacale che, giorno e notte, picchetta davanti alla fabbrica. I piatti di pasta cucinati in una cucina da campo sono ancora fumanti per il “cambio turno” degli operai che quotidianamente si ritrovano qui. L’ambiente, malgrado tutto, è buono: “Noi non molliamo, perché quello che è successo è indecente, ma anche perché ci teniamo a questo lavoro e vogliamo che venga trovata una soluzione per potere continuare”.

 

Cerchi d’alta gamma


L’avviso di chiusura è arrivato come un fulmine a ciel sereno, pochi giorni dopo il decreto governativo che ha tolto il blocco dei licenziamenti, una misura voluta in piena crisi pandemica dal Governo Conte e poi prolungata da quello Draghi e che ha vietato fino al primo luglio 2021 i licenziamenti di natura economica. La Gianetti è stata la prima azienda in Italia ad approfittare dello sblocco: “Non ce lo aspettavamo proprio, avevamo dovuto organizzare le ferie in modo da rientrare prima per potere garantire la produzione dato l’alto numero di comande. C’erano ordini fino a giugno dell’anno prossimo” ci dice amareggiato Vincenzo Fragetta, delegato sindacale Fiom nello stabilimento.

 

La fabbrica produce ruote di alta qualità per camion e moto. I clienti sono tra i più prestigiosi: Iveco, Volvo e Harley Davidson. “Siamo gli unici in Europa a produrre cerchi per la Harley, lo facciamo da trent’anni. E ora la stessa casa motociclistica, così come gli altri clienti che aspettano le comande, non sanno cosa fare. Sono in difficoltà” ci spiega sempre Fragetta, che della fabbrica e dei cambiamenti degli ultimi anni conosce tutti i dettagli: “Prima c’era la società guidata da Gabriele Perris Magnetto, imprenditore vecchio stampo che però non era più in grado d’investire e ha quindi venduto l’azienda agli americani di Accenture, negoziando anche un importante investimento nella fabbrica. Poco dopo sono arrivati i tedeschi che invece non hanno investito nulla e oggi ci buttano in strada”.

 

Irresponsabilità sociale


Il caso della Gianetti Ruote mostra il malandazzo di un capitalismo italiano che di italiano non ha più nulla. Ma che del capitalismo ha tutto: il cinismo, l’avidità e l’arroganza. Come dimostrano i modi con i quali, di punti in bianco, sono state lasciate a casa i 152 lavoratori di uno stabilimento funzionante e che produce cerchi d’alta gamma. "Siamo stanchi di multinazionali che stanno devastando il nostro sistema produttivo è necessario cambiare le regole o le Gianetti si moltiplicheranno" ci spiega Stefano Bucchioni, della Fiom Cgil Monza e Brianza con il quale sorseggiamo un caffè offertoci da un operaio.

 

A meno di tre anni dal suo arrivo, Quantum decide di chiudere. Non di trasferire, di delocalizzare. No: si chiude, il segmento non rende e quindi va soppresso. Arrivo, distruggo e riparto, insomma. Lasciando solo macerie. La proprietà tedesca, in una nota inviata alle parti sociali e firmata dall’amministratore delegato in Italia Goran Mihajlović scrive di una situazione di “gravi perdite” dovute anche al numero ristrettissimo di clienti: “tutte multinazionali, che grazie alla loro posizione di forza sul mercato riescono ad imporre prezzi d’acquisto delle ruote in acciaio molto bassi”. Il dirigente sottolinea come il prezzo di vendita delle ruote prodotte a Ceriano Laghetto è diminuito del 12% e che, in questa situazione, occorre confrontarsi a “nuovi concorrenti” che “a causa di diverse condizioni lavorative riescono ad imporsi sul mercato attraverso aggressive politiche di prezzi”.

 

I conti dell’azienda non sono brillanti ma nel 2020, anno della pandemia, hanno segnato un miglioramento nonostante il calo dei ricavi. I risultati aziendali non erano certo tali da giustificare una decisione di questo tipo, che non prevede neppure un tentativo di vendita o lo spostamento dell’attività nell’altro sito del gruppo a Brescia. I contratti al ribasso gli hanno firmati loro, così come a pesare è stato l’aumento del prezzo delle materie prime e non certo la produttività degli operai su cui ora ricadono tutte le colpe” ci spiega Stefano Bucchioni che ricorda come il fondo basato a Monaco di Baviera si è “sin da subito distinto per un atteggiamento antisindacale”.

