Tifoseria e caccia alle streghe

Dopo quanto avvenuto sabato a Basilea, può sembrare indifendibile la posizione di coloro che si oppongono alla cosiddetta legge anti-hooligan, votata dal Parlamento in marzo e contro cui alcune tifoserie hanno promosso il referendum. Certamente non aiuta il fatto che tra queste figuri anche la curva della squadra renana, dalla quale si è staccato il gruppo di teppisti che al termine della finale del campionato di Super League ha invaso il campo di gioco nel tentativo di andare a "prendere" i giocatori della squadra dello Zurigo (laureatasi campione svizzero) e che nelle ore successive ha dato vita ad una guerriglia urbana in città. È ovvio che un bilancio di oltre cento feriti, 15 ricoveri in ospedale e centinaia di migliaia di franchi di danni non può essere il bollettino di una partita di calcio. Ma è altrettanto ovvio che il fenomeno dell'hooliganismo non può essere combattuto con la criminalizzazione di tutti i tifosi, come capiterebbe se la citata legge entrasse in vigore. Una legge che intacca principi fondamentali dello Stato di diritto, ma che con un'incredibile leggerezza viene indicata da esperti di sicurezza, giornalisti e commentatori vari come la soluzione al problema (innegabile) della violenza negli stadi di calcio e di hockey. Capiamo perfettamente la difficoltà della polizia e della magistratura nell'individuare i veri responsabili di atti punibili quando sono coinvolte decine o centinaia di persone, ma la risposta di uno Stato democratico non può essere quella di sparare nel mucchio con una legge liberticida. Essa non prende di mira i soggetti che effettivamente hanno commesso un atto di violenza, che, se costituisce reato, può già essere sanzionato con gli strumenti previsti dal Codice penale. Le norme anti-hooligan consentono invece di colpire coloro che potrebbero rendersi violenti in occasione di una manifestazione sportiva. Basterebbe un semplice sospetto o la presenza di qualche indizio per far scattare una sanzione lesiva della libertà dell'individuo. Con il ricorso a misure di carattere amministrativo, il legislatore ha trovato la scappatoia per sopperire all'impossibilità di applicare il diritto penale, che ovviamente prevede il principio della presunzione d'innocenza. Il cosiddetto hooligan, almeno 15enne, che «prende parte ad atti di violenza contro persone o cose», il cui comportamento o «fatti concreti recenti» «fanno pensare» che potrebbe farlo, rischia così fino a 24 ore di carcere preventivo. Chiunque abbia l'apparenza dell'hooligan (e per questo è abbastanza farsi trovare con una torcia a scopo coreografico) finirà inoltre in una grande banca dati dell'Ufficio federale di polizia, che, in barba alla protezione dei dati, sarà accessibile alle polizie cantonali e ai club. E, altro aspetto inquietante, dalla bozza di ordinanza di applicazione della legge, apprendiamo che gli addetti alla sicurezza all'interno degli stadi (spesso persone totalmente incapaci di gestire situazioni di tensione) avranno il potere di giudicare il potenziale di violenza di un determinato soggetto. Per capire l'assurdità di questa norma, basta ricordare che secondo diversi sociologi intervenuti dopo i fatti di Basilea sono stati proprio i modi di fare e la tenuta "di guerra" delle forze dell'ordine ad aizzare gli animi dei tifosi violenti della curva Muttenz. Il legislatore ha insomma agito senza riflettere sulle possibili cause della crescente violenza negli stadi e ha rifiutato ogni proposta che ponesse l'accento sulla prevenzione, come invece suggerirebbero le analisi degli esperti. Esperti che indicano in partite come la finalissima di Basilea «un'occasione per dare sfogo e compensare la noia quotidiana e l'assenza di prospettive professionali» in una società in cui «la domanda relativa al senso della vita trova troppo poco spazio perché tutto verte sui consumi», ha spiegato nei giorni scorsi il sociologo Ueli Mäder in un'intervista alla Basler Zeitung. Totalmente ignorato pure l'aspetto delle responsabilità delle società, alcune delle quali, pur di fare incassi, coprono le frange violente del tifo e in talune circostanze offrono loro addirittura la "collaborazione" degli addetti alla sicurezza quando si tratta di minacciare o malmenare tifosi avversari. Alla fine si ha l'impressione che ad essere preso di mira sia il tifo organizzato in quanto tale. È infatti ovvio che la messa in pratica della legge anti-hooligan andrà ad intaccare la privacy, la libertà d'espressione e personale di migliaia di individui che con le loro idee e la loro esuberanza animano le curve degli stadi di calcio e delle piste di hockey. L'arsenale di misure repressive messo in campo dal Parlamento non potrà che esasperare la violenza, visto che chiunque ritiene di vivere in un sistema ingiusto si sente legittimato a reagire. Con ogni mezzo. Infine, a chi allo stadio non ci va, vale la pena ricordare la possibilità (tutt'altro che remota) che un giorno l'applicazione di questa brutta legge venga estesa ad altri ambiti, come quello delle manifestazioni. Anche dopo i fatti di sabato scorso qualche motivo per sottoscrivere il referendum è insomma rimasto. Quando prevenzione fa rima con repressione Le norme anti-hooligan sono state inserite nella Legge federale per la salvaguardia interna, che attribuisce alla Confederazione la competenza di adottare misure preventive «per rilevare e combattere tempestivamente i pericoli dovuti alle attività terroristiche, di spionaggio, di estremismo violento» e, se la modifica entrerà in vigore, pure di «violenza in occasione di manifestazioni sportive». Ecco in sintesi le misure previste. • Banca dati per hooligan: L'Ufficio federale di polizia gestisce una banca dati in cui iscrivere persone che hanno «fatto ricorso alla violenza» in occasione di manifestazioni sportive in Svizzera o all'estero e informazioni su soggetti che sono stati colpiti da misure amministrative. Il sistema può esser consultato dalle polizie cantonali, dall'Osservatorio svizzero dell'hooliganismo e dalle autorità doganali. Berna inoltre può passare informazioni ad organizzatori di manifestazioni sportive. • Misure amministrative - Aree interdette: a chiunque che, in occasione di manifestazioni sportive, ha preso parte ad atti di violenza contro persone o cose può essere imposto il divieto di penetrare in «un'area esattamente delimitata in prossimità di una manifestazione sportiva», per un periodo massimo di un anno. La decisione può essere presa dal Cantone di domicilio o da quello in cui la persona ha partecipato alle violenze. La misura non può essere applicata ai minori di 12 anni. - Divieto di lasciare la Svizzera: a una persona (di almeno 12 anni) che non rispetta il divieto di penetrare in una determinata area o se il suo comportamento «fa pensare» che prenderà parte ad atti di violenza in occasione di una manifestazione sportiva all'estero può essere vietato di lasciare la Svizzera per recarsi in quel paese. - Obbligo di presentarsi in polizia: ad una persona (almeno dodicenne) può essere imposto di comparire ad una determinata ora (in concomitanza con una manifestazione sportiva) presso un posto di polizia (di regola quello del suo domicilio) se ha violato il divieto di penetrare in una determinata area o di recarsi all'estero o se «fatti concreti recenti» lasciano supporre che altre misure non servirebbero a dissuaderla dal commettere violenze. - Fermo preventivo: può essere pronunciato contro una persona (almeno 15enne) se elementi «concreti e recenti indicano che prenderà parte ad atti di violenza gravi contro persone o cose in occasione di una manifestazione sportiva» e se questo è «il solo mezzo per impedirlo». Può durare al massimo ventiquattro ore. • Materiale di propaganda: Polizia e autorità doganali possono sequestrare qualsiasi tipo di materiale propagandistico il cui contenuto incita, in maniera «concreta e seria», all'uso della violenza contro persone o cose.

Pubblicato il

19.05.2006 01:30
Fernando Gomez
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