 

Quantum è un investitore responsabile e cerca di impegnarsi in investimenti a lungo termine e sostenibili che offrono il massimo valore per tutte le parti interessate (…) Ci concentriamo in profondità sulla cultura aziendale, la forza lavoro, l'ambiente e i valori sociali per garantire una forte responsabilità commerciale e sociale” si legge sul sito del fondo dove ci si riempie la bocca con la bella narrativa della responsabilità sociale. Retorica vuota da parte di un gruppo che ha già firmato un disastro industriale in Italia: nel 2020 il fondo ha chiesto la procedura fallimentare per la Slim Fusina Rolling di Marghera, produttore di rotoli di alluminio che era stata acquistata da Alcoa e per il rilancio della quale i tedeschi non hanno fatto nulla.

 

La questione a Bruxelles e a Roma


Se la Gianetti Ruote è oggi nelle mani del fondo tedesco Quantum Capital Partners lo si deve anche ad una decisione dell’anti-trust europea. Quando il precedente proprietario - il fondo americano Accuride - ha acquisito un altro grosso stabilimento in Germania si era venuta a creare un Europa una sorta di duopolio. L’anti-trust aveva quindi obbligato gli americani a vendere la Gianetti. Erano così entrati in scena i tedeschi di Quantum.

 

Oggi con la loro decisione di chiudere, il mercato europeo si trova così di nuovo in un mercato controllato da due grandi gruppi. Su questo aspetto si è mossa l’europarlamentare Patrizia Toja (Pd) che ha scritto un’interrogazione all’esecutivo comunitario: “Gli annunciati licenziamenti della Gianetti sono contrari alle indicazioni date dall’antitrust europeo tre anni fa, quando aveva costretto la società Accuride a cedere l’azienda italiana a un compratore in grado di mantenerla sul mercato per evitare di ridurre il mercato delle ruote di acciaio a un duopolio pericoloso per la concorrenza”.

 

Oltre che a Bruxelles, la vicenda Gianetti Ruote è arrivata anche in regione Lombardia e a Roma dove il Ministero dello sviluppo economico ha aperto un tavolo di crisi. Dopo un primo incontro ce ne dovrebbe essere un secondo. «La proprietà ha sottolineato la volontà di cessare l’attività produttiva su Ceriano Laghetto – spiega il sindacalista Stefano Bucchioni - Abbiamo chiesto di ritirare la procedura di chiusura e di riprendere subito a lavorare per non far scappare i clienti. Dopo di che se la loro intenzione è quella di chiudere si potrà ragionare su un percorso per non far morire un’azienda che ha lavoro e per promuovere eventualmente una reindustrializzazione dell’area: ci sono le condizioni per poter effettuare un passaggio di proprietà». Qualcuno si sarebbe fatto avanti, anche se di nomi per ora non se ne fanno.

 

La lotta continua


Nel frattempo, gli operai continuano la loro lotta. Anche nella ricca Brianza a guida leghista e poco nota per la lotta sindacale. Accanto alle azioni istituzionali che si stanno compiendo su diversi fronti per convincere la proprietà a tornare sui suoi passi e a riaprire la storica fabbrica, anche dal territorio giungono alcuni segnali importanti. Questa settimana, ogni sera, si tiene un appuntamento diverso davanti allo stabilimento. Basta poco a non far sentire soli gli operai: una pizza o una spaghettata offerta da ristoranti locali; il risotto cucinato da uno chef. Il 29 luglio ci sarà un Consiglio comunale aperto dedicato al caso Gianetti che si svolgerà proprio davanti ai cancelli chiusi dello stabilimento. “L’obiettivo è quello di non far sentire soli i lavoratori della Gianetti che da quasi un mese stanno presidiando la loro fabbrica, giorno e notte, per difendere il loro lavoro, il loro futuro e quello delle loro famiglie” ha dichiarato il vicesindaco leghista Dante Cattaneo.

 

Un sostegno che fa bene. Ma che evidentemente non basta. “Noi ci batteremo per difendere i posti di lavoro, lo faremo ad ogni costo. Lo faremo per difendere la nostra dignità di persone che fino al 30 giugno eravamo indispensabili e che invece dal primo luglio siamo diventati un orpello di cui liberarsene con una fredda mail” spiega ancora il delegato Vincenzo Fragetta. Per il momento qui davanti ai cancelli il presidio continua. Anche per evitare che la proprietà porti via i macchinari e quanto prodotto nelle ultime settimane. “L’abbiamo detto molto chiaramente durante gli incontri: se non verrà ritirata la procedura di chiusura vuol dire che da quell’azienda non uscirà nulla» conclude il sindacalista Stefano Bucchioni.

Pubblicato il 

29.07.21
